-  Redazione P&D  -  27/07/2013

RINEGOZIAZIONE DI UN CONTRATTO DI SWAP E COMMISSIONI IMPLICITE – Trib Verona n. 709/2013 - Nicolò CALGAGNO

La rinegoziazione di un contratto di swap

"Rinegoziare il contratto di swap significa modificare i parametri di riferimento del contratto precedente". In altri termini le parti possono concordare di modificare l"entità del nozionale, i tassi parametro e perfino la durata del contratto. La rinegoziazione o rimodulazione normalmente viene attuata quando l"andamento del derivato è eccessivamente negativo (ossia la perdita potenziale che lo strumento finanziario presenta in quel momento) per una parte o non risponde più alle motivazioni per cui la parte lo aveva stipulato. Generalmente, in tali situazioni le parti si accordano per estinguere il rapporto in essere "sostituendolo" con un nuovo contratto di swap avente caratteristiche diverse dal precedente. In tali circostanze il valore negativo (mark to market) del contratto da rimodulare viene compensato dalla parte creditrice attraverso il rilascio di una somma di ammontare corrispondente (c.d. up-front). Mediante questa operazione, "l"obbligazione di pagare la somma dovuta in base alla perdita verificatasi nel primo derivato viene estinta e sostituita con altra obbligazione incorporata nell"up front e trasferita tutta al nuovo contratto che parte già con un valore negativo da recuperare". 

Mentre è pacifico che i diversi contratti di swap conclusi con le successive rinegoziazioni rappresentano entità distinte, in quanto ogni contratto è dotato di una sua propria causa, non è del tutto pacifico invece quale sia la natura giuridica del nesso economico che li lega gli uni agli altri. La teorica del collegamento negoziale ha avuto poca presa in giurisprudenza perché tra i vari contratti di swap che si succedono nel tempo non si ravvisano gli elementi tipici del collegamento negoziale, inter alia, la contestualità e la correlazione delle pattuizioni, la corrispettività delle prestazioni oggetto dei diversi contratti, la circostanza che uno dei negozi costituisce una modalità di esecuzione dell"altro, la circostanza che uno dei negozi trovi la sua ragione o causa remota nell"altro precedente.

Questi indici invece paiono sussistere tra l"accordo di risoluzione anticipata del contratto di swap e il successivo contratto in quanto "il primo precede e giustifica la conclusione del secondo". La ratio è facilmente desumibile:  il contraente accetta di risolvere il primo swap (negativo) soltanto in presenza di un secondo contestuale nuovo swap che consenta di evitare il pagamento dell"importo negativo maturato al momento dell"estinzione del contratto. Accade quindi che le parti estinguono il primo swap facendo così sorgere l"obbligazione di pagamento della perdita dallo stesso generata che contestualmente estinguono e nel contempo sorge una nuova obbligazione in virtù di un nuovo derivato. La "scommessa" della parte che accetta il nuovo contratto è quella di riuscire a riportare, grazie ad una rimodulazione dei tassi, il contratto in pareggio ed assorbire così quel valore negativo di partenza. Sulla scorta di tali considerazioni il Giudice, nella decisione in oggetto, ha condiviso l"opinione interpretativa che riconduce la rinegoziazione dei derivati all"istituto della novazione oggettiva. 

Commissioni implicite e margine lordoUna tra le tante tipiche contestazioni averso i contratti di swap è quella di ritenere che l"Istituto di Credito abbia lucrato sul contratto applicando delle cd. commissioni implicite mai dichiarate al  cliente durante le fasi di negoziazione del contratto. Premesso che, come osserva giustamente il Giudice, l"onere di provare tali circostanze spetta all"attore, generalmente tali censure muovono da presupposti di fatto errati e fuorvianti. Per spiegare il significato di "commissioni implicite" il Giudice illustra brevemente quali sono le modalità operative dei contratti di swap. In breve, l"Istituto di Credito "non assume mai un rischio di mercato nel momento in cui conclude un contratto con l"impresa cliente, poiché, a fronte di esso, ne conclude uno speculare con un soggetto terzo (generalmente un altro Istituto). La banca assume invece un rischio di credito sia nei confronti del cliente sia nei confronti del soggetto terzo con il quale viene stipulato il contratto di segno contrario, diretto a neutralizzare il primo, sebbene il secondo rischio sia di solito inferiore al primo".

Ciò detto mostra chiaramente come in ogni operazione di swap, esista un sorta di "margine lordo" implicito (e non "commissione") in favore dell"Istituto di Credito: da un lato, condizioni più favorevoli che questo spunta sul mercato per concludere il contratto di segno contrario, e, dall"altro, la copertura del rischio di credito e dei costi operativi. Il cd. "margine lordo" non comporta, né al momento della conclusione dello swap né durante la sua vigenza, alcun esborso a favore dell"Istituto di Credito da parte del cliente. Di fatto consiste "nella differenza tra il valore corrente (c.d. fair value) del contratto al momento della sua rilevazione e il fair value di analogo contratto stipulato, a condizioni praticate sul mercato, con soggetti terzi". In altri termini ciò significa che alla stipulazione di un primo contratto di swap il mark to market, che dovrebbe essere pari a zero, lo è solo astrattamente perché di fatto è normalmente leggermente positivo per l"Istituto di Credito in quanto risente del predetto "margine lordo".Ma come detto sopra, solo nel momento in cui il contratto di swap giunga alla sua naturale scadenza ovvero venga risolto anticipatamente (senza ulteriore rimodulazione) il cliente è tenuto a corrispondere all"Istituto di Credito "il c.d. costo di uscita del derivato, comprensivo anche del margine di intermediazione".

Ovvio che tale ultima voce è tanto maggiore quanto più elevato è il numero delle rinegoziazioni che il contratto di swap ha subito negli anni del rapporto. Infatti in occasione di ciascuna rimodulazione del contratto l"Istituto di Credito "effettua delle operazioni di ricopertura, (…) maturando in relazione a ciascuna di esse un margine di intermediazione, dato dalla differenza tra il mark to market e la somma riconosciuta al cliente a titolo di up front".Alla luce di quanto sopra è condivisibile l"opinione del Giudice il quale afferma che "l"esistenza del "margine lordo" non è di per sé segno di una patologia dell"operazione ma è anzi del tutto fisiologica, a meno che l"importo di esso sia eccessivo comportando uno sbilanciamento dell"operazione a danno del cliente" che in ogni caso quest"ultimo sarebbe tenuto a provare.




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