-  Bernicchi Francesco Maria  -  06/11/2013

OMICIDIO COLPOSO E POSIZIONI DI GARANZIA NELLE CASE DI RIPOSO - Cass. Pen. 23661/13 - F.M. BERNICCHI

Si prende in esame una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. IV Penale n.23661 depositata in data 31 Maggio 2013) in tema di omicidio colposo e relativa imputabilità.

Il fatto, in breve: il Gup di Voghera condannava Tizio e Caia per omicidio colposo in danno di Mevia, signora di 76 anni ricoverata nella casa famiglia Villa Alfa S.r.l., residenza per anziani; la donna nella notte cadeva dalla finestra della stanza in cui era ricoverata, cagionandosi lesioni che dopo una quindicina di giorni la portarono alla morte.

Gli imputati erano stati chiamati a giudizio nelle rispettive qualità: Tizio, come legale rappresentante della società che gestiva la casa famiglia e Caia in qualità di dipendente della predetta società, addetta all'assistenza degli ospiti della casa di riposo.

La signora Mevia era stata ricoverata nella casa di riposo dai propri familiari che avevano informato Tizio, responsabile della struttura, delle sue condizioni di salute e cioè che la medesima era affetta da demenza senile di origine vascolare e degenerativa, la malattia di Alzheimer, che comporta, come tristemente noto, tipici problemi alla memoria e al linguaggio, stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio temporale.

Per quanto concerne il tragico incidente è stato chiarito che la donna era caduta dalla finestra della stanza nella quale era ricoverata: si trattava di una finestra collocata a un altezze di circa un metro e 30 da terra, la cui chiusura, in particolare quella degli scuri, richiedeva una certa pressione. Tuttavia era inequivocabile che la donna fosse riuscita ad aprirla e che la medesima fosse salita sul davanzale e, senza rendersi conto di sporgersi nel vuoto, avesse proseguito a camminare, spinta dalla volontà di uscire, cadendo perpendicolarmente a terra e cagionandosi le lesioni che poi la conducevano a morte.

Il provvedimento del Giudice dell'udienza preliminare è stato confermato anche dalla Corte d'Appello di Milano che ha ritenuto entrambi gli imputati responsabili dell'accaduto in quanto entrambi portatori di una posizione di garanzia nelle rispettive qualità.

RICORSO PER CASSAZIONE:

Caia, ricorre deducendo inosservanza, erronea applicazione e contraddittorietà della sentenza di II grado per quanto concerne l'individuazione della posizione di garanzia e della colpa dell'imputata stessa. Quest'ultima, anzi, rileva che la Corte d'Appello ha sviluppato tutta una serie di inosservanze, violazione e comportamenti colposi tutti riconducibili al solo Tizio, legale rappresentante della struttura Alfa.

Per Caia, fu Tizio a decidere di collocare la donna in una stanza al I piano pur conoscendo la malattia e il fatto che fosse affetta da disorientamenti: egli, oltre che aver assunto tale imprudente decisione, non avrebbe dovuto affidare la cura di Mevia a Caia che non possedeva i requisiti professionali per occuparsi di un soggetto portatore di tale malattia.

Dunque si doveva affermare, e peraltro le circostanze di fatto sono state riconosciute dalla stessa sentenza di appello, l'esistenza di una totale, assorbente responsabilità colposa omissiva a carico del legale rappresentante della residenza per anziani, che aveva tenuto un comportamento gravemente omissivo, di per sé sufficiente cagionare l'evento e tale da interrompere il nesso causale.

Tizio deduce in primo luogo violazione di legge ed in particolare dell'art. 40 c.p., comma 2, in relazione all'individuazione dell'obbligo giuridico di impedire l'evento.

Sostiene che non sussisterebbe una posizione di garanzia di Tizio sia perchè non era responsabile medico della struttura, tale essendo il dottor Sempronio, ma soltanto responsabile amministrativo; sia perchè non sussisteva la necessità di grate, parapetto o inferriate alla finestra della camera dov'era ricoverata la paziente atteso che tali presidi di contenimento sono previsti soltanto per caserme o carceri e non sono obbligatorie per delle case di riposo; sostiene che in ogni caso non gli era stata data comunicazione della condizione della signora Mevia e non gli erano stati riferiti precedenti comportamenti della medesima che potessero far ritenere la possibilità di un'azione del genere di quella posta in essere: si è trattato di un atto inconsulto e imprevedibile, privo di indici premonitori.

 

Per la Corte di Cassazione i ricorsi non meritano accoglimento.

Per la posizione di Caia è ovvio che ella prestandosi a svolgere una mansione di controllo dei pazienti ricoverati nella casa di salute ha assunto di fatto una posizione di garanzia nei confronti dei degenti.

Inoltre, pur non avendo Caia una qualifica professionale di tipo infermieristico, prestava da tempo la propria opera in una struttura per anziani e doveva pertanto essere a conoscenza dei problemi tipici dell'età avanzata e dei disturbi collegati alla malattia dell'Alzheimer che, secondo nozioni di comune esperienza, priva il soggetto della capacità di determinarsi e rendersi conto delle proprie azioni.

Caia sapeva perfettamente delle situazione di salute di Mevia anche perchè emerge dalla sentenza che, proprio per far fronte all'assenza di autocontrollo da parte della degente, Caia era ricorsa alla chiusura a chiave notturna della stanza, mezzo del tutto inadeguato a evitare il pericolo che la donna potesse procurarsi delle lesioni anche semplicemente cadendo dal letto o invece cercando, come fece, di uscire comunque dalla stanza, con il tragico epilogo che si è verificato.

Pacifica, dunque, la sua responsabilità.

Per quanto concerne Tizio, correttamente è stata accertata a suo carico una posizione di garanzia nei confronti dei paziente ricoverati nella casa di cura dallo stesso amministrata, posizione che deriva dal c.d. contratto di spedalità che il paziente stipula con l'ospedale o in genere con la struttura alla quale si rivolge per prestazioni mediche, secondo quanto anche di recente confermato dalla 3^ sezione civile di questa Corte con sentenza n. 8826/2007.

L'accettazione del paziente comporta la conclusione di un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità, in base alla quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte dalla L. n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di specifica protezione. La struttura Alfa, invece secondo quanto riferisce la sentenza di primo grado, non era in alcun modo attrezzata per un tale compito e, di conseguenza, non era neppure autorizzata ad accogliere pazienti non autosufficienti, quale certamente era Mevia.

Tizio, che di tutto ciò era o doveva essere perfettamente a conoscenza, dunque avrebbe dovuto non accettare la donna dal momento che la struttura che egli dirigeva e di cui aveva la responsabilità non aveva le qualità necessarie per assicurarne il ricovero in condizioni di sicurezza.

Pacifica anche la sua responsabilità.

P.T.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè, in solido tra loro, alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio, che unitariamente e complessivamente liquida in Euro 3200,00 oltre IVA e CPA nelle misure di legge.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2013




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