Amministrazione di sostegno  -  Redazione P&D  -  13/07/2022

Riflessioni a margine della interdizione - Francesca Sassano

È opportuno interrogarsi su quelli che possono essere i percorsi concreti per realizzare il superamento legislativo dell’istituto della interdizione, quale conseguenza dell’incapacità derivante da infermità.

La modifica dell’assetto attuale del codice civile, in relazione alla interdizione in senso ampio, non può certo essere un percorso per eliminare legislativamente la equivalenza tra l’incapacità di agire, l’interdizione giudiziale e l’infermità.

Vanno rassegnate alcune premesse.  

E’ opportuno, oltre che agevole, procedere all’esame della concreta possibilità di una “cancellazione” dell’istituto della inabilitazione di cui all’art. 415 c.c., in quanto non solo l’istituto non è più di attualità, ma può essere sostituito dalla Amministrazione di sostegno.

L'inabilitazione è una forma attenuata d'incapacità, che, salvo le diversità sancite per essa dalla legge, è oggi in tutto perfettamente simmetrica all'interdizione, le cui norme vanno applicate per analogia all'inabilitazione. 

Anche per la pronuncia di inabilitazione è necessaria la esistenza di infermità abituale di mente. Mancando l'estremo della abitualità, per quanto grave sia l'infermità, non può pronunciarsi nemmeno l'interdizione.

Il provvedimento protettivo della inabilitazione, per effetto di questa norma, non si limita ai casi di meno grave infermità mentale e psichica ed ai casi di prodigalità, ma si estende ai casi dei perturbamenti prodotti in chi abusi abitualmente di bevande alcooliche o di stupefacenti, con ripercussione pregiudizievole, in ogni caso, nel campo patrimoniale proprio o della propria famiglia. 

Ripercussione decisiva anche in rapporto alla prodigalità, poiché "si può essere prodighi, senza essere pericolosi per la propria famiglia". 

II pericolo deve essere attuale, anche prima di esplicarsi nel patrimonio.

Riguardo a quelli che nel sistema del vecchio codice civile (art. 340) erano gli inabilitati di diritto, cioè incapaci per dichiarazione di legge (sordomuto e cieco dalla nascita), vi è stata nel tempo una opportuna  inversione di criterio, alla norma generale di presunta capacità, salvo a provocare provvedimenti protettivi ed integrativi ove occorra. 

Si legge in dottrina “alla qualifica di minorati "dalla nascita" si è aggiunta l'estensione: "o dalla prima infanzia". Se questi minorati, malgrado i moderni mezzi educativi, risultino rimasti ancora incapaci da non potere assolutamente provvedere ai propri interessi, si ricorrerà addirittura alla interdizione.”

Da queste premesse appare chiaro come la possibilità di 

E’ giusto richiamare l’art.415 c.c. che recita: “Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all'interdizione [414], può essere inabilitato [16619342940712 c.p.c.]. Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità [776] o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.Possono infine essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un'educazione sufficiente, salva l'applicazione dell'articolo 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi. 

L’ espressione sordo è stata sostituita dal termine sordomuto dall’art.1 della delle 20 febbraio 2006 n.95. 

Si è ritenuto superfluo aggiungere una disposizione per precisare, come fa l'art. 339 del codice di rito, di quali atti sia incapace l'inabilitato. 

Ciò risulta già chiaramente dal combinato disposto dell'art. 424 del c.c., che rende applicabile alla curatela degli inabilitati le norme riguardanti la curatela dei minori emancipati, e dell'art. 394 del c.c. sulla capacità dell'emancipato.

Per chi scrive, la sola lettura del richiamo alla condizione di non udente e di non vedente, quale premessa alla inabilitazione in difetto di sufficiente educazione è urticante oltre che segno di una mancata aderenza ai tempi e soprattutto alla considerazione sociale delle infermità.

Quanto sopra richiamato pone in evidenza come la soppressione dell’istituto della inabilitazione, appaia essere “indolore” nell’ambito del codice di rito, atteso che essa non pone rinvio ad altri istituti ma mutua norme dal sistema.

Diverse sono le considerazioni che devono essere rassegnate per l’istituto della interdizione legale.

Infatti,  essa è una categoria giuridica che non può essere cancellata dal diritto civile, in quanto pena accessoria conseguente ad una condanna definitiva per reati gravi e irrogata a tutela di quelle che possono essere anche le parti civili e/o i soggetti con interessi parimenti contrapposti al condannato. 

La tutela legale è una misura di protezione e tutela degli interessi personali e patrimoniali dei soggetti interdetti legalmente. 

L’interdizione legale è una pena accessoria che viene inflitta alle persone condannate alla pena della reclusione per cinque anni o più.In questo caso il soggetto sarà sostituito, nel compimento di atti giuridicamente rilevanti (es. contratti, atti giuridici), da un tutore sino all’espiazione della pena. Il tutore, inoltre, disporrà e amministrerà i beni dell’interdetto. 

Una volta espiata la pena tornerà nel pieno possesso della propria capacità di agire e non avrà più bisogno della sostituzione e della rappresentanza del tutore.

Le norme di riferimento sono gli artt. 343 e segg. c.c. e art. 414 e segg. c.c.

È aperta d’ufficio dal Giudice Tutelare che riceve la sentenza direttamente dal Tribunale che l’ha emessa.

Il Pubblico Ministero trasmette la sentenza di condanna al Giudice Tutelare, il quale apre la tutela nei confronti del condannato.

Il Giudice Tutelare nomina un tutore dell’interdetto legale a seguito dell’assunzione di informazioni sul suo conto per valutarne l’idoneità. Il tutore è scelto preferibilmente fra persone che abbiano delle relazioni reali e positive con il condannato e sappiano curare una destinazione dei suoi beni utile e funzionale per il suo reinserimento sociale. 

Il tutore assume le funzioni dopo aver prestato, davanti al Giudice Tutelare, il giuramento di esercitare l’ufficio con fedeltà e diligenza.

Il decreto di fissazione dell’udienza per la nomina del tutore è emesso entro 15 giorni dal deposito della richiesta.

La sentenza di condanna penale priva (per tutta la durata della pena) l’interessato della capacità di agire e, quindi, di compiere validamente attività giuridicamente rilevanti, fatta eccezione per gli atti di ordinaria amministrazione che il Tribunale abbia eventualmente autorizzato l’interdetto a compiere autonomamente.

L’interdizione legale risponde alle medesime norme dell’interdizione giudiziale, relativamente alla privazione dell’esercizio dei diritti patrimoniali e, in particolare, al divieto di compimento di singoli attività negoziali di contenuto economico-patrimoniale per le quali l’interdetto legale deve essere sostituito dal tutore. 

Il condannato interdetto legalmente mantiene la capacità di agire relativamente ai rapporti attinenti alla persona o alla famiglia.

Si formano, quindi, due patrimoni con amministrazione separata, ovvero il peculio tenuto in deposito dell’amministrazione dell’istituto e i restanti beni. 

Per il denaro del peculio il condannato ha una autonoma capacità di fare acquisti, e dunque di compiere dei contratti, e non si applica dunque per tali contratti la disposizione dell’incapacità del condannato. 

Cadono invece nella tutela, e dunque nella gestione del tutore, i beni immobili, il denaro che il condannato non portava con sé al momento dell’ingresso nell’istituto, le pensioni che continuano ad essere pagate periodicamente e tutto quanto perviene al condannato per eredità o per donazione o per assicurazioni, indennizzi o pagamento di crediti.

La gestione della tutela presenta delle difficoltà quando il condannato si ritrova in regime di semilibertà oppure in liberazione condizionale e dunque di fatto di nuovo nella disponibilità dei suoi beni. 

Il giudice tutelare dovrà allora con il tutore valutare in quale misura lasciare al condannato una somma, corrispondente ad un peculio, per le normali esigenze di vita (come mantenimento, acquisto di abiti, locazione di una casa) e dunque con una autonomia di spese.

Il tutore deve: rappresentare l’interdetto in tutti gli atti civili; amministrare i beni dell’interdetto; procedere alla formazione dell’inventario dei beni dell’interdetto; tenere regolare contabilità e annualmente rendere conto al Giudice Tutelare.

Il tutore può chiedere ed ottenere dal Giudice Tutelare di essere esonerato dall'incarico, se esso sia divenuto eccessivamente gravoso e vi sia altra persona atta a sostituirlo.

Lo stesso inoltre, entro dieci giorni da tale momento, deve iniziare l’inventario dei beni dell’interdetto per terminarlo entro i successivi trenta giorni. Nell’inventario vengono indicati i beni immobili, mobili, i crediti ed i debiti dell’interdetto.

Appare evidente come la interdizione legale abbisogni del percorso della interdizione giudiziale per potersi applicare in concreto.

Gli interessi e soprattutto la tutela dei diritti dei terzi soggetti, contrapposti al condannato, necessitano della sopravvivenza delle norme di disciplina della applicazione dell’istituto della interdizione legale, ovvero di quanto previsto non dall’art. 414 cc che peraltro è titolato “ persone che possono essere interdette” il quale potrebbe essere integrato con un nuovo comma  “ se la loro infermità non ha determinato responsabilità penale,  è nominato un amministratore di sostegno “ , con richiamo alle norme della stessa.

Andrebbero , quindi, abrogati il 415 c.c. e il 416 c.c., mentre innovato il 417 cc con previsione espressa per la sola interdizione legale e con piccole modifiche degli articoli successivi , utilizzando l’ultimo comma dell’art 418 c.c. per la trasformazione d’ufficio della pendenza delle interdizioni giudiziali in amministrazioni di sostegno, considerando che già è prevista la possibilità per il giudice di esercitare poteri urgenti nei casi specifici.

Questa appare la soluzione migliore che pur non epurando il sistema dal nome interdizione, la confina in una realtà post reato e attribuisce solo ad essa il percorso giudiziale di nomina del tutore , etc.

D’altra parte, anche  nei confronti del condannato, avendo tale pena accessoria una ricaduta ampia sui diritti patrimoniali, vi è la necessita residua che allo stesso, in forma diretta e/o mediata, sia reso possibile l’esercizio di diritti personali, quali ad esempio la facoltà di testare o quella di contrarre matrimonio, per fare di alcuni un esempio. 

Tuttavia la conservare l’istituto della interdizione legale non necessariamente impone un arresto su ciò che è obiettivo principale, cioè svincolare il concetto di incapacità da quello di infermità ai fini della interdizione giudiziale. 

Peraltro, a sommesso parere di chi scrive, forse non è neppure necessario cancellare quest’ultima, in senso ampio. 

La logica di conservazione  di ogni sistema, sottesa alla costruzione degli istituti giuridici contenuti negli articoli dei codici, è quella di adeguare ove possibile l’assetto esistente, modificandolo e attualizzandolo, senza che salti l’intero apparato. 

Nel caso di specie ciò è possibile, lasciando intatte sia l’interdizione legale che quella giudiziale, ma rendendo quest’ultima la sola espressione applicativa e/o conseguenza della prima.

L’art. 414 cc così recita: Il maggiore di età e il minore emancipato [390], i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi,sono interdetti [85, 119, 193, 245, 417 ss., 429, 2949 n.1; 40; 643 c.p.; 712 c.p.c.] quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.” 

L'assoluta incapacità di provvedere ai propri interessi deve essere valutata avuto riguardo anche agli interessi non patrimoniali purché possano subire pregiudizio da atti giuridici se non difesi dall'attività di un tutore. 

L'incapacità deve quindi essere valutata in base a personalità e condizione sociale dell'interdicendo, natura ed entità degli interessi affidati alla sua disponibilità, ed alla rispondenza della misura dell'interdizione per il soggetto che manifesti la carenza di autonomia.

L'interdizione viene definita giudiziale perché derivante da un accertamento giudiziario culminante in una sentenza (provvisoriamente esecutiva, che esplica pertanto i suoi effetti senza attenderne il passaggio in giudicato).

La cd. interdizione legale (di cui all'art. 32 del c.p.) invece opera automaticamente poichè conseguente a sentenza penale (derivante da reato doloso): riveste i tratti della sanzione e non del rimedio di tutela.

La sanzione per gli atti compiuti dall'interdetto (che ne sarebbe stato incapace poichè la figura di cui al presente articolo incide sulla capacità di agire) è rappresentata dall'istituto dell'annullamento (art. 1425 del c.c.), azionabile su istanza del tutore, dell'interdetto o degli eredi o aventi causa, nel termine di prescrizione quinquennale (art. 2934 del c.c.) decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza che revoca l'interdizione oppure dalla morte dell'incapace.

 

 




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