-  Redazione P&D  -  03/05/2017

Prendersi cura del progetto di vita di ogni persona - Vanna Iori

Prendersi cura del progetto di vita di ogni persona

La cura appartiene all"esperienza umana fin dalla nascita. Heidegger, in Essere e Tempo, riprende il noto mito di Igino dove si racconta che Cura dà forma al fango argilloso e gli conferisce dignità umana. Alla disputa sul nome, Saturno così sentenzia: "Tu Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte, riceverai lo spirito; tu Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu Cura che, per prima diede forma a questo essere, finché esso vive, lo possieda Cura!". Nessun soggetto umano può essere privato del diritto alla cura, finché  vive. La cura è uno dei temi importanti del pensiero fenomenologico-esistenziale.

Narra Omero che, mentre infuria la battaglia senza scampo per le sorti degli Achei, Nestore suggerisce a Patroclo di indossare le armi di Achille per ingannare i Troiani. Ma proprio mentre Patroclo sta correndo disperato da Achille per proporgli questo estremo suggerimento, incontra sulla spiaggia Euripilo che, ferito alla coscia, arranca uscendo dalla battaglia. Patroclo, scrive Omero nel Libro XI dell"Iliade, "lo vide e n"ebbe pietà"; da questo sentimento di compassione scaturisce la decisione di prendersi cura di lui: "non lascerò te, così sofferente". Patroclo gli cinge il petto, lo trascina alla sua tenda, lo adagia sulle pelli, gli estrae la freccia e gli deterge la ferita, cospargendola di una radice che allevia il dolore.

Con incredibile analogia si trovano le medesime parole nella parabola del Vangelo di Luca in cui il Samaritano si prende cura di un malcapitato lasciato mezzo morto dai briganti: "passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui." (Luca 10, 25-37).

Entrambi i racconti sottolineano che il vedere ("lo vide") e il provare compassione sono inseparabili, rappresentando l"elemento fondamentale per la decisione di prendersi cura di chi è sofferente.  Lo sguardo è il fondamento primo della cura. Chi non ha occhi per vedere non ha cuore per provare quella compassione che apre alla cura. Ma chi non ha sviluppato l"attitudine alla compassione non sa vedere. L"aver compassione (splanchnizomai) indica una com-mozione che esprime un"esperienza affettiva in cui vedere e sentire sono un tutt"uno: si tratta di un vedere che non può restare estraneo, ma anzi mette in grado di «farsi prossimo».

Chi non si lascia interpellare dall"inquietudine verso la chiamata dell"altro, non si prende cura di lui perché in realtà non lo vede; getta uno sguardo indifferente o distratto che esprime l"in-curanza e "passa oltre", come nella parabola del Samaritano: prima di lui erano passati un sacerdote e un levita che però avevano proseguito la loro strada, senza curarsi di quella persona ridotta in fin di vita, cioè senza assumere la responsabilità di ciò che avevano veduto.

L"etica dello sguardo è perciò necessaria per assumere la responsabilità del veduto facendosi carico di una risposta. L"esercizio della responsabilità è una diretta conseguenza dell"attitudine al vedere, poiché il termine deriva da respondeo, rispondo, ovvero decido di lasciarmi interpellare dalla chiamata dell"altro e di cercare una risposta attiva di fronte "all"appello che viene dall"Altro per richiamarmi alla mia responsabilità" (Lévinas). Lo sguardo che "vede", al contrario della frettolosa superficialità e dei meschini egoismi che sembrano dominare il nostro tempo, è uno sguardo che "si accorge" (anche qui l"etimologia è importante: ad cor regere, dirigersi verso il cuore) e si sente chiamato in causa, si lascia mettere in questione dal volto dell"altro. L"Altro è una chiamata che mi obbliga ad uscire dall"indifferenza. La responsabilità presuppone un rapporto in cui decidere di assumere l"impegno di una risposta. Il legame tra responsabilità e decisione è delineato con chiarezza in Dietrich Bonhoeffer che afferma: "Nel momento in cui si trova interpellata, la persona si trova nella posizione di responsabilità o, altrimenti detto, di decisione."

Etica dello sguardo, etica della responsabilità, etica della cura sono quindi dimensioni strettamente correlate. La cura è costitutivamente relazionale e, secondo l"espressione di Carol Gilligan, "unisce cuore e pensiero" dando origine a "un"etica della cura responsabile" in quanto privilegia il legame tra i rapporti interumani; pertanto "l"etica della responsabilità poggia su una comprensione che fa nascere la compassione e la cura".

Saper vedere significa andare oltre le informazioni quantificanti del pensiero calcolante (rechnende Denken) rivolto unicamente al produrre, al computare e al misurare (Heidegger). Questo  pensiero parla per numeri e operazioni che "costringono" la realtà entro le regole pre-viste, perdendo così tutto ciò che è gratuito, che esula dal calcolo, che non "produce" merci da scambiare. Il pensiero dell"utile ha progressivamente occultato, nella società dell"efficienza e della razionalità strumentale, l"etica della responsabilità come capacità di sentire e di cor-rispondere.

Solo se siamo capaci di vedere con sguardo autentico siamo capaci di concepire un progetto di vita. E un progetto di vita per le persone in condizione di fragilità.

Tutta l"esistenza umana si snoda tra la necessità e la libertà di trascendersi attraverso un progetto. Si pone qui il dilemma della relazione tra il limite e l"illimitato. Il limite include diversi significati. Da un lato esso rappresenta il traguardo da superare per un oltrepassamento progettuale, dall"altro rappresenta quell"invalicabile che fa parte dell"esistenza e presuppone un continuo ri-progettarci in funzione dei limiti riconosciuti e accettati.

L"origine comune tra l"etimologia del latino proicio, proicere che significa lanciare, gettare avanti (pro), e il tedesco  werfen (gettare, lanciare), mostra che i rispettivi participi passati (proiectum e geworfwen) rimandano al significato di "gettatezza", ma anche a quello di trascendenza da tale condizione verso il pro-getto (Entwurf). La condizione di "gettato" è inscindibile da quella di progetto,  superamento,  poiché  il soggetto umano è sempre nella duplice relazione di necessità e trascendenza. Ma ciò che mi fa decidere per la trascendenza è la scelta.

Non vi è soggetto umano che non possa concepire fino all'ultimo istante di vita un progetto, sia pure nella consapevolezza dei limiti, e una possibilità di futuro. Il progetto ha bisogno della realtà concreta, della storia, ma ha bisogno anche della passione, della fantasia, della speranza, dell'utopia. E dunque della politica. La dimensione utopica colloca l'esperienza progettuale nel   fluire   temporale della storia e dell'esistenza individuale  sospingendo l'umana possibilità in un incessante divenire. Il progetto si qualifica sempre come un"attività modificatrice che, attraverso un accompagnamento esistenziale, sottrae ai vincoli del  passato, alle cristallizzazioni, alla routine, al pre-visto e libera la perenne possibilità.

Le  modificazioni,  gli slanci ed anche i turbamenti del progetto, in quanto  orientato al futuro, sono riconducibili al "non ancora" dell'utopia. L'où-topos (non-luogo) è un "là" che ha  il carattere del "non ancora là",  di un luogo (topos) intenzionalmente cercato e mai raggiungibile  a cui tende il cammino progettuale.

Il progetto prende forma nel "tragitto"  tra  il "qui" della situazione presente, con i suoi condizionamenti,  ed il poter essere, la possibilità di un "là"  che  non  è ancora, o è un  "non-ancora-luogo" verso cui tende attraverso un progetto attivamente pro-teso alla trasformazione dell'esistente.

Ogni progetto di vita  si fonda in-vista-di un obiettivo che esprime la possibilità e il  poter-essere.  Se nella struttura fondamentale dell'esistenza umana sono presenti sia l"effettività della situazione, sia la possibilità di  trascenderla, i progetti di vita sono sempre limitati dai precondizionamenti dell"essere "così" e non altrimenti, ma sono anche sempre aperti alla possibilità di autorealizzazione, di trovare nuovi  sentieri esistenziali, ossia di scegliere e scegliersi per un progetto di sé che si espande nel mondo e con gli altri. Ciò significa che è sempre possibile, ed è anzi un fondamentale compito politico, individuare in qualunque situazione (anche apparentemente priva di prospettive) la possibilità per un progetto.

Nella prassi quotidiana dell'aver cura, spesso vissuta nelle penombre dove si accompagnano i percorsi esistenziali dei soggetti più fragili (i bambini, gli anziani, i diversamente abili, i malati, i poveri),  occorre dare rilievo al lavoro dei molti che, quotidianamente, non rinunciano a scoprire in queste persone una possibilità esistenziale, anche oltre ogni apparenza contraria.

Chi resta intrappolato negli ingranaggi della routine rinuncia invece, talora troppo presto, davanti a situazioni di apparente "irrecuperabilità" educativa, a cercare, nelle persone con cui si rapporta, quella matrice esistenziale che, pur ricoperta da mille diverse sovrastrutture, rivela il tratto umano della possibilità e del progetto. Questa "rinuncia" è generata da una visione oggettivante che ha smarrito le risposte di senso. La cura è, in questo senso, la "rivincita" del progetto sulla gettatezza, la tensione a realizzare in modo vario la polie­dricità di forme del poter-essere di ciascuna persona.

 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film