-  Redazione P&D  -  15/09/2013

TIPICITA' DEL DANNO: SU UNA RECENTE PROPOSTA - Natalino SAPONE

1.- In un recente saggio è stata proposta sulla questione della tipicità del danno non patrimoniale una soluzione che merita grande attenzione (Ricci-Miglino-Massoni-Di Donna, Il rango dei diritti tutelabili per equivalente nel sistema del risarcimento dei danni alla persona umana, RCP, 2012, 5, 1760). Secondo questa proposta, va messo da parte il criterio dei diritti inviolabili, posto che al fine di irrogare la tutela per equivalente non è rilevante il rango della fonte normativa – costituzionale, ordinaria e sub ordinaria – in base alla quale il diritto soggettivo è istituito; l"importante è che siano "violate disposizioni che creano posizioni giuridiche soggettive tese a proteggere espressamente beni della vita non suscettibili di valutazione economica". L'art. 2059 c.c., in questa prospettiva, va letto nel senso che opera un rinvio "a tutti i diritti soggettivi a carattere non patrimoniale previsti da qualsivoglia fonte"; la norma però non legittima un allargamento della tutela risarcitoria a tutti i casi in cui l'interprete rinvenga disposizioni dalla cui violazione conseguano pregiudizi non patrimoniali. Altrimenti – aggiungono gli autori – "bisognerebbe risarcire tali pregiudizi anche quando sono state violate regole che istituiscono diritti patrimoniali, visto che a un danno economico possono accompagnarsi sofferenze non riconducibili a valori economici".

La conclusione è allora che l"art. 2059 autorizza l'interprete a risarcire il danno non patrimoniale non già tutte le volte che si rinvenga una lesione di un qualsivoglia diritto soggettivo, ma "solo quando è stata offesa una posizione giuridica creata per proteggere espressamente un bene della vita non suscettibile di valutazione economica".

2.- La soluzione suggerita ha il grande merito di disincagliare l"ingiustizia dal busillis dei diritti inviolabili e in generale del filtro costituzionale. Tutti i diritti – avverte la dottrina ora all"attenzione – "una volta istituiti, sono inviolabili e reintegrabili per equivalente". Tale merito va riconosciuto se non altro in considerazione dell"esito inappagante sul piano operativo del criterio dei diritti inviolabili; è questo – cinque anni post 2008 lo hanno dimostrato a sufficienza – un criterio difettoso in quanto: a) molto incerto; b) appesantisce la valutazione giudiziale addossando al giudice del merito la disamina di questioni altamente problematiche, tali da far tremare le vene e i polsi ai costituzionalisti; c) ha connotazioni astratte e lontane dalle caratteristiche della vicenda dannosa.

Nel 2008 le Sezioni Unite hanno drammatizzato la questione dei diritti inviolabili, portando il tortman, abitante della pianura, a fare alpinismo estremo. Ci si è così allontanati troppo dal cuore del problema. Forse a questo punto è meglio fare un passo indietro, tornando a riflettere sulla tipicità ex art. 2059 c.c., certo considerando quanto avvenuto dal 2003 ad oggi, rileggendo quindi con occhi nuovi una vecchia norma.

3.- In primo luogo l"art. 2059 non può più essere letto nel senso per cui la risarcibilità del danno non patrimoniale va ristretta ai casi in cui vi sia una norma che esplicitamente prevede la risarcibilità medesima. In questo senso è utile riprendere quanto argomentato dalle pronunce del 2003: "il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale" (8827/2003 e 8828/2003).

Il criterio utilizzato dalla S.C. presuppone una tipicità riferita non al remedium, ossia alla previsione normativa della risarcibilità del danno non patrimoniale, ma al tipo di ius. Infatti nessuna norma della Costituzione prescrive il risarcimento del danno non patrimoniale. Se quindi, come dice la S.C., il rinvio di cui all'art. 2059 può essere riferito alla Costituzione, è evidente che è il tipo di diritto a determinare l"ascrizione della fattispecie tra i casi determinati dalla legge.  Il riconoscimento nella Costituzione di alcuni diritti – dicono le pronunce della Corte di Cassazione – implicitamente ma necessariamente ne esige la tutela risarcitoria (che è la minima tutela). Ebbene, perché non replicare questo tipo di ragionamento per diritti a valenza non patrimoniale? Se un diritto ha valenza non patrimoniale, si può davvero pensare che il legislatore, nel prevederlo, non abbia inteso riconoscere, "implicitamente ma necessariamente", anche la tutela risarcitoria? Lo stesso discorso non può valere per i diritti a valenza patrimoniale. Ma per quelli a valenza non patrimoniale sì.

4.- Si tratta allora di approfondire l"indagine sul tipo di ius riconosciuto dalla legge. È in fondo questo uno dei cardini della soluzione suggerita dagli autori richiamati. Solo che tale soluzione appare eccessivamente restrittiva in ordine al tipo di ius che darebbe adito al risarcimento del danno non patrimoniale. La dottrina in esame esclude che l'art. 2059 c.c. possa riferirsi anche ai casi riguardanti la violazione di disposizioni che istituiscono "diritti a carattere patrimoniale". Da qui l"esclusione dai casi determinati dalla legge del diritto di proprietà, il più classico dei diritti patrimoniali. Gli esempi, continuano gli autori, potrebbero essere innumerevoli: la distruzione di un'autovettura alla quale l'automobilista è affezionato, la cameriera che deteriora un oggetto che accende il ricordo di un periodo della vita di chi lo ha comprato, ecc.

Tale asserto appare eccessivamente rigoroso. In primo luogo non si tratta di conclusione necessitata alla luce dell'art. 2059, il quale non parla di diritti non patrimoniali. Prendiamo il diritto alla retribuzione, che, a norma dell"art. 36 Cost., deve essere sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un"esistenza libera e dignitosa. Qui c"è un diritto a carattere patrimoniale ma con funzione anche non patrimoniale. Si può negare che, nel prevedere tale diritto, la Costituzione ne abbia "implicitamente, ma necessariamente", preteso la tutela anche risarcitoria?  Questo esempio dovrebbe dimostrare che non può essere il carattere patrimoniale del diritto un impedimento alla risarcibilità del danno non patrimoniale; e dovrebbe anche, questo esempio, fornire un"indicazione circa l"individuazione del criterio: non al carattere – patrimoniale o no – del diritto previsto dalla legge si deve fare riferimento, ma alla sua funzione.

Ma questo criterio teleologico necessita di una precisazione. I diritti sono mezzi per molti scopi. Certo all"autovettura ci si può affezionare; un dato oggetto può evocare infiniti ricordi, una madeleine può aiutare nella ricerca del tempo perduto. Ma queste sono evenienze dipendenti da destinazioni meramente soggettive, ossia non oggettivamente connaturate al diritto. Ed allora occorre tenere distinti gli scopi soggettivi da quelli, per così dire, oggettivi, ossia oggettivamente connaturati al diritto. Un po' come avviene quando in ambito contrattuale si distingue tra motivi, in linea di principio irrilevanti, e causa. Non rileva quindi la finalità impressa da scelte meramente soggettive e contingenti del titolare del diritto, essendo invece necessaria un"implicazione oggettiva dell"interesse non patrimoniale nell"esercizio del diritto. Dando rilievo alle destinazioni soggettive contingenti si spezzerebbe il nesso tra casi e legge ("casi determinati dalla legge", ex art. 2059), in quanto verrebbe meno la rilevanza della specifica base normativa nella determinazione del caso ammesso a risarcimento. È il nesso con una puntuale base normativa il cuore del principio di tipicità.

5.- La destinazione oggettiva va però desunta non in via astratta ma sulla base dell"oggetto su cui il diritto viene esercitato. Se l"astrattezza è uno dei principali difetti del criterio dei diritti inviolabili, occorre evitare un criterio che finisca per riproporre il medesimo, o analogo, vizio. Ciò che conta è il nesso tra casi e legge e per ravvisarlo è necessario e sufficiente che sia desumibile ex ante e alla luce di un criterio oggettivo il nesso tra funzione/destinazione del diritto e base normativa. Questi requisiti sussistono nel criterio che fa riferimento al diritto in correlazione al tipo di oggetto sul quale esso (il diritto) viene esercitato in concreto. Dunque il percorso logico potrebbe essere il seguente: norma - diritto - oggetto - destinazione oggettiva. Si rientra in uno dei casi determinati dalla legge ex art. 2059 se la destinazione oggettiva attiene a valori personali. In conclusione è rilevante la destinazione oggettiva del diritto ricavabile dal tipo di oggetto sul quale il diritto viene in concreto esercitato.

6.- Il criterio della destinazione oggettiva riferita all"oggetto concreto del diritto consente di ben distinguere alcune situazioni che paiono, anche agli autori citati, meritevoli di considerazione differenziata, vale a dire quelle riguardanti la perdita di un animale. Se si adotta il criterio della destinazione oggettiva correlata all"oggetto concreto del diritto, non vi sono difficoltà a trattare diversamente le seguenti fattispecie: perdita dell"animale d"affezione; perdita dell"animale che accompagna il non vedente; perdita dell"animale d"allevamento. Analogo discorso per le immissioni. Un conto è che il fondo immesso sia una casa d"abitazione, altro che si tratti di fondo su cui si pratica un"attività industriale.

Come si vede, e comunque la si pensi in ordine alla soluzione da dare ai singoli esempi addotti, si tratta di una tipicità vicina alla logica del suo oggetto, una tipicità implicante valutazioni che stanno nelle corde del tortman; ciò che non può dirsi della tipicità uscita dal responso di San Martino.




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