-  Rossi Rita  -  05/05/2016

Stretta ulteriore sull'interdizione. Cass. 17962/2015 - Rita Rossi

Con la sentenza n. 17962 del 2015, la Cassazione ha finalmente inferto un colpo deciso all'interdizione morente.
Certo, la Suprema Corte non aveva mancato, fin dalla prima pronuncia n. 13584 del 2006, di sottolineare la residualità dell'interdizione, ma non aveva osato delegittimare pressochè del tutto la vecchia misura.

Paolo Cendon aveva salutato la decisione del 2006 così: "Una buona sentenza, che fa onore alla nostra Cassazione, poiché esalta risolutamente i meriti dell'Amministrazione di sostegno, sottolineando per converso l'oppressività e la residualità della vecchia coppia di risposte codicistiche" aggiungendo, però: "La prossima volta sarà possibile, tuttavia, farne una ancor migliore - cioè ancor più fedele ai principi del nostro ordinamento(...)".
Quell'aspettativa si è realizzata dieci anni più tardi.

Ma, che cosa non andava bene in quel primo dictum della Cassazione?
Non andava il fatto che all'interdizione venisse conservato un certo spazio di operatività, che cioè la sua applicazione venisse giustificata nei casi in cui la gestione vicariale comportasse "un'attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni", ovvero nei casi in cui fosse "necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sè, eventualmente anche in considerazione di un minimum di vita di relazione che portasse la persona ad avere contatti con l'esterno".
Tale spazio di operatività si era poi inverato nelle pronunce di merito che pronunciavano (pronunciano) l'interdizione in presenza di un patrimonio consistente, sulla base della presunzione per cui un patrimonio rilevante richiede una gestione complessa.

Cosa cambia, allora, dopo il 15.9.2015?
La recente sentenza lo indica chiaramente:
- il giudice dovrà porre al primo posto il presidio della capacità del beneficiario di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana. Con il proprio taglio onnincapacitante l'interdizione sopprime totalmente questa capacità, mentre l'amministrazione di sostegno la preserva (v. art. 409 II comma c.c.: "il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana")
- neppure la rilevante entità del patrimonio nè l'atteggiamento oppositivo che in ipotesi l'interessato mostri nei confronti dell'amminitratore di sostegno potranno giustificare l'incapacitazione totale a 360°
- le eventuali difficoltà derivanti dall'esigenza di un continuo confronto tra il beneficiario, l'amministratore di sostegno ed il giudice tutelare andranno gestite attraverso la chiara indicazione - nel decreto di nomina - del genere di poteri attribuiti all'amministratore di sostegno (in termini di rappresentanza piuttosto che di assistenza)
- in caso di aperto contrasto tra i protagonisti dell'istituto sarà sempre possibile invocare l'intervento del g.t. per gli opportuni provvedimenti, comprese, là dove occorra, limitazioni o impedimenti al compimento di atti pregiudizievoli, secondo quanto consente l'ultimo comma dell'art. 411 c.c.

Una bella sentenza, dunque, una decisione attesa, che allarga il cuore.
E così la parola fine per l'interdizione si avvicina. Al De profundis manca ancora il suggello legislativo, affidato al PdL n. 1985 del 2014 (in discussione alla Camera) la cui apporvazione si auspica imminente.




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