-  Rossi Stefano  -  30/07/2013

IL PROMESSO SPOSO CLANDESTINO NON PUO' ESSERE ESPULSO - Cass. pen., 29.7.2013, n. 32859 - Stefano ROSSI

Non commette reato e non può essere pertanto espulso l'immigrato trovato senza permesso di soggiorno che sta per sposarsi con un'italiana.

Lo straniero, anche se ha fatto ingresso e si trattiene sul territorio italiano senza documenti, avendo manifestato nelle forme dovute (con le pubblicazioni di legge) l'intenzione di sposarsi, viene a concretare un diritto previsto dall'ordinamento che scrimina la condotta contestata.

Come dichiarato dalla Corte costituzionale, in una recente sentenza 25.7.2011, n. 245, la libertà di contrarre matrimonio costituisce un diritto fondamentale della persona riconosciuto anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (art. 16), dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 9).

In particolare, la CEDU - includendo la libertà matrimoniale tra quelle che devono essere assicurate senza distinzione di sorta (di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza ad una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione) e pur prevedendo che il relativo diritto debba esser esercitato nell'ambito delle leggi nazionali - non consentirebbe che queste ultime possano porre condizioni o restrizioni irragionevoli.

Alla stregua di tali principi, anche la procedura amministrativa di espulsione sarebbe «limitativa della libertà matrimoniale, sia per lo straniero che per i cittadini italiani», e sembrerebbe «determinare una discriminazione nell'esercizio di un diritto fondamentale dell'uomo legata ad una mera condizione personale, che non appare ragionevole», in assenza di esigenze «di salvaguardia di altri valori costituzionalmente rilevanti di pari grado», tali da giustificare un «limite al diritto fondamentale in esame».

Al legislatore italiano è certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l'ingresso e la permanenza di stranieri extracomunitari in Italia. Tali norme, però, devono costituire pur sempre il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra i diversi interessi, di rango costituzionale, implicati dalle scelte legislative in materia di disciplina dell'immigrazione, specialmente quando esse siano suscettibili di incidere sul godimento di diritti fondamentali, tra i quali certamente rientra quello «di contrarre matrimonio, discendente dagli artt. 2 e 29 Cost., ed espressamente enunciato nell'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e nell'articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali» (sentenza n. 445 del 2002).

In altri termini, è certamente vero che la «basilare differenza esistente tra il cittadino e lo straniero» - «consistente nella circostanza che, mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo» - può «giustificare un loro diverso trattamento» nel godimento di certi diritti (sentenza n. 104 del 1969), in particolare consentendo l'assoggettamento dello straniero «a discipline legislative e amministrative» ad hoc, l'individuazione delle quali resta «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici» (sentenza n. 62 del 1994), quali quelli concernenti «la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione» (citata sentenza n. 62 del 1994). Tuttavia, resta pur sempre fermo - come questa Corte ha di recente nuovamente precisato - che i diritti inviolabili, di cui all'art. 2 Cost., spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», di talché la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata - per quanto riguarda la tutela di tali diritti - come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi» (sentenza n. 249 del 2010).

Entro questo quadro la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza 32859/2013, ha accolto il ricorso di un giovane extracomunitario trovato senza documenti validi e sanzionato dal giudice di pace di Rapallo con una multa di 5.000 euro e l"espulsione dal nostro Paese. Quando il giovane è stato fermato dalla polizia (nell'agosto del 2011), era però in procinto di sposare, come provato dalle pubblicazioni di rito, una cittadina italiana. Matrimonio poi regolarmente celebrato dopo meno di tre mesi, cui è seguito il rilascio del permesso di soggiorno, in gennaio 2012.

La Cassazione ha quindi affermato che il cittadino extracomunitario che ha fatto ingresso e si trattiene nel territorio italiano al fine di esercitare un diritto riconosciuto dall'ordinamento (quale quello a contrarre matrimonio), non viola l'art. 10 bis d.lgs 286/1998 anche se non in possesso dei documenti valido per tale ingresso e successivo trattenimento.  




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