-  Redazione P&D  -  21/09/2013

SATIRA E IMPUTAZIONE DI FATTO DI REATO NON VERITIERO – Cass. 21235/13 – R.K.

 Si ritorna , con il presente commento, sui limiti della satira. Questa volta ponendo il diritto costituzionale alla libera espressione del pensiero, con il diritto della parte oggetto della satira a non vedersi addossate circostanze non veritiere, in specie se esse riguardano presunti reati.

Già i limiti del diritto di satira erano stati affrontati in altri commenti, a quali link si rimanda:

http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=43223&catid=108

http://www.personaedanno.it/liberta-costituzionali/il-diritto-di-satira-quale-diritto-costituzionale-r-k

http://www.personaedanno.it/reato/il-diritto-di-satira-e-i-suoi-limiti-cass-5065-2013-r-k

Per la Corte, "la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica. Diversamente dalla cronaca, essa è sottratta al parametro della verità in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto ma rimane assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. Non può, invece, essere riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 cod. pen. nei casi di attribuzione di condotte illecite o moralmente disonorevoli, di accostamenti volgari o ripugnanti, di deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica".

La S.c. riprende sul punto giurisprudenza consolidata (cfr. Cass. n. 28411/08 ed, in precedenza, n. 23314/07, n. 7091/01, n. 14485/00, n. 4993/96).

In altri termini, la giurisprudenza ha tenuto conto della funzione essenziale svolta dalla satira di controllo sociale e di protezione contro gli eccessi del potere, pur non dimenticando di rilevare che essa deve arrestarsi rispetto a valori e beni fondamentali tutelati in via costituzionale; quando, cioè, l'attacco miri a screditare il personaggio pubblico non per le sue criticate azioni ma per le sue caratteristiche e qualità personali. In questo è il limite più ampio di continenza rispetto all'ordinario diritto di critica.

La peculiarità della satira, che si esprìme con il paradosso e la metafora surreale, la sottrae al parametro della verità e la rende eterogenea rispetto alla cronaca; in altre parole la satira è riproduzione ironica e non cronaca di un fatto; essa esprime un giudizio che necessariamente assume connotazioni soggettive ed opinabili, sottraendosi ad una dimostrazione di veridicità. In questo ambito concettuale va peraltro precisato che la satira, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, per cui non va riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio, più particolarmente va esclusa la scriminante nella satira che, trasmodando da un attacco all'immagine pubblica del personaggio, si risolva in un insulto gratuito alla persona in quanto tale o nella rappresentazione caricaturale e ridicolizzante.

Ad es. la S.c. in un caso concreto, ha stabilito che : "L'esercizio da parte del lavoratore, anche se investito della carica di rappresentante sindacale, del diritto di critica delle decisioni aziendali (manifestata, nella specie, attraverso la diffusione di alcuni volantini all'esterno dell'azienda), sebbene sia garantito dagli art. 21 e 39 cost., incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall'esigenza, anch'essa costituzionalmente garantita ( art. 2 cost.), di tutela della persona umana, anche quando la critica venga espressa nella forma della satira; ne consegue che, ove tali limiti siano superati, con l'attribuzione all'impresa datoriale od ai suoi rappresentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, pur in mancanza degli elementi soggettivi ed oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione" (Cass. 7091/2001).

In definitiva, la giurisprudenza, pur riconoscendo la valenza costituzionale del diritto di satira e il suo sganciarsi dalla necessaria rispondenza alla realtà dei fatti narrati, pone quale limite invalicabile la tutela della persona (altro valore costituzionale) da attacchi gratuiti e meramente lesivi della dignità, che siano capaci di suscitare il disprezzo nella comunità di riferimento.

Quindi, il diritto di satira, garantito dagli art. 9, 21 e 33 Cost., può essere esercitato solo nei limiti della coerenza causale tra la qualità della dimensione pubblica del personaggio fatto oggetto della satira ed il contenuto artistico - espressivo della satira medesima con la conseguenza che, pur caratterizzandosi per i suoi scopi caricaturali e dissacratori, che gli consentono di non rispettare fedelmente la verità dei fatti, non può essere asservito ad un fine meramente denigratorio.

La valutazione del fine denigratorio diviene certezza, nella giurisprudenza della cassazione, allorquando ad essere imputato è un fatto di reato che il soggetto non ha mai commesso né al quale mai è stato contestato. A questo punto si fuoriesce dalla fustigazione ironica e pungente dei costumi per sfociare nell"insulto gratuito, infondato, generatore di riprovazione sociale e sdegno, che non può essere protetto dalla Carte costituzionale.

 

 

 

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Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 3 luglio - 17 settembre 2013, n. 21235

Presidente Finocchiaro – Relatore Giacalone

 

In fatto e in diritto

 

1. - La sentenza impugnata (Corte d'appello di Torino 20/03/2012, non

notificata), ha rigettato nel merito l'appello proposto dall'odierno ricorrente al fine di ottenere la riforma della sentenza di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda proposta dall'odierno intimato, aveva condannato G..G. al risarcimento in favore del Ga. dei danni da lesione alla reputazione di questi.

Secondo la Corte territoriale, essendo pienamente provata la provenienza delle "affermazioni incriminate" dall'odierno ricorrente, le stesse non potevano dirsi veritiere, poiché l'allora appellato fu sì coinvolto in un procedimento penale in cui altri coimputati avevano effettivamente preso tangenti, ma lui mai fu imputato per aver ricevuto indebitamente denaro o altre utilità da smaltimento illegittimo di rifiuti tossici, come invece affermato dal G. . Tali affermazioni non potevano dirsi "scriminate", come pur sostenuto dagli appellanti, in quanto asseritamente ricomprese nell'ambito del diritto di satira garantito dagli artt. 21 e 33 Cost., non essendo tale scriminante invocabile nell'ipotesi di attribuzione ad altri di condotte illecite, di sicuro rilievo penale, ma che nel caso di specie il Ga. non aveva sicuramente commesso.

2. - Ricorre per cassazione G..G. , sulla base di un solo, articolato, motivo di ricorso; resiste con controricorso Gi..Ga. .

3. - Con l'unico motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., "violazione e falsa applicazione di norme di diritto - violazione della libertà di espressione (art. 21 Cost.) - violazione libertà di espressione artistica (art. 33 Cost.) - violazione del diritto di critica -violazione del diritto di satira - violazione e falsa applicazione della causa di esclusione della responsabilità prevista dall'art. 51 c.p. titolato esercizio di un diritto o adempimento di un dovere". Ammesso che il ricorrente avesse pronunciato le parole attribuitegli, non gli sarebbe attribuibile alcuna responsabilità, diversamente da quanto sancito dalla Corte territoriale, operando nel caso di specie la scriminante del diritto di critica e del diritto di satira. In particolare, non si sarebbe tenuto conto del contesto artistico, scherzoso e di spettacolo in cui furono pronunciate le frasi incriminate, non tenendosi conto che la satira è, per sua natura, sottratta al parametro della verità.

4. - Nella relazione depositata, si è rilevato che il ricorso è manifestamente privo di pregio.

Senza mettere in discussione gli orientamenti di questa Corte richiamati nel corpo del ricorso, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del pacifico orientamento, perfettamente applicabile al caso di specie, secondo cui la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica. Diversamente dalla cronaca, essa è sottratta al parametro della verità in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto ma rimane assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. Non può, invece, essere riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 cod. pen. nei casi di attribuzione di condotte illecite o moralmente disonorevoli, di accostamenti volgari o ripugnanti, di deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica (Cass. n. 1753/2012; id. n. 28411/2008; v. anche Cass. n. 12420/2008 e n. 23314/2007).

Nonostante sia pacifico che il diritto di critica / satira possa anche corrispondere a verità non assoluta (cfr. tra le tante Cass. n. 7847/2011), secondo la giurisprudenza di questa Corte, uno dei limiti che la satira non può travalicare concerne proprio, come nel caso di specie, l'attribuzione ad altri di un fatto illecito. Essendo pacifico, nel caso ora in discussione, che il G. attribuiva all'odierno resistente un fatto di rilievo penale, che questi "sicuramente non aveva commesso", ne deriva il rigetto del ricorso in esame, avendo la Corte territoriale deciso il caso sottopostole in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte. Il contesto di spettacolo, in cui le affermazioni incriminate furono proferite, non incide su tali conclusioni, essendo, come si evince dalle prove testimoniali espletate, non diversa la valenza delle dichiarazioni del G. percepita dagli spettatori.

5. - Il relatore ha proposto, pertanto, la trattazione del ricorso in Camera di consiglio e il rigetto dello stesso.

La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.

La parte ricorrente ha presentato memoria, riproponendo le argomentazioni contenute nel ricorso. Le argomentazioni addotte con la memoria non apportano elementi che inficiano i motivi a base della relazione.

Ritenuto che:

a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, precisandosi che, diversamente da quanto dedotto in controricorso, la procura speciale per il ricorso per cassazione, deve ritenersi, nella specie, validamente conferita, tenuto conto dell'esplicito tenore della stessa e dell'intestazione e del contesto del ricorso, al quale la medesima accede; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;

le spese seguono la soccombenza; visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4000,00 di cui Euro 3800,00 per compensi, oltre accessori di legge.




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