-  Todeschini Nicola  -  30/09/2009

Trib. Milano, 30 settembre 2009, n. 12370109 - ACCUDIRE I GATTI NELLE PARTI COMUNI E' POSSIBILE - Nicola TODESCHINI

Ricordo di aver accompagnato più volte, molti anni fa, due care persone nell'atto di accudire gatti randagi portando loro cibo e acqua; ricordo il loro trasporto verso queste creature sole, misteriose e riconoscenti, e lo paragono allo stato d'animo di chi, pur di ostacolare altrettanta cura e dedizione, si rivolge addirittura alla giustizia civile per ottenere ausilio alle proprie imprudenti pretese. I condomini che si rivolgono al magistrato, e che poi dovranno vedere la loro pretesa rigettata e sostenere le spese della loro difesa, sostengono che sia intollerabile che altri condomini utilizzino un'area comune -peraltro molto contenuta- per installarvi alcuni cartoni, teli di plastica, assi di legno, utili ad organizzare un ricovero posticcio, lamentando che in tal modo sarebbe stata loro limitata la possibilità di utilizzare appieno la cosa comune. Si costituisce in giudizio pure Aidaa, associazione che per fini statutari si preoccupa della difesa degli animali, ed il contenzioso, attivato pure in odio al Condominio, reo di non aver provveduto allo sgombero, assume connotati di una certa importanza.

Contrastata, inutilmente, la legittimità della costituzione con intervento adesivo dell'associazione, fa effetto leggere nella richiesta danni degli attori pure la domanda di condanna dei vicini di casa premurosi al risarcimento del danno non patrimoniale stimato in ben 10.000,00 euro, tanto sarebbe stato il danno patito per la mancata utilizzazione del medesimo spazio adibito a ricovero dei gatti.

Seppure la domanda di condanna per lite temeraria non abbia trovato accoglimento, e chi scrive se ne rammarica, il magistrato rileva, correttamente, che lo stesso legislatore riconosce il diritto degli animali ad avere un riferimento territoriale dove svolgere le funzioni vitali, e che nessuna norma impedisce di individuarlo nei luoghi pubblici e privati nei quali i gatti randagi trovino protezione ed attenzioni affettuose. La legge 261/91 , salvo che non si tratti di interventi sanitari o di soccorso, adeguatamente motivati, non consente l'auspicata -dagli attori del giudizio- cattura o allontanamento dei felini.

Per altro verso, nemmeno il codice civile agevola la -invero meschina- pretesa di cacciare i gatti e così -probabilmente- colpire i galantuomini che li avevano aiutati a sopravvivere, poiché, come ben rilevato dal magistrato, ciascuno può servirsi della cosa comune sempre che non ne alteri la destinazione e ne impedisca il pari uso agli altri comunisti. Detto uso pari, inoltre, non è da intendersi necessariamente identico e contemporaneo, ma pure diverso -rispetto alla sua normale destinazione- e più intenso -da parte di taluni- purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari. Ebbene, l'istruttoria ha consentito di apprezzare il rispetto di detti principi, atteso che l'area adibita a ricovero è risultata essere decisamente limitata rispetto all'estensione della cosa comune; è emerso che alcun problema di ordine sanitario sia stato seriamente denunciato, e che nemmeno sia parso degno di descrizione l'asserito danno non patrimoniale che è risultato, in tutta franchezza, frutto di intenti locupletori in perfetta armonia con la sensibilità e prudenza dell'azione giudiziaria.

Spiace solo rilevare, infine, che la saggia pronuncia non si concluda un modo brillante con la condanna, pur richiesta, alla rifusione delle spese di giudizio, se non alla lite temeraria.




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