-  Rossi Stefano  -  08/03/2013

LA RESPONSABILITA MEDICA, NONOSTANTE BALDUZZI, E ANCORA CONTRATTUALE – Trib. Arezzo, 14.2.2013 – Stefano ROSSI

Con sentenza del 14 febbraio 2013, il Tribunale di Arezzo ha affrontato e risolto la controversia conseguente ad una richiesta risarcitoria avanzata, in proprio e per conto del figlio, dai genitori di un minore per danni subìti da quest"ultimo a seguito alla perdita del testicolo sinistro (conseguita a tardiva diagnosi di torsione del funicolo) e di quelli sofferti dagli stessi genitori per il comprensibile "ingiusto patimento".

 Interessante appare il passaggio della pronuncia in cui si riafferma la natura contrattuale della responsabilità medica.

A seguito del recente intervento normativo compiuto col c.d. decreto Balduzzi e con la legge di conversione n. 189/2912 si era infatti posto il dubbio interpretativo che si fosse imposta una svolta nella definizione dei criteri di accertamento della responsabilità medica, finora consolidati nel senso dell"applicazione delle regole concernenti la responsabilità contrattuale.

In questo senso è ormai noto che il riferimento all"art. 2043 c.c. contenuto nell"art. 3, co. 1° della citata l. n. 189/12 ha indotto a dubitare della possibilità di continuare ad applicare in modo generalizzato i criteri di accertamento della responsabilità contrattuale, fino a far ritenere che "il Legislatore sembra (consapevolmente e non per dimenticanza) suggerire l"adesione al modello di responsabilità civile medica come disegnato anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di contratto, il paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l"azione aquiliana" (Trib. Varese, n. 1406 del 26.11.12).

La disposizione in questione recita: "L"esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l"obbligo di cui all"art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo comma".

La norma che qui interessa è quella del secondo periodo, che dev"essere però interpretata in stretta correlazione con quella del periodo precedente, alla quale espressamente si collega in virtù dell"incipit "in tali casi".

Tenuto conto che il primo periodo prevede l"esclusione della responsabilità penale (per colpa lieve) in favore dei sanitari che si attengano alle linee guida e alle buone pratiche accreditate (introducendo quella che -secondo i primi commenti- parrebbe integrare un"esimente speciale), la norma del secondo periodo ha la funzione di chiarire che l"esclusione della responsabilità penale non fa venir meno l"obbligo di risarcire il danno (in ciò sostanziandosi "l"obbligo di cui all"art. 2043 c.c."); il terzo periodo precisa, poi, che nella "determinazione del risarcimento" deve tenersi debitamente conto della condotta conforme alle linee guida e alle buone pratiche (condotta rilevante, più propriamente, nell"accertamento dell"obbligo di risarcimento, mentre l"espressione "determinazione del risarcimento" rimanda piuttosto alla quantificazione dello stesso, ossia ad un momento che presuppone la già avvenuta affermazione della responsabilità, al quale è dunque estranea ogni ulteriore valutazione della condotta del sanitario).

Atteso che richiamo all"art. 2043 c.c. è limitato all"individuazione di un obbligo ("obbligo di cui all"art. 2043 del codice civile", che equivale a dire "obbligo di risarcimento del danno"), senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell"accertamento della responsabilità risarcitoria (se non che deve tenersi "debitamente conto" del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche), non sussistono ragioni per ritenere che la novella legislativa incida direttamente sull"attuale costruzione della responsabilità medica ("diritto vivente") e che imponga un revirement giurisprudenziale nel senso del ritorno ad un"impostazione aquiliana, con le consequenziali ricadute in punto di riparto degli oneri probatori e di durata del termine di prescrizione.

Va considerato, al riguardo, che, per quanto l"art. 2043 c.c. costituisca la norma cardine della responsabilità risarcitoria da fatto illecito, la concreta disciplina della responsabilità aquiliana è contenuta altrove (segnatamente negli artt. 2697 e 2947 c.c., in ordine alla distribuzione degli oneri probatori e al termine di prescrizione, e negli artt. 2055 e segg. c.c., in ordine alla solidarietà passiva e alle modalità risarcitorie), così come la responsabilità contrattuale trova la sua disciplina non solo nell"art. 1218 c.c., ma anche negli artt. 2946 (prescrizione decennale) e 1223 e segg. c.c. (quanto alla selezione e quantificazione dei danni risarcibili); non può dunque affermarsi che richiamare un obbligo equivalga a richiamare un"intera disciplina e deve quindi concludersi che il riferimento all"art. 2043 c.c. (si badi: non alla disciplina dell"illecito extracontrattuale, ma esclusivamente all"obbligo "di cui all"art. 2043 del codice civile") sia del tutto neutro rispetto alle regole applicabili e consenta di continuare ad utilizzare i criteri propri della responsabilità contrattuale.

Va ulteriormente considerato che, se fosse vero che il richiamo all"art. 2043 impone l"adozione di un modello extracontrattuale, si dovrebbe pervenire, a rigore, alla conseguenza -inaccettabile- di doverlo applicare anche alle ipotesi pacificamente contrattuali (quali sono quelle ex art. 2330 e segg.), dal momento che il primo periodo dell"art. 3, 1° co. considera tutte le possibili ipotesi di condotte sanitarie idonee ad integrare reato (che possono verificarsi indifferentemente sia nell"ambito di un rapporto propriamente contrattuale, quale quello fra il paziente e il medico libero professionista, che in un rapporto da contatto sociale) e il secondo periodo richiama tutte le ipotesi di cui al primo periodo ("in tali casi"), senza operare alcuna distinzione fra ambito contrattuale proprio ed assimilato; non sarebbe dunque consentita la limitazione (affermata per certa da Trib. Varese cit.) del ripristino del modello aquiliano per le sole ipotesi di responsabilità da contatto. Deve, allora, pervenirsi alla ragionevole conclusione che, conformemente al suo tenore letterale, alla collocazione sistematica e alla ratio certa dell"intervento normativo (da individuarsi nella parziale depenalizzazione dell"illecito sanitario), la norma del secondo periodo non ha inteso operare alcuna scelta circa il regime di accertamento della responsabilità civile, ma ha voluto soltanto far salvo ("resta comunque fermo") il risarcimento del danno anche in caso di applicazione dell"esimente penale, lasciando l"interprete libero di individuare il modello da seguire in ambito risarcitorio civile.

In conclusione: l"art. 3, 1° co. l. n. 189/12 non impone alcun ripensamento dell"attuale inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria (che non sarebbe neppure funzionale ad una politica di abbattimento dei risarcimenti giacché la responsabilità solidale della struttura nel cui ambito operano i sanitari che verrebbero riassoggettati al regime aquiliano conserverebbe comunque natura contrattuale, in virtù del contratto di "spedalità" o "assistenza sanitaria" che viene tacitamente concluso con l"accettazione del paziente), ma si limita (nel primo periodo) a determinare un"esimente in ambito penale (i cui contorni risultano ancora tutti da definire), a fare salvo (nel secondo periodo) l"obbligo risarcitorio e a sottolineare (nel terzo periodo) la rilevanza delle linee guida e delle buone pratiche nel concreto accertamento della responsabilità (con portata sostanzialmente ricognitiva degli attuali orientamenti giurisprudenziali).

Il Giudice pertanto conclude notando che anche nel caso in esame (concernente un"ipotesi responsabilità della USL 8 per il pregiudizio che si assume conseguito a condotta colposa dei sanitari dell"ospedale) debbano applicarsi i criteri propri della responsabilità contrattuale (cfr. Cass. Sez. Un. n. 577/2008 secondo cui l"attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l"esistenza del contratto -o il contatto sociale- e l"insorgenza o l"aggravamento della patologia ed allegare l"inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore l"onere di dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, non è stato eziologicamente rilevante).

 

Testo della sentenza tratto da www.ilcaso.it

 Per approfondimenti

Baggio S., La responsabilità della struttura sanitaria, Giuffrè, Milano, 2008

Farneti A., Cucci M., Scarpati S. (a cura di), Problemi di responsabilità sanitaria, Giuffrè, Milano, 2007

Franzoni M., Le responsabilità nei servizi sanitari, Zanichelli, Bologna, 2011

Rossi S., Contatto sociale (fonte di obbligazione), in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento V, Utet, Torino, 2010, pag. 346 ss.

 




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