-  Redazione P&D  -  17/10/2014

LA DELIBAZIONE DELLE SENTENZE ECCLESIASTICHE IN TEMA DI NULLITÀ MATRIMONIALI - Cass. Civ. sez. I sent. 19619/14 - I. FORTINA

La questione affrontata nella pronuncia in commento riguarda l"efficacia nell"ordinamento italiano di una sentenza di nullità matrimoniale pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico (resa poi esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica).

Ciò che in particolare viene in rilievo è la presunta contrarietà, addotta dalla ricorrente, della sentenza del Tribunale ecclesiastico all"ordine pubblico ed alla tutela della buona fede e dell"affidamento.

È subito da sottolineare che con l"espressione "ordine pubblico" deve intendersi l"insieme dei principi etici e politici dell"ordinamento statale; principi dunque ritenuti fondamentali per l"ordinamento giuridico.

Ma occorre andare per gradi.

È innanzitutto utile far presente che vige ancora nel nostro ordinamento, per le sole sentenze emesse da tribunali ecclesiastici, il procedimento di delibazione previsto dagli ormai abrogati articoli 796-805 cpc e ciò in forza del richiamo effettuato dall"art. 82 dell"Accordo di Villa Madama.

Detto procedimento si svolge dinnanzi alla Corte d"Appello territorialmente competente e con l"osservanza di alcuni principi fondamentali quali il rispetto del contraddittorio tra le parti, la non contrarietà ad altra pronuncia passata in giudicato ed ai principi fondamentali dell"ordinamento italiano nonché la conformità delle sentenze ecclesiastiche all"ordine pubblico statale.

Una volta effettuata una valutazione in tal senso e verificata la sussistenza dei predetti requisiti la Corte d"Appello adita potrà delibare la sentenza ecclesiastica conferendole, in questo modo, efficacia anche all"interno dell"ordinamento italiano.

Come compiutamente affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento, la valutazione che deve essere svolta dalla Corte d"Appello attiene il rispetto dei suddetti principi non potendo, al contrario, vertere sull"esame del merito della questione, già oggetto del giudizio ecclesiastico.

Sotto il profilo formale, dunque, la sentenza resa dalla Corte d"Appello non può essere oggetto di alcuna doglianza.

Sotto il profilo sostanziale, invece, viene lamentata la presunta contrarietà dell"impugnata sentenza in relazione a due profili: ordine pubblico e tutela dell"affidamento e buona fede del terzo, nel caso di specie, dell"altro coniuge.

La fattispecie in analisi prende le mosse dalla lamentata patologia psichica di un coniuge che, da un lato, è idonea a far dichiarare la nullità del matrimonio ai sensi del can. 1095 n. 3) (ossia per incapacità di un coniuge di assumere gli obblighi essenziali derivanti dal matrimonio) e, dall"altro, legittima un"impugnativa per errore del matrimonio ai sensi dell"art. 122, comma 3, n. 1 c.c. (che, invece, consente di impugnare il matrimonio per errore nell"ipotesi in cui il coniuge non sia a conoscenza dell"esistenza di una malattia fisica o psichica tale da impedirgli il normale svolgimento della vita coniugale).

È quindi evidente che ad una stessa situazione vengono posti due rimedi dai due diversi ordinamenti che, però, danno valore ad un medesimo fatto.

Ed è proprio questa circostanza che, secondo gli Ermellini, giustifica il rigetto delle pretese della ricorrente sotto il duplice ordine di contrarietà all"ordine pubblico e lesione del diritto alla tutela ed all"affidamento del coniuge.

Per quanto attiene al primo profilo e considerando la definizione sopra richiamata, tale diversità di disciplina non investe un principio fondamentale dell"ordinamento giuridico posto che la medesima circostanza è comunque presente sia nell"ordinamento giuridico italiano sia in quello ecclesiastico e consente, in entrambi i casi, di impugnare il matrimonio e giungere ad una pronuncia di invalidità da un lato e nullità dall"altro.

L"accertata patologia psichica, infatti, è prevista come motivo di impugnazione del matrimonio in entrambi gli ordinamenti seppure con modalità e conseguenze differenti.

Differenza che, secondo gli Ermellini, non si tradurrebbe in contrarietà della pronuncia ecclesiastica ai principi fondamentali dell"ordinamento.

In relazione al secondo profilo, invece, la norma da cui partire è l"art. 120 c.c. . In particolare, come confermato da consolidata giurisprudenza della stessa Corte, la presenza di un vizio psichico considerata dal Tribunale ecclesiastico ben potrebbe tramutarsi, nel nostro ordinamento, in un"ipotesi di incapacità di intendere e di volere prevista dall"art. 120 c.c. .

Seguendo il suddetto ragionamento, quindi, l"esigenza di rimuovere il vincolo matrimoniale sarebbe prioritaria rispetto alla rilevanza della buona o mala fede dell"altro coniuge proprio in considerazione dell"esistenza di un vizio - in questo caso di una patologia psichica - che per l"appunto vizia rapporto coniugale.

La differenza di discipline, quindi, non osta al riconoscimento della pronuncia ecclesiastica in quanto, seppure in forma diversa, entrambi gli ordinamenti tutelano il vincolo matrimoniale in ogni suo aspetto e, per tale ragione, la presenza di vizi tali da inficiarlo possono dare luogo ad una pronuncia di invalidità del vincolo medesimo.




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