-  Mazzon Riccardo  -  09/10/2014

INFORTUNI SUL LAVORO E ARTICOLO 2049 C.C.: IMPLICAZIONI (SECONDA PARTE) - Riccardo MAZZON

Ulteriormente, con riguardo ad infortunio sul lavoro ascrivibile a fatto illecito di persona preposta dall'imprenditore a sorvegliare i dipendenti (nella fattispecie concreta oggetto della sentenza che segue, consistente nel non aver imposto le prescritte protezioni nell'uso di macchinari), la responsabilità risarcitoria dell'imprenditore non è esclusa per il fatto che detto preposto sia legato a quest'ultimo solo da rapporto di mandato avente ad oggetto l'indicata sorveglianza:

"con riguardo ad infortunio sul lavoro, che sia ascrivibile a fatto illecito di persona preposta dall'imprenditore a sorvegliare i dipendenti, la responsabilità risarcitoria dell'imprenditore medesimo, a norma dell'art. 2049 c.c., non è esclusa per il fatto che detto preposto non sia un suo lavoratore subordinato, essendo in proposito sufficiente anche un rapporto di mandato avente ad oggetto l'indicata sorveglianza" (Cass. civ., sez. lav., 13 giugno 1986, n. 3937, GCM, 1986, fasc. 6).

In particolare, si rimanda ai principi descritti ai paragrafi 14.6.4. e seguenti del capitolo quattordicesimo del volume "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012, principi che sono applicabili anche nel caso il datore di lavoro sia un'ente pubblico:

"l'art. 10, comma 3, t.u. n. 1124 del 1965, il quale prevede la responsabilità civile del datore di lavoro qualora il fatto-reato produttivo dell'infortunio sia imputabile a coloro che il primo ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro se del fatto di questi ultimi debba rispondere secondo il codice civile, trova applicazione anche nel caso di responsabilità diretta della p.a. per il fatto dei propri dipendenti, atteso che la norma suddetta va interpretata estensivamente e, quindi, non va limitata all'ipotesi di responsabilità indiretta di cui all'art. 2049 c.c." (Cass. civ., sez. lav., 5 settembre 1985, n. 4623, RI, 1985, II,145; GCM, 1985, 8-9; GC, 1985, I, 3003).

Nell'ambito che ci occupa, è senz'altro da ricordare come la Corte Costituzionale abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 10, comma 5 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124,

"è costituzionalmente illegittimo l'art. 10, comma 5 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., nella parte in cui non consente che ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L., l'accertamento del fatto costituente reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di suo preposto ex art. 2049 c.c. si sia concluso con proscioglimento istruttorio o con provvedimento di archiviazione" (Corte cost. 19 giugno 1981, n. 102, DL, 1982, II, 301)

nella parte in cui non consentiva che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L., l'accertamento del fatto costituente reato potesse essere compiuto, dal giudice civile, anche nel caso in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di suo preposto, ex articolo 2049 del codice civile, si fosse concluso con proscioglimento istruttorio o con provvedimento di archiviazione:

"a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 29 aprile 1981 - la quale ha (fra l'altro) dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui prevede che, nel giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro per un infortunio di cui sia civilmente responsabile, per fatto di un proprio dipendente, l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale sia vincolante anche nei confronti del datore di lavoro rimasto ad esso estraneo perché non posto in condizioni d'intervenirvi, nonché, ai sensi dell'art. 27 della l. n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale del comma 5 dell'art. 10 cit., nella parte in cui non consente che ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L., l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui la sentenza di condanna penale non faccia stato nel giudizio civile instaurato dall'istituto - la sentenza penale di condanna del dipendente se non è vincolante nei confronti del suo datore di lavoro rimasto estraneo, perché non posto in condizione d'intervenire nel processo (penale) in cui essa fu resa, e non preclude l'azione di rivalsa dell'I.N.A.I.L. nei confronti del datore di lavoro, neppure osta che il giudice civile accerti e valuti, con la più ampia autonomia d'indagine, i fatti posti a base dell'affermazione della responsabilità penale del dipendente" (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1982, n. 1131, GCM, 1982, fasc. 2).

E' stata esclusa la presunzione ex articolo 2049 del codice civile nel caso di dipendente - di un istituto di vigilanza - rimasto ferito dalla pistola maneggiata, per scherzo, da un collega che si era allontanato arbitrariamente dal servizio ed aveva contravvenuto al divieto, impartito dal datore di lavoro, di tenere la pistola carica nei locali dell'istituto:

"la presunzione di responsabilità del datore di lavoro, sancita dall'art. 2049 c.c. a carico di padroni e committenti per danni da fatto illecito di loro dipendenti o commessi, alla quale fa riferimento l'art. 4 r.d. 17 agosto 1935 n. 1765 (ora art. 10 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, come modificato da Corte cost. n. 22 del 1967) postula non solo l'esistenza di un rapporto di lavoro o di commissione ma anche un collegamento - di occasionalità necessaria se non di causalità - fra le mansioni del dipendente e il fatto illecito. Pertanto la presunzione va esclusa quando l'evento dannoso non è neppure indirettamente riferibile alle mansioni di lavoro, come nel caso in cui il dipendente di un istituto di vigilanza sia rimasto ferito dalla pistola maneggiata per scherzo da un collega" (Pret. Lecce 16 ottobre 1981, GM, 1982, 536).

E' stata esclusa la presunzione ex articolo 2049 del codice civile nel caso di evento dannoso derivato da alterco fra il dipendente ed altro lavoratore, con scambio, rispettivamente, di reiterati atti di violenza:

 "la presunzione di responsabilità del datore di lavoro, sancita dall'art. 2049 c.c. a carico di padroni e committenti per danni da fatto illecito di loro dipendenti o commessi, alla quale fa riferimento l'art. 4 del r.d. 17 agosto 1935 n. 1765 (ora art. 10 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 1967) postula non solo l'esistenza di un rapporto di lavoro o di commissione, ma anche un collegamento - sia pure di occasionalità necessaria e non di causalità - fra le mansioni del dipendente ed il fatto illecito. Pertanto, va esclusa tale presunzione, quando, l'evento dannoso non solo non è stato la conseguenza immediata e diretta dell'attività lavorativa, ma neppure ha trovato incentivo o è riferibile, sia pure indirettamente, a necessità, esigenze o ragioni di lavoro, essendo derivato da un alterco fra il dipendente ed altro lavoratore, con scambio, rispettivamente, di reiterati atti di violenza" (Cass. civ., sez. lav., 4 gennaio 1980, n. 20, GCM, 1980, fasc. 1).

 Da ultimo, si confrontino le seguenti pronunce, rilasciate in relazione a violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro,

 "il datore di lavoro, destinatario delle norme dettate in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, risponde dell'infortunio stesso, derivato dalla trasgressione di tali norme, nonostante il concorso, nella produzione dell'evento, di colpe, più o meno lievi, per imprudenza o disattenzione del lavoratore dipendente" (Cass. civ., sez. lav., 29 agosto 1979, n. 4727, GCM, 1979, 8)

incendio attribuibile a responsabilità di altro dipendente (nella specie, la Suprema Corte, sancendo l'esposto principio, ha confermato la sentenza con la quale i giudici di merito avevano riconosciuto sussistente il suddetto rapporto di occasionalità necessaria in un caso di infortunio, subito da un lavoratore, per effetto di un incendio attribuibile a responsabilità di altro dipendente, il quale, avendo avuto incarico di provvedere alla pulizia di macchinari, vi aveva provveduto attingendo energia elettrica senza osservare le norme antinfortunistiche),

"la presunzione di responsabilità sancita dall'art. 2049 c.c. a carico dei padroni e committenti per il danno arrecato dal fatto illecito dei loro domestici e commessi, implicitamente richiamata dall'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, postula da un lato l'esistenza di un rapporto di lavoro o di commissione e, dall'altro, un collegamento tra il fatto dannoso del dipendente o del commesso e le mansioni da costoro disimpegnate: al qual fine non si richiede un vero e proprio nesso di causalità, ma è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso, cioè, che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro" (Cass. civ., sez. lav., 16 marzo 1990, n. 2154, GCM, 1990, fasc. 3)

rapporto di "occasionalità necessaria" (cfr., amplius, capitolo tredicesimo del volume "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012)

"la presunzione di responsabilità sancita dall'art. 2049 c.c. a carico dei padroni e committenti per il danno arrecato dal fatto illecito dei loro domestici o commessi, implicitamente richiamata dall'art. 10 del t.u. n. 1124 del 1965, postula da un lato l'esistenza di un rapporto di lavoro o di commissione e, dall'altro, un collegamento tra il fatto dannoso del dipendente o del commesso e le mansioni da costoro disimpegnate: al quale fine non si richiede un vero e proprio nesso di causalità, ma è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso, cioè, che l'incombenza svolta abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro" (Cass. civ., sez. lav., 9 giugno 1995, n. 6506, RI, 1995, II, 102; GCM, 1995, 6)

e trasporto marittimo di cose:

"in tema di trasporto marittimo di cose, nella disciplina del codice della navigazione, analogamente a quanto previsto dalla convenzione internazionale di Bruxelles del 25 agosto 1924, la responsabilità del vettore nei confronti del caricatore per la perdita delle cose medesime, ancorché i suddetti cumulino, rispettivamente, le qualità di armatore della nave e di proprietario della merce, ed il fatto sia ascrivibile ai dipendenti del vettore armatore, ha natura contrattuale ed è regolata dalle disposizioni degli art. 422 e 423 c.nav., mentre deve escludersi ogni possibilità di concorso dell'azione contrattuale con l'azione risarcitoria aquiliana, ai sensi degli art. 274 c.nav. e 2049 c.c., la quale è esperibile solo dai terzi estranei al rapporto di trasporto e non del creditore della prestazione contrattuale" (Cass. civ., sez. I, 26 luglio 1983, n. 5121, GCM, 1983, 7; AGCS, 1983, 729; GC, 1984, I, 841; GI, 1984, I,1,260; VN, 1984, 970).




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