Amministrazione di sostegno  -  Alceste Santuari  -  10/06/2023

Amministratore di sostegno e cure all’estero: spetta all’ASL provare che esistano trattamenti simili in Italia – Tar Puglia, 256/2023

Una recente e importante sentenza del Tar Puglia (Lecce, sez. III, 20 febbraio 2023, n. 256), ha affermato un principio fondamentale: il paziente può recarsi all’estero, chiedere il rimborso delle spese sostenute all’ASL competente per territorio e non dover dimostrare che il trattamento avrebbe potuto essere ottenuto anche in Italia. Incombenza che spetta all’ASL medesima.

Come è noto, la Direttiva 2011/24 ha sancito la libertà per tutti i cittadini-pazienti europei di potersi recare all’estero per poter fruire di cure, servizi e trattamenti sanitari, in specie quando questi non siano disponibili nei paesi di affiliazione. Una delle condizioni che anche la Corte europea di giustizia ha ribadito è quella relativa alla presenza di trattamenti similari nel Paese di affiliazione, che impedirebbero quindi la scelta di recarsi all’estero.

Nel caso di specie, l’Amministratore di sostegno di un paziente, che era stato già curato e assistito in alcuni centri di eccellenza in Italia, ha individuato in un centro di eccellenza in Austria un presidio ospedaliero in grado di trattare in modo adeguato la patologia del paziente, contribuendo a migliorarne le condizioni del paziente.

Conseguentemente, l’Amministratore di sostegno ha richiesto l’autorizzazione all’Asl competente: quest’ultima, nonostante abbia riconosciuto che il centro all’estero ha offerto al paziente “complesse metodiche di alta specializzazione” ha negato la predetta richiesta di autorizzazione e/o rimborso delle cure mediche di neuroabilitazione già sostenute per la mancanza di prova dell’impossibilità del servizio sanitario nazionale di erogare cure pari a quelle ottenute all’estero.

Alla luce del contesto sopra brevemente descritto, i giudici amministrativi hanno evidenziato quanto segue:

  1. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che trattasi di potere autorizzatorio riconosciuto in capo alle ASL, che “intermedia la situazione giuridica soggettiva del cittadino che aspira ad ottenere cure gratuite all’estero, al fine di verificare il ricorrere di alcune specifiche condizioni prese in considerazione dalla legge a tutela dell’interesse pubblico al corretto utilizzo delle risorse e al buon andamento dell’Amministrazione sanitaria”;
  2. La legge n. 595/1985, art. 3 rubricato “Prestazioni erogabili in forma indiretta e prestazioni aggiuntive di assistenza sanitaria”, comma 5, autorizza i pazienti italiani a recarsi all’estero per ottenere prestazioni sanitarie non ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico;
  3. La completa e analitica documentazione medico-sanitaria prodotta dall’Amministratore di sostegno costituisce “sufficiente dimostrazione di elementi precisi gravi e concordanti circa la necessità delle cure mediche specificamente richieste” all’estero;
  4. L’Asl avrebbe dovuto esperire una più dettagliata istruttoria e avrebbe dovuto motivare in modo più preciso la specificazione che in loco la paziente avrebbe potuto con certezza e immediatamente ottenere gli stessi trattamenti e gli stessi risultati;
  5. L’art. 32 della Costituzione presuppone che la salute del cittadino deve essere garantita “mediante cure effettivamente adeguate anche ove non vi siano in loco protocolli scientifici e terapeutici di sicura efficacia, sia in termini di immediatezza, sia in termini di risultato”;
  6. L’adeguatezza delle cure (ottenute all’estero, come nel caso di specie) “non può essere disconosciuta assumendo il difetto di certezza di guarigione, tanto più allorquando le terapie dspecie) comunque assicurato al paziente documentate utilità non effimere”;
  7. Al paziente non può essere addossato il “gravoso onere di dimostrare l’efficacia e l’adeguatezza della cura all’estero, laddove non sussistano altrettante certezza per le cure in loco”;
  8. È dunque compito dell’Asl dimostrare che lo stesso risultato si possa raggiungere con il servizio sanitario nazionale secondo canoni di certezza, o quanto meno di buona probabilità, e di immediatezza.

Accogliendo il ricorso dell’Amministratore di sostegno, il Tar Puglia ha confermato le previsioni contenute nella Direttiva 2011/24 sul diritto dei pazienti a fruire di cure sanitarie all’estero. In questo senso, l’art. 8, par. 2 della Direttiva prevede che le cure transfrontaliere siano assoggettate ad autorizzazione preventiva nei casi in cui l’assistenza sanitaria:

  1. sia soggetta ad esigenze di pianificazione riguardanti l’obiettivo di assicurare, nel territorio dello Stato membro interessato, la possibilità di un accesso sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di cure di elevata qualità o la volontà di garantire il controllo dei costi e di evitare, per quanto possibile, ogni spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane e che:
  2. i) comporti il ricovero del paziente per almeno una notte, o
  3. ii) richieda l’utilizzo di un’infrastruttura sanitaria o di apparecchiature mediche altamente specializzate e costose;
  4. richieda cure che comportano un rischio per il paziente o la popolazione, o
  5. sia prestata da un prestatore di assistenza sanitaria che, all’occorrenza, potrebbe suscitare gravi e specifiche preoccupazioni quanto alla qualità o alla sicurezza dell’assistenza, ad eccezione dell’assistenza sanitaria soggetta alla normativa dell’Unione europea che garantisce livelli minimi di sicurezza e qualità in tutta l’Unione.

Le disposizioni della Direttiva sopra citata sono state trasposte nel d. lgs. n. 38/2014, che ha confermato che le autorità sanitarie competenti non possono negare l’autorizzazione preventiva quando l’assistenza sanitaria richiesta dal paziente quando la prestazione oggetto della richiesta di autorizzazione non può essere prestata sul territorio nazionale entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico, sulla base di una valutazione medica oggettiva dello stato di salute del paziente, dell’anamnesi e del probabile decorso della sua malattia, dell’intensità del dolore e della natura della sua disabilità al momento in cui la richiesta di autorizzazione è stata fatto o rinnovata. Qualora l’ASL disponga per il diniego all’autorizzazione, il provvedimento negativo deve risultare adeguatamente motivato e qualora l’autorizzazione preventiva venga negata in ragione di una prestazione analoga ottenibile senza ingiustificato ritardo presso una struttura afferente al SSN, l’ASL deve individuare e comunicare al richiedente il prestatore di assistenza sanitaria in grado di erogare sul territorio nazionale la prestazione richiesta.

La sentenza de qua, quasi dopo dieci anni dalla sentenza Petru (C-268/13, Elena Petru contro Casa Judeţeană de Asigurări de Sănătate Sibiu e Casa Naţională de Asigurări de Sănătate) ha dunque affermato il diritto dei pazienti a recarsi all’estero per fruire di cure sanitarie adeguate, immediate e funzionali a migliorare il loro stato di salute.




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