-  Redazione P&D  -  03/09/2012

LA DISCIPLINA DELLE PERSONE GIURIDICHE NEL SECONDO '800 E NEL '900 - Mauro BERNARDINI

SOMMARIO: 1. Le leggi Rattazzi del 1862 e Crispi del 1890. Dalle opere pie alle Istituzioni pubbliche di beneficenza. Spinte e controspinte. – 2.Le persone giuridiche tra le due guerre mondiali. – 3. L"assetto normativo (generale) delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute nel Codice civile italiano del 1942. Ancora tra autonomia e dirigismo. L"art. 17 c.c. ; l"art. 36 c.c. - 4 l"erosione reale della differenza di trattamento fra associazioni riconosciute e non riconosciute, alla luce del nuovo ordinamento costituzionale e dell"esperienza di partiti e sindacati. Tutela della associazione e tutela degli associati. – 5. Una legge "tecnica" e una legge di settore quali spinte ulteriori alla equiparazione.

 

1.Le leggi Rattazzi del 1862 e Crispi del 1890. Dalle opere pie alle Istituzioni pubbliche di beneficenza. Spinte e controspinte

Anche dopo l"unità d"Italia, e l"avvento del Codice civile del 1865, la maggior parte delle associazioni private erano sprovviste di riconoscimento e dovevano qualificarsi come enti di fatto.

Tali erano le congregazioni religiose soppresse- cioè, come si è ritenuto in dottrina, con aderenza alla realtà dei fatti, private della capacità giuridica ma non ancora sciolte [1], le società operaie non registrate e, naturalmente, i nascenti raggruppamenti sindacali e poi, sullo scorcio del secolo XIX, anche politici[2].

Ciò non mancava di porre problemi, poiché la carenza di personalità giuridica portava inevitabilmente alla conclusione che un"associazione non riconosciuta, consistendo in una pluralità di singoli e non in un autonomo soggetto di diritto, venisse a trovarsi in una situazione particolarmente incongrua e precaria.

"I suoi beni appartenevano agli associati in regime di comunione, o ai suoi amministratori in proprietà "fiduciaria"…..il rapporto fra questi ultimi e gli associati era un ordinario rapporto di rappresentanza", con la conseguenza che, in mancanza di un mandato con procura, gli atti degli amministratori non potevano essere imputati agli associati[3] .

Ancora "gli iscritti rispondevano anche con il loro patrimonio dei debiti del gruppo ; eventuali clausole statutarie che derogassero a tali regole non sarebbero state opponibili ai terzi"[4] .

Accanto a queste realtà associative, così misconosciute, ce n"erano pure altre ; quelle che tradizionalmente, per la loro funzione assistenziale e di soccorso alla povertà e all"indigenza, si potevano raggruppare nelle due categorie delle "Confraternite"(ancora oggi, talvolta, esistenti e fiorenti) e delle "Opere Pie", a loro volta tutt"altro che scomparse, ma, proprio con l"unità d"Italia e poi con la sua consolidazione, profondamente trasformate.

Parlando di Opere Pie facciamo riferimento non più ad associazioni, ma, perlopiù, a fondazioni ; cioè non a gruppi di persone, che collaborano per raggiungere uno scopo comune (non economico), ma ad un patrimonio destinato ad un tale scopo ; e precisamente ad uno scopo altruistico e caritatevole basato,  ai primordi del cristianesimo, sull"amore del prossimo e sul dovere degli abbienti di soccorrere gli indigenti(periodo evangelico) ; e quindi, dopo che la Chiesa, con l"imperatore Costantino, viene riconosciuta come autonoma entità e consegue capacità di acquistare, tra l"altro, per successione, sull"iniziativa di quest"ultima.

Sorgono così asili per infermi, vecchi, orfani, bambini abbandonati, poveri in genere, viaggiatori e pellegrini. All"epoca delle Crociate, nelle quali, in quest"opera di soccorso, si distinguono anche alcuni ordini religiosi, quali i Cavalieri di Malta, i Templari, i Cavalieri di Rodi, l"attività assistenziale degli asili si estese ai poveri non ricoverati, aiutati con sussidi in danaro o in natura e sorsero istituzioni per procurare una dote alle ragazze povere(periodo ecclesiastico)[5].

In epoca comunale si aggiungono le iniziative delle corporazioni di arti e mestieri, volte soprattutto alla fondazione di ospedali e, come accennato, sorgono Confraternite, sia ecclesiastiche, sia laiche, per un"attività caritativa e assistenziale. Fiorenti quelle sorte in Toscana e a Firenze, ad es. l"Arciconfraternita della Misericordia, nata nel 1244 e diffusasi in tutta la regione, con funzioni di immediata assistenza e di pronto soccorso, tuttora esistente[6].

Venendo più vicino a noi, e cioè al settecento, specie in alcune regioni, come ad es. la Lombardia sotto l"imperatore Giuseppe II, vengono dettate norme restrittive della facoltà, di siffatte Istituzioni, di acquistare e possedere e si stabiliscono disposizioni per la  loro amministrazione, laicizzandola e sottoponendola a controllo governativo.

Sotto il Regno Italico di Napoleone, poi, nelle città capoluogo di Dipartimento, l"amministrazione degli ospedali, orfanotrofi, luoghi pii, lasciti e fondi di beneficenza di qualunque natura è riunita in una sola amministrazione, detta "Congregazione di Carità".

Ma nel Regno Lombardo-Veneto, creato nel 1815 con la Restaurazione, le Congregazioni di Carità furono soppresse e fu ordinata nuovamente la separazione delle amministrazioni e dei beni delle singole opere pie (1819), peraltro sottoposte a tutela e vigilanza.

Anche nel (restaurato) Regno di Sardegna si aveva una situazione simile, fondata sull"autonomia degli enti, peraltro sottoposti ad un peculiare regime amministrativo e di tutela, variante da provincia a provincia(coesistevano le Congregazioni di Carità in Piemonte, le "Giunte" nel ducato di Genova, il Consiglio generale, i Consigli provinciali ed infine, per ogni Comune, i Consigli locali di Carità, in Sardegna).

Si provvide ad una unificazione con la L. 1 marzo 1850, n. 1001, con la quale tutte le opere pie sono assoggettate alla tutela ed al controllo sui bilanci e sono soppresse le Congregazioni e Giunte generali e provinciali, attribuendosi ai Comuni un potere di sorveglianza.

E" questo l"humus – caratterizzato, come si è visto, dalle iniziative altruistiche dei secoli precedenti, volte appunto a soccorrere la povertà e l"indigenza con rimedi di carattere privato, ispirati dalla pietas religiosa - su cui si misura, a sua volta, la legislazione del Regno d"Italia[7].

Esso riconosce l"esistenza e l"utilità delle opere pie, specie  in "assenza di una politica che desse allo Stato la capacità di appagare in modo soddisfacente  i bisogni dei poveri", ma, sulla scia della precedente legislazione piemontese, ritiene di esercitarvi una propria ingerenza, avviandone una trasformazione in senso pubblicistico.

A questo sviluppo concorre anzitutto la legge sull"amministrazione  delle opere pie, 3 agosto 1862, n. 753, c.d.Rattazzi (dal nome del Presidente del Consiglio dei Ministri del tempo).

Essa prende atto, come detto, dell"utilità sociale di siffatte Istituzioni, laiche o religiose che siano, in quanto aventi fini di "carità e di beneficenza", e dotate del proposito di "soccorrere alle classi meno agiate, tanto in stato di sanità che di malattia, di prestare loro assistenza, educarle, istruirle ed avviarle a qualche professione, arte o mestiere" (artt. 1 e 2 della legge) ; e consente loro di farlo secondo i propri statuti e regolamenti(art. 5)[8].

Dall"altro lato, però, istituisce regole stringenti sui libri e gli atti contabili ; affida alle Deputazioni provinciali l"approvazione dei principali atti di gestione patrimoniale degli enti ed istituisce in ogni Comune una Congregazione di Carità, composta di cinque membri, nominati dal Consiglio comunale, con il compito di amministrare i beni, destinati ai poveri, che fossero rimasti per qualsiasi causa senza ente gestore (art. 29)[9].

Ciononostante le opere pie furono a lungo valutate "come persone giuridiche di ragione privata, salvo una specie di patronato e di tutela più municipale che statale"[10].

Fu Francesco Crispi (a sua volta Presidente del Consiglio dei Ministri), nel 1889, a proporre un progetto di riforma, completo ed organico, della normativa in materia ; il quale divenne, poi, la nota L. 17 luglio 1890, n. 6792 sulle Istituzioni Pubbliche di beneficenza (opere pie), detta appunto legge Crispi, seguita nel 1891 dai regolamenti amministrativo e di contabilità ; rimasta in vigore per oltre un secolo ed abrogata solo nel 2001, con il D.Lgs. n. 207/ 2001.

Secondo un"autorevole opinione del tempo ci si ispirò al criterio di semplificare e rendere più economica l"amministrazione dell"ente, anche con riguardo al personale dipendente ; promuovere la graduale conversione dei beni dell"ente in titoli del debito pubblico ; inasprire la responsabilità degli amministratori, ammettendosi contro di loro, e contro i terzi, l"azione popolare ; concentrare le opere pie affini ; ma ci si attenne anche ai criteri, assai più "politici", di alleare la beneficenza alla previdenza ; di restituire (o meglio di attribuire) all"autorità civile, in materia di beneficienza pubblica, il potere già esercitato dal Clero, direttamente o indirettamente ; trasformare le confraternite, le opere pie di culto e i lasciti o legati di culto in istituzioni di beneficenza, salvi i diritti quesiti[11] .

Si trattò di una riforma, in senso dirigistico e, a tratti, autoritario, con pesante sovrapposizione di un calco pubblicistico ad iniziative spontanee e private; già preannunciato nel nuovo nome degli enti, come detto originati dalla pietas , dall"amore del prossimo, se si vuole anche da finalità sociali, ma ora definiti tout court "Istituzioni pubbliche di beneficenza".

I loro amministratori sono espressamente qualificati "pubblici ufficiali"; la gestione è minuziosamente regolata e sottoposta a vigilanza ed ingerenza degli organi  pubblici ; ne è prevista, oltre che il concentramento (di quelle puramente elemosiniere nella Congregazione di Carità) ed il raggruppamento (di quelle fra loro affini), anche la trasformazione, qualora, ai sensi dell"art. 70 della legge, "per il fine loro più non corrispondano ad un interesse della pubblica beneficenza"; viene fatto carico alle Congregazioni di Carità di promuovere il riconoscimento, delle (nuove) istituzioni benefiche fondate con donazioni o lasciti testamentari, cioè con atti squisitamente privati, nelle forme peculiari del diritto pubblico[12], destinandole così a trasformazione, fin dall"inizio, in Istituzioni pubbliche. Si parlò in dottrina(D"Amelio), con formula riassuntiva del nuovo singolare (e contraddittorio) schema, di "Ente morale pubblico"[13]

In quest"epoca, caratterizzata, in materia di enti, dalle laconiche e sovente restrittive disposizioni del Codice civile del 1865, sia il nuovo Codice civile, del 1942, che dopotutto conterrà norme preziose in materia di soggettivazione delle associazioni non riconosciute, sia, soprattutto, la Costituzione, con i suoi principi di libertà di associazione e di libertà di assistenza privata, sono ancora di là da venire.

Né basteranno subito, nel senso di una liberalizzazione e di un effettivo pluralismo ; è infatti solo sullo scorcio del secolo XX, a quasi cento anni dalla legge Crispi,  con la sentenza della Corte costituzionale n. 396/1988, che l"art 1 della stessa legge verrà dichiarato incostituzionale ; con la conseguenza sia della possibilità  che enti di nuova istituzione operanti nel settore dell"assistenza e della beneficenza possano essere riconosciuti come persone giuridiche private, sia che le istituzioni preesistenti non siano considerate senz"altro enti pubblici, qualora sussistano, in essi, non controvertibili elementi di natura privatistica. (ma su tale, fondamentale sentenza, e sul successivo sviluppo, culminato nel D.lgs. n. 207/2001, non è ora il caso di indugiare, pena una perdita di continuità del discorso storico più generale).  

2.Le persone giuridiche tra le due guerre mondiali.

In questo periodo, con l"avvento della dittatura, la vicenda delle persone giuridiche, almeno di quelle non promosse o non fatte proprie dal regime o dallo stesso Partito Nazionale Fascista, PNF, non volge certo nel senso della libertà e del pluralismo;  ma finisce per risentire delle connotazioni dello Stato totalitario, sia pure, non di rado, connotate da aderenza alla realtà, a situazioni preesistenti e ad esigenze sociali effettivamente sentite.

In particolare per quanto riguarda le associazioni (non riconosciute), con la normativa della L. n. 2029/1925 (art. 1), rifluita poi nel T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza dell"anno successivo (art. 214), traendo spunto da una politica antimassonica e, più in generale, contraria alle società segrete, esse vengono obbligate a comunicare alla Polizia "l"atto costitutivo, lo statuto e i regolamenti interni, l"elenco nominativo delle cariche sociali e dei soci ed ogni altra notizia intorno alla loro organizzazione ed attività"[14]

Questa normativa, unitamente ai poteri prefettizi di scioglimento e di confisca dei beni, consente,  nel drammatico biennio 1925-1926, sia di sopprimere la Federazione della Stampa – e, con essa, la libertà di stampa - sia i partiti e i gruppi di opposizione.

Nel campo sindacale, per converso, si proclama, in principio, che "l"organizzazione sindacale è libera", soggiungendosi però subito dopo.

"Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori per cui è costituito ; di tutelarne, di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali, gli interessi ; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, di imporre loro contributi e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico".

E" la non certo sconosciuta disposizione III della Carta del Lavoro, approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 21 aprile 1927.

Secondo una legge speciale (n. 563/1926), il riconoscimento del sindacato doveva avvenire per decreto reale, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell"Interno, sentito il parere del Consiglio di Stato. Tale riconoscimento era sottoposto a molte condizioni : che l"associazione professionale avesse una certa rappresentatività, si proponesse anche scopi di assistenza, istruzione ed educazione degli iscritti, vedesse alla sua direzione persone tali da dar garanzia di capacità, moralità e di sicura fede nazionale, fornite, naturalmente di "buona condotta politica", fosse indipendente da organizzazioni internazionali ed avesse, al suo interno, un organo disciplinare.

Nella stessa ottica, associazioni ed istituti promossi dal PNF godevano di piena capacità giuridica e d"agire ed avevano, in specifico, "la capacità di acquistare, possedere ed amministrare beni, di ricevere lasciti e donazioni, di stare in giudizio e di compiere in generale, tutti gli atti giuridici necessari per il conseguimento dei propri fini" (art. 1 L. n. 1310/1928).

Si sono così  inscritti in questo  favorevole status - di cui non godeva certo, e di cui, a lungo, dopo il nuovo Codice civile del 1942, ancora non godrà  la generalità degli enti riconosciuti - sia istituzioni preesistenti, come l"Opera Invalidi di Guerra e l"Opera Nazionale Combattenti, fondate entrambe con leggi del 1917, sia istituzioni create ex novo , come, ad es., l"Opera Nazionale Maternità ed Infanzia, fondata nel 1925, destinata a lunga sopravvivenza e il Comitato Olimpico Nazionale, CONI, com"è ben noto tutt"ora esistente ed in piena funzione .

Quest"ultimo, già nel 1927, vede approvato il suo peculiare statuto, anche se poi il suo riconoscimento come ente morale è solo del 1934 ; ed in tale statuto è stabilito che tutte le società sportive siano affiliate ad una sua Federazione; che, per ogni disciplina sia riconosciuta una sola Federazione ; che i Prefetti autorizzino solo le prove agonistiche approvate dal CONI[15]

Tornando alle Opere Pie, o meglio, a quella sorta di enti pubblici anomali in cui esse, con la legislazione del 1890, erano state trasformate, pure l"orientamento pubblicista in materia si era rafforzato.

Con R.D. 30 dicembre 1923, n. 2841 la legge Crispi era stata riformata ed il regime degli Istituti di beneficenza veniva  esteso anche alle opere di assistenza, mentre una peculiare disciplina veniva riservata per gli Istituti ospedalieri e le spese di spedalità.

Cambiava lo stesso nome : non più Istituzioni Pubbliche di Beneficenza, ma Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, IPAB. Sigla ben nota, con cui tali entità sono rimaste nell"esperienza e nella memoria collettiva, anche se a far tempo dal 2001, come accennato, tutto il settore, in un"ottica più funzionale e pluralista, è stato ridisciplinato ; biforcandosi, giustamente, in un ramo privato ed in un ramo pubblico.

Il suo ramo pubblico fa centro, oggi,  non più sulle IPAB, ma sulle Aziende pubbliche di Servizi alla Persona, in sigla ASP (di cui agli artt. 5 e ss. del D.Lgs. n. 207/2001).

 



[1] Così, ad es., F.FERRARA, Le persone giuridiche, in Tratt. Dir. Civ. It. Diretto da F:VASSALLI, rist. II edizione (con note di F.Ferrara junior), Utet, Torino, 1958, p. 401 e,  assai prima, Teoria delle persone giuridiche, in Dir. Civ. It. secondo la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.FIORE, continuato da B.BRUGI, Marghieri-Utet, Napoli-Torino, 1915, p. 527.

Trattando delle associazioni non riconosciute e dei comitati rileva l"illustre A. "Infine le associazioni possono non ottenere la personalità perché la legge lo vieta. Così per gli enti soppressi. La soppressione, infatti, implica sottrazione di capacità giuridica, ma non importa per sé sola scioglimento dell"associazione, e quindi è possibile che l"ente soppresso continui a vivere nella condizione di ente non riconosciuto"

[2] Cfr. M.BASILE, Le persone giuridiche, in Tratt.Dir.Priv. a cura di G.IUDICA e P.ZATTI, Giuffrè, Milano, 2003, p. 6

[3] M.BASILE, op.cit., p.7

[4] Così ancora M.BASILE, op.loc.cit.

[5] Su questi aspetti storici più risalenti, come pure su quelli seguenti, di cui subito oltre nel testo, cfr. S.D"AMELIO, voce Beneficenza e assistenza pubblica, ", in Nuovo Digesto Italiano, vol. II, Utet, Torino, 1937, p. 261 ss. nonché  L. SIGNORELLI, voce "Opere pie, ivi, vol IX, 1939, p. 102 ss.

[6] Per una prima, interessante informazione www.misericordia .firenze.it/home/chi siamo e, inoltre, storia e percorso storico

[7] Per un inquadramento storico di carattere generale v., ad es., C.BERSANI,Il pluralismo sei soggetti-Modello dell"opera pia e disciplina della personalità giuridica dai codici preunitari all"Unità, Giuffrè, Milano, 1997

[8] In proposito v., ad es., il breve, perspicuo contributo di A:SANTUARI, Ma le opere pie sono proprio da demonizzare?Qualche riflessione sulle vicende del Pio Albergo Trivulzio di Milano, 20 febbraio 2011, leggibile nel sito www.personaedanno.it , in cui l"A. riporta la (premessa della) circolare del Ministro dell"Interno Peruzzi, 23 dicembre 1862, ispirata a criteri di libertà e di pluralismo, quali quelli che presiedettero alla nascita delle istituzioni benefiche.

[9] Cfr. M.BASILE, op.cit., p. 13

[10] S.D"AMELIO, La beneficenza nel diritto italiano, Tip. Mantellate, Roma, 1928, p.117

[11] O.LUCHINI, Le Istituzioni pubbliche di beneficenza nella legislazione italiana, Barbera, Firenze, 1894, pp. LX-LXI ; cfr. pure L.SIGNORELLI, op.cit., pp. 108.  Quest"ultimo ricorda come, a detta del D"AMELIO, op.cit. , p. 232, il sistema della legge del 1890 sia stato definito "una vera transazione  circa il limite della funzione dello Stato e degli enti pubblici sulla beneficenza ed assistenza sociale, specialmente in relazione alla carità pubblica e privata"

[12] Cfr. M. BASILE, op.cit., p. 14: Cfr. pure l"interessante lavoro di G.ROCCA, Le I.P.A.B. oggi: verso la privatizzazione, in Giur It., 1990, p. 12

[13] Cfr. ancora A. SANTUARI, op.cit., p.3, il quale rileva, sinteticamente e con un semplice gioco di parole, come si passò da un modello di "Istituzione di pubblica beneficenza" (tuttavia pur sempre privata, conforme alle sue origini) ad un modello opposto di  "Istituzione pubblica di beneficenza"(organicamente, inesorabilmente inquadrata nella Pubblica Amministrazione, in prevalenza governativa, con ogni conseguenza).

[14] Cfr. ancora, su questo punto e sugli altri toccati subito dopo nel testo, M.BASILE, op.cit., pp. 7-11. Per un approfondimento v. pure A.AQUARONE, L"organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1965

[15] Cfr. i sempre precisi e perspicui riferimenti di M. BASILE, op.cit., p. 10.




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