Famiglia, relazioni affettive  -  Redazione P&D  -  31/01/2022

Addio all'assegno di mantenimento all'ex?

Assegno di divorzio limitato solo a un arco temporale predeterminato dal giudice per consentire al coniuge più “povero” di uscire dalla difficoltà.

Non più solo in caso di tradimento, abbandono della casa coniugale ed altri comportamenti colpevoli che abbiano causato la fine del matrimonio (il cosiddetto “addebito”): l’assegno di mantenimento all’ex non sarà più dovuto in tutta una serie di ipotesi in cui, invece, oggi viene regolarmente riconosciuto. È la nuova proposta di legge che introduce una profonda riforma in materia di rapporti coniugali in caso di separazione e divorzio.

Il testo è già in Commissione Giustizia che ha già vagliato ogni singolo articolo. Sulla riforma sembra esserci un profondo consenso, da parte delle forze politiche, anche perché gli ultimi orientamenti della Cassazione hanno già fatto “il grosso”: oggi l’assegno di divorzio non è più – anche per la giurisprudenza – una “rendita parassitaria” (come lo chiama la Cassazione), ma un contributo dovuto solo in caso di meritevolezza e di incolpevole difficoltà economica (leggi Assegno di divorzio: diritto solo in 4 casi).

Accantonato il disegno di legge Pillon sull’affidamento condiviso dei figli, che tante reazioni aveva provocato, ora la parola d’ordine è una sola: addio all’assegno di mantenimento all’ex, vita natural durante, almeno quando ci sono le possibilità fisiche e professionali per lavorare.

Ma passiamo all’esame del nuovo testo di legge e vediamo come cambierà la disciplina dell’assegno di mantenimento all’ex e in quali casi vi si potrà dire “addio”.

Innanzitutto, spunta fuori la possibilità di un assegno di divorzio temporaneo, limitato solo a un periodo di tempo prefissato dal giudice per consentire al coniuge economicamente più svantaggiato di uscire dal periodo di “crisi”. Ciò avverrà tutte le volte in cui la ridotta capacità di produrre reddito da parte della moglie (o del marito) è solo momentanea perché dovuta a ragioni contingenti o superabili.

Viene poi fissato a livello legislativo il principio, già pacifico per la giurisprudenza, secondo cui l’assegno di mantenimento viene meno se l’ex coniuge contrae nuovo matrimonio, un’unione civile o una convivenza stabile; se la nuova relazione cessa, il diritto all’assegno non resuscita. Insomma, chi decide di intraprendere un progetto di famiglia con un’altra persona perde per sempre gli alimenti versati dall’ex coniuge. E, stando a quanto già precisato dalla giurisprudenza, dovrà anche comunicarlo immediatamente, a pena di restituzione di tutti gli arretrati percepiti dall’inizio della nuova relazione.

Nuovissimo elemento di cui il giudice dovrà tenere conto nel valutare la meritevolezza del mantenimento sarà non solo il reddito del coniuge richiedente ma anche il patrimonio, che entra a far parte delle variabili che possono decretare o meno il diritto agli assegni mensili.

La legge prende quindi atto del superamento del criterio del «tenore di vita» nel determinare la misura dell’assegno di divorzio per come chiarito dalla famosa sentenza Grilli del 2017  e «per quanto riguarda gli elementi da valutare per la determinazione dell’importo dell’assegno, l’attuale ampio concetto di “condizioni dei coniugi” viene sostituito da quello più specifico di “condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio”», scrive Il Sole 24 Ore questa mattina in edicola. In più «il richiamo attuale alle ragioni che hanno motivato la cessazione del matrimonio è sostituito con il parametro del comportamento tenuto dai coniugi per il venir meno della comunione spirituale e materiale; la valutazione della situazione economica non è più circoscritta al solo reddito ma è estesa anche al patrimonio dei coniugi».

Altri elementi sulla base dei quali verrà calcolato l’assegno di mantenimento sono: l’impegno e la cura personale di figli minori, disabili o maggiorenni ma non autosufficienti; l’incapacità di reddito per ragioni oggettive; la mancanza di adeguata formazione professionale causata dall’essersi dedicato alla cura della famiglia e dei figli, come raccomandato dalle Sezioni Unite della Cassazione la scorsa estate.

 




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