-  Redazione P&D  -  05/05/2012

INFERMITÀ DI MENTE E PROVA LIBERATORIA DEL SORVEGLIANTE. – Donatella M. E. BONOMO.

Nel caso in cui l"azione di un incapace naturale in ragione di infermità mentale cagioni un danno ad un altro soggetto, il nostro ordinamento individua nel sorvegliante colui che potrebbe essere tenuto all"eventuale risarcimento del danno, laddove quest"ultimo non riesca ad assolvere la prova liberatoria prevista al 1°co. dell"art. 2047 c.c. Si ricorda come, con riferimento alla richiamata prova liberatoria, dottrina e giurisprudenza discutano spesso di presunzione di colpevolezza o di responsabilità per il soggetto tenuto alla sorveglianza dell"incapace naturale.

Il contenuto della prova liberatoria in argomento è espressamente – e genericamente – individuato dal dato testuale del citato articolo, e consiste nella "prova di non aver potuto impedire il fatto". Naturalmente, prima di giungere alla valutazione dell"assolvimento della prova liberatoria del sorvegliante (definito quale elemento negativo della fattispecie complessa in discussione), occorre che sia stato preventivamente accertato: lo stato d"incapacità naturale dell"autore del danno (ai sensi dell"art. 2046 c.c.), la sussistenza degli elementi dell"illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. (l"atto astrattamente illecito dell"incapace naturale), la configurabilità dell"obbligo di sorveglianza nei confronti dell"incapace infermo di mente, e dunque l"effettiva titolarità della qualifica di sorvegliante del preteso responsabile civile (attinente, invece, al c.d. elemento positivo della fattispecie di cui all"art. 2047 c.c.). Pertanto, la dimostrazione del difetto della titolarità dell"obbligo di sorveglianza, pur esonerando da responsabilità il preteso sorvegliante, non può intendersi in senso stretto quale assolvimento della prova liberatoria offerta dal 1°co. dell"art. 2047 c.c.

Tuttavia, si deve porre la dovuta attenzione a questa particolare prova ex art. 2047 c.c., 1°co. L"indagine sull"effettiva portata della richiamata prova deve necessariamente passare attraverso l"esame delle pronunce giurisprudenziali sull"argomento e, al contempo, questi indirizzi devono essere valutati tenendo in considerazione le diverse opinioni espresse al riguardo in dottrina. Infatti, è possibile sostenere come la condanna del sorvegliante, a seguito del mancato assolvimento di siffatta prova liberatoria, in via tendenziale, non sia da intendersi quale strumento di rimprovero del responsabile civile (ossia come mezzo di reazione ad un comportamento riprovevole del sorvegliante).

Si rinvengono diverse ragioni che inducono ad orientarsi nella richiamata direzione e se ne offre una sintetica rappresentazione.

Anzitutto occorre tracciare una linea netta tra i criteri di valutazione offerti dall"ordinamento, rispettivamente in caso di responsabilità penale e responsabilità civile (v. P. Cendon, Infermità di mente e responsabilità civile, in Giurispr. It., Vol. CXLIII, 1991, pt IV, c. 81 e ss.). Al fine di non caricare, in modo improprio, lo strumento aquiliano di finalità che non gli appartengono, corre quindi l"obbligo di mantenere ben distinti i due differenti tipi di reazione dell"ordinamento giuridico, in quanto sorretti rispettivamente da diverse ragioni di fondo e diretti a differenti funzioni (v. Cass. civ., 12.12.2003, n. 19060, in De Jure).

Come anticipato, lo specifico progetto risarcitorio dell"art. 2047 c.c. individua il sorvegliante dell"infermo di mente in stato d"incapacità naturale, quale soggetto tenuto al risarcimento del danno. Tuttavia, da un punto di vista logico, tale individuazione si collega in modo lineare alla funzione preventiva (e repressiva) della responsabilità civile, in quanto il sorvegliante è colui che si trova nella posizione migliore per impedire l"evento. In definitiva, dal richiamato punto di vista, quest"ultima individuazione è diretta ad orientare il comportamento del soggetto tenuto alla vigilanza, in modo da condurlo a porre in essere idonee misure preventive per evitare l"evento di danno (in dottrina, in generale, per gli illeciti civili omissivi si discute di una contestuale finalità punitivo/deterrente v.: M. Franzoni, Le funzioni della responsabilità civile, in Trattato della responsabilità civile diretto da Franzoni M., II Tomo: Il danno risarcibile, Milano, 2010, 699 ss., in particolare 756).

Ciononostante, in considerazione del modo con il quale la prova liberatoria viene ad essere interpretata come assolta dalla prevalente giurisprudenza, emerge come vi sia una certa severità nel valutare l"idoneità delle misure preventive (poste in essere dal sorvegliante), ma al contempo è inoltre possibile constatare quanto la stessa severità sia maggiormente diretta ad un fine compensatorio in ordine alle perdite subite dal danneggiato (v. A. Venchiarutti, Dei fatti illeciti, art. 2046-2048 c.c., in Commentario al codice civile a cura di P. Cendon, Giuffrè , Milano, 2008, 667; P. G. Monateri, Illecito e responsabilità civile, vol. X, II Tomo, in Trattato di diritto Privato diretto da M. Bessone, Torino, 2005, 1-2).

Infatti, al fine di esimere da responsabilità il sorvegliante, le Corti spesso non richiedono la dimostrazione di una sorveglianza attuata con diligenza, quanto la dimostrazione di un fatto positivo non imputabile a detto sorvegliante e a cui ricondurre la causa del danno venuto in essere (M. Franzoni, Dei fatti illeciti artt. 2043-2049, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Zanichelli, Bologna-Roma, 340).

Contemporaneamente la condanna al risarcimento del soggetto garante permette di esprimere meglio la funzione redistributiva della responsabilità civile (specie ove, nell"individuazione del sorvegliante, la scelta cada sull"eventuale Struttura che prenda in carico il paziente). La richiamata funzione redistributiva è infatti indirizzata all"allocazione dei costi dei danni verificatesi; pertanto, con la condanna di questo particolare soggetto tenuto alla sorveglianza, si viene ad addossare l"onere economico ad un soggetto garante (Struttura) che si presume sia maggiormente in grado di sostenerlo.

È dato ritenere che il ruolo della colpa del sorvegliante venga ad essere fortemente limitato, anche se non totalmente escluso. In generale, si ricorda infatti come, in primo luogo, non grava sul danneggiato l"onere della prova sulla colpevolezza del sorvegliante, ma è il soggetto tenuto alla sorveglianza che dovrà dimostrare di non aver potuto impedire il fatto (c.d. elemento negativo della fattispecie complessa). (v. inoltre Cass. civ., 19.06.1997, n. 5485, in De Jure). In secondo luogo, al più, la colpa che viene presa in considerazione è la colpa in senso oggettivo, quale scarto di comportamento da un parametro di diligenza standard. (v. Cass. civ., 16.06.2005, n. 12965, in Giustizia civile 2006, I, 72).

Detto parametro è stato creato ad opera della giurisprudenza, proprio al fine di riempire di contenuto la formula poco esaustiva del "non aver potuto impedire il fatto", sancita all"art. 2047 c.c. per la prova liberatoria offerta al sorvegliante (v. P. G. Monateri, op. cit., 12). Il modello di riferimento viene individuato, dalla richiamata giurisprudenza, nella teorica del rischio o del pericolo, creato o tollerato. Il modo di atteggiarsi delle Corti in ordine alla valutazione del comportamento del sorvegliante, attraverso il ricorso a tale paradigma, mette in luce come il soggetto chiamato a rispondere del fatto dannoso sia colui che abbia creato il rischio di danno, o l"abbia comunque lasciato permanere; quindi, ove l"evento sia materialmente collegabile alla propria condotta, il sorvegliante risponderà per questa circostanza (v. Cass., 18.04.2001, n. 5668, in Foro It. 2001, I, c. 3098; Cass., 12.12.2003, n. 19060, in De Jure; Cass., 24.05.1997, n. 4633, in De Jure). Si ricorda come quest"ultimo rilievo abbia indotto una parte della dottrina a leggere nel dettato dell"art. 2047 c.c., 1°co., uno schema di responsabilità oggettiva per fatto altrui. Si afferma, tuttavia, che tale responsabilità obiettiva non debba essere intesa in termini assoluti; poiché, per esimere da responsabilità il sorvegliante, viene in ogni caso lasciata la possibilità di dimostrare che anche attuando l"adeguata vigilanza l"evento si sarebbe comunque verificato (causalità alternativa ipotetica). (Al riguardo, v.: A. Venchiarutti, op. cit., 667; P.G. Monateri, op. cit., 3; Cossu, Atto illecito e responsabilità civile, vol. X, I tomo, in Trattato di diritto Privato diretto da M. Bessone, Torino, 2005, 219; M. Franzoni, op. ult. cit., 341; nonché M. Franzoni, I criteri di imputazione nella responsabilità per fatto altrui, in Trattato della responsabilità civile diretto da M. Franzoni, I Tomo: L"illecito, Milano, 2010, 693).

Si rammenta inoltre come per queste fattispecie non sia comunque del tutto estranea la valutazione dell"effettiva esigibilità della condotta impeditiva del danno, soprattutto qualora si abbia riguardo specifico a soggetti sorveglianti gli infermi di mente. Laddove si dimostri infatti che l"azione, oggettivamente idonea ad evitare il danno, non sia ammessa come attuabile dalla legge – perché magari limitativa dei diritti garantiti al malato dal dettato della L. 180/78 – il sorvegliante andrà esente da responsabilità (P. G. Monateri, op. cit., 8; Cattaneo, La responsabilità civile dello psichiatra e dei servizi psichiatrici, in Un altro diritto per il malato di mente, a cura di P. Cendon, Jovene, Napoli, 223; Bregoli, Figure di sorveglianti dell"incapace dopo l"avvento della Legge 180, in Un altro diritto per il malato di mente, a cura di P. Cendon, Jovene, Napoli, 834 e 844; P. Cendon, Infermità di mente e responsabilità civile, in Giurispr. It., Vol. CXLIII, 1991, pt IV, c.100; M. Franzoni, op. ult. cit., 734). Malgrado ciò, il requisito dell"evitabilità del danno andrà rapportato all"ulteriore requisito della prevedibilità dell"evento dannoso. Difatti, a giudizio di alcune Corti, laddove si dimostri che l"evento poteva essere prevedibile ex ante, la responsabilità del sorvegliante potrebbe rimanere ancorata alla possibile sussistenza del nesso causale tra l"omessa vigilanza e il fatto dannoso verificatosi. Ciò viene affermato sino al punto da non ritenere circostanza di esonero da responsabilità l"eventuale inevitabilità posteriore all"inizio di un decorso causale degli eventi (v. Cossu, op. cit., 221). Come messo in luce in precedenza, a tal fine viene attribuito rilievo alla circostanza per cui l"evento di danno sia stato reso possibile dalla tolleranza di situazioni di pericolo, le quali possano aver agevolato il compimento del fatto dannoso da parte dell"incapace naturale; ossia, viene dato rilievo al fatto di non aver eliminato una circostanza che ha reso possibile il successivo decorso degli eventi (v. Cass. civ., 12.12.2003, n. 19060, in De Jure).

Quale circostanza di esonero da responsabilità è ammessa la dimostrazione del fatto che l"omessa sorveglianza sia da attribuire ad un impedimento legittimo (oggettivo), ed il titolare dell"obbligo di vigilanza abbia inoltre provveduto ad una sostituzione adeguata per l"esercizio della medesima. In questo senso, dunque, la prova del trasferimento della sorveglianza ad altro soggetto può infatti esonerare da responsabilità il precedente sorvegliante. Tuttavia, anche siffatta dimostrazione è particolarmente rigorosa, in quanto necessita della prova di un trasferimento ad un soggetto "idoneo" al compito da espletarsi; contrariamente si ritiene che l"obbligo di vigilanza – con il corrispettivo obbligo di impedimento dell"evento – permanga in capo al sorvegliante originario (v. Cass. Pen. Sez. IV, 14.11.2007, n. 10795, in Foro It. 2008, 5, 279; Cass. Pen. Sez. IV, 06.11.2003, n. 10430, in Foro It. 2004, II, 566; Trib. Como, 13.11.2000, in Riv. It. Med. Leg. 2002, 907).

Come anticipato in precedenza, al fine dell"attribuzione dell"obbligo di impedire il fatto dannoso ex art. 2047 c.c., assume rilievo la qualità di sorvegliante, ma si precisa inoltre come è possibile che tale qualifica derivi – anche e solo – da una situazione di fatto rilevante erga omnes. È dunque centrale l"importanza attribuita al principio dell"affidamento, non solo ove si discuta di lesioni delle quali resti vittima lo stesso infermo di mente (sorvegliato), ma anche in ordine alla garanzia dovuta verso i terzi danneggiati. La circostanza fattuale di mantenere entro la propria sfera personale di custodia il soggetto affetto da malattia mentale, è idonea ad ingenerare la legittima aspettativa, nei terzi estranei a tale relazione, per cui il soggetto affetto da malattia mentale sia – in primo luogo – curato, nonché controllato, al fine che non ponga in essere condotte lesive delle posizioni altrui (v. Cass. civ., 01.06.1994, n. 5306, in Resp. Civ. Prev. 1994, 1067).

Per un"equilibrata tutela degli interessi dei quali siano titolari i diversi soggetti coinvolti (infermo di mente, sanitario, eventuale Struttura di cura, nonché i terzi danneggiati), giova in ogni caso non giungere a criminalizzare ingiustamente la professione del sanitario che opera nel delicato e difficile campo della malattia mentale. È inoltre utile bilanciare in modo adeguato gli interessi di volta in volta coinvolti, in ciascun singolo caso concreto, e non enfatizzare letture dell"obbligo di sorveglianza che valorizzino eccessivamente, ed esclusivamente, la funzione deterrente della responsabilità in discussione e che (senza volere) potrebbero condurre – se non opportunamente ponderate – a potenziali abusi di misure custodiali in senso stretto (ormai obsolete, oltreché naturalmente illegittime ove non ricorrano gli estremi dello stato di necessità o di legittima difesa).

In conclusione, è bene dunque sottolineare come occorra attribuire il giusto peso alla condanna risarcitoria del sorvegliante (v. P. Cendon, op. ult. cit., c. 81 e ss.). In tal senso, ad oggi, è più aderente allo scopo preminente della responsabilità civile, intendere detta condanna ex art. 2047 c.c., 1°co, quale migliore strumento di compensazione delle perdite subite dal terzo danneggiato, e non – dunque - come sanzione carica dell"aspetto afflittivo maggiormente attinente ad altri schemi di responsabilità.




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