Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  16/07/2021

Lavoro e disabilità. Illegittimo il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica - Cassazione, Sez. Lav., sentenza n. 6497/2021. – Antonella Tamborrino

La Cassazione dichiara illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore ponendo a carico del datore di lavoro l’obbligo di adottare i c.d. accomodamenti ragionevoli.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione nella sua recente pronuncia del 9 marzo 2021 n. 6497 ha ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore con disabilità per sopravvenuta  inidoneità fisica alla mansione, confermando la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore ex co. 4 dell’art. 18 della legge n. 300/1970 e alla corresponsione in suo favore, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione effettiva.

Il giudice di legittimità riconosce sussistente in capo al datore di lavoro l’obbligo di adottare misure, c.d. accomodamenti ragionevoli, ancorché gravanti sull’organizzazione dell’azienda, volte ad evitare il licenziamento, salvo il limite dell’eventuale sproporzione degli oneri a carico dell’impresa stessa. Pertanto, la Corte, conformemente agli obiettivi della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, sancisce che il datore di lavoro debba svolgere previamente la verifica della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro.

Al proposito, il comma 3 bis dell’art. 3 del d.lgs. 9 luglio 2003 n. 216 di attuazione della precitata Direttiva, introdotto dal d.l. 28 giugno 2013 n. 76 conv. con modif. dalla l. 9 agosto 2013 n. 99, precisa espressamente che al fine di garantire il rispetto della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro, in modo tale da garantire ad esse la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. Tuttavia, al riguardo, la stessa Corte sottolinea che il contenuto di tale obbligo non possa essere tipizzato in condotte prescrivibili, ossia non possa essere determinato in astratto, per cui il legislatore demanda all’interprete il compito di individuare, in riferimento alla fattispecie concreta, il contenuto specifico del suddetto obbligo.

La Corte, nella pronuncia in parola, richiama il concetto di «soluzioni ragionevoli» statuito dalla Corte di Giustizia, mirante all’eliminazione delle diverse barriere che possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale delle persone con disabilità rispetto a tutti gli altri lavoratori (cfr. sentenze 11 aprile 2013, HK Danmark, C-335/11 e C-337/11; 4 luglio 2013, Commissione/Italia, C-312/11; 11 settembre 2019, DW, C-397/18).

In ogni caso, la Suprema Corte precisa che tali «adattamenti organizzativi» devono essere adottati «secondo il parametro (e con il limite) della “ragionevolezza”» garantendo, ex art. 2103 c.c., l’inviolabilità in peius delle posizioni lavorative degli altri lavoratori ed evitando oneri organizzativi eccessivi per il datore di lavoro tenuto conto delle peculiarità dell’azienda e delle sue risorse finanziarie (cfr. Cass. n. 27243/2018; Cass. n. 6678/2019; Cass. n. 18556/2019; Cass. 34132/2019). Ne consegue che, in tale determinazione, dovranno essere contemperati i contrapposti interessi del lavoratore disabile, al mantenimento dell’impiego adeguato al suo stato fisico e psichico nella situazione di oggettiva ed incolpevole difficoltà, e del datore di lavoro, di ottenere una prestazione lavorativa utile per l’impresa, considerando, in ogni caso, che ex art. 23 della Costituzione non possono essere previste prestazioni assistenziali non contemplate dalla legge e che il Considerando 17 della Direttiva 2000/78/CE non prescrive il mantenimento dell’occupazione di un lavoratore non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione. Ulteriormente, la Suprema Corte sottolinea che dovrà valutarsi, comparativamente, anche l’interesse degli altri lavoratori al non pregiudizio delle proprie situazioni soggettive a seguito della modifica organizzativa.

Inoltre, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata dalla Nazioni Unite nel 2006, include tra le forme di discriminazione fondata sulla disabilità il rifiuto di un accomodamento ragionevole, intendendo per “accomodamento ragionevole” «le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali» (cfr. art. 2).

In particolare, l’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE sancisce che, al fine di garantire il rispetto del principio di parità di trattamento delle persone con disabilità, sono previste «soluzioni ragionevoli», ossia appropriati provvedimenti assunti dal datore di lavoro in funzione delle esigenze delle situazioni concrete in modo tale da permettere alla persona disabile di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti comportino un onere finanziario sproporzionato per il datore di lavoro. Sproporzionalità determinata dai costi finanziari o di altro genere determinati dalle misure da adottare, dalle dimensioni e dalle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e dalla possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni (cfr. Considerando 21 Direttiva 2000/78/CE; conformemente in giurisprudenza Cass. SS.UU. n. 7755/1998; Cass. n. 27243/2018; Corte Cost. n. 78/1958; Corte Cost. n. 316/1990; Corte Cost. n. 356/1993). 

Parimenti, in materia di collocamento obbligatorio di persone con disabilità, ex co. 3 dell’art. 10 della legge 12 marzo 1999 n. 68, a seguito dell’eventuale aggravamento delle condizioni di salute del soggetto assunto tale da porre problemi di incompatibilità con la prosecuzione dell’attività lavorativa, il lavoratore disabile avrà diritto, fino a che l’incompatibilità persista, alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro,il quale potrà essere risolto soltanto nell’ipotesi in cui anche adottando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la Commissione integrata di cui all’art. 4 della legge n. 104/1992 constati la definitiva impossibilità di reinserire il lavoratore disabile all’interno dell’azienda.

I lavoratori che, invece, a seguito di malattia o infortunio, diventano inabili allo svolgimento delle proprie mansioni, non possono essere licenziati qualora possano essere adibiti a mansioni equivalenti o, in mancanza, mansioni inferiori (cfr. co. 4 art. 4 l. n. 68/1999 e art. 42 d.lgs. 81/2008 di pari tenore normativo).

Pertanto, l’impossibilità di ricollocare il lavoratore disabile adibendolo a mansioni compatibili con il suo stato di salute non esaurisce gli obblighi del datore di lavoro che voglia licenziarlo, in quanto qualora sussistano i presupposti di applicabilità del co. 3 bis dell’art. 3 del d.lgs. n. 216/2003 sarà tenuto a porre in essere “accomodamenti ragionevoli” che consentano il mantenimento del posto di lavoro in un’ottica di solidarietà sociale ex art. 2 della Costituzione.

 




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