-  Rossi Rita  -  31/07/2008

ANORESSIA E INTERDIZIONE: MISFATTO DI MEZZA ESTATE – Rita ROSSI

Una giovane donna torinese ritenuta dai giuci incapace di provvedere a se stessa
la sorella maggiore è stata nominata tutore definitivo e deciderà quali terapie adottare 

"Anoressica, interdetta a trent'anni. Il tribunale: patologia nervosa" di Lorenza Pleuteri 

Una giovane malata di anoressia
TORINO - È arrivata a pesare solo 28 chili, a spendere una fortuna nei supermercati per riempire frigoriferi e dispense di cibo lasciato andare a male, a tiranneggiare i familiari stremati. Adesso, a 33 anni, non può firmare un assegno, acquistare una casa, sottrarsi alle cure che per metà della sua vita ha ostinatamente contrastato.

Una giovane donna torinese - dall'adolescenza malata di anoressia nervosa, patologia psichiatrica diagnosticata da un perito durante la causa chiusa ieri - è stata interdetta dai giudici civili della settima sezione del tribunale torinese su richiesta della famiglia, affiancata in una battaglia legale durata tre anni dagli avvocati Patrizia D'Antona e Marco Porcari. È stata ritenuta incapace di provvedere ai propri interessi, a stessa, come le persone con altre malattie mentali gravi. La sorella maggiore, nominata tutore definitivo, deciderà tutto o quasi al posto suo, concordando i percorsi terapeutici con specialisti pubblici e sanitari privati.

"L'interdizione per altre malattie mentali - commenta il professor Ugo Fornari, docente di psicopatologia forense nel capoluogo piemontese e studioso di fama internazionale - è relativamente diffusa. Ma credo che questo sia il primo caso di applicazione di un provvedimento così estremo, a mio parere legittimo, legato alla anoressia nervosa". Un caso che potrebbe aprire la strada ad altre cause simili. O che potrebbe far discutere e dividere.

Nel fascicolo del procedimento c'è la storia di una ragazza alla deriva e di una famiglia costretta ad una scelta estrema, dopo 18 anni di peregrinazioni da un ospedale all'altro, trattamenti sanitari obbligatori, soluzioni che mettevano una pezza provvisoria, rifiuti, fughe. Nel 2005, dopo l'ennesima crisi, dopo l'ennesima dimissione da una casa di cura, i genitori e la sorella della giovane donna sempre più magra e sofferente hanno deciso di promuovere una causa.

"Non sappiamo più che cosa inventarci per impedire che nostra figlia si faccia del male - hanno spiegato agli avvocati - Vogliamo solo che lei venga curata, assistita, che non possa autodistruggersi. Non possiamo vederla morire sotto i nostri occhi. Ma non siamo più in grado di tenerla in casa con noi".

Il giudice cui è toccato il caso ha accolto il ricorso d'urgenza per l'interdizione, nominando tutore provvisorio la sorella della malata d'anoressia nervosa. Poi un perito ha scavato nella storia e nelle paure della donna, in due riprese, a distanza di sei mesi, concludendo che "non è in grado di fare fronte alle proprie esigenze, non ha una consapevolezza costante della malattia, non è sempre in grado di esprimere un consenso informato alle terapie mediche".

Incapace di intendere, dunque. E messa sotto tutela definitiva, da ieri. "So che potrebbero sorgere delle perplessità, che qualcuno potrebbe dissentire - commenta ancora il professor Fornari - ma dobbiamo sgombrare il campo dagli equivoci. L'interdizione non è più come ai tempi dei manicomi, quando era un castigo di Dio e rappresentava l'emarginazione e la esclusione. Va esattamente nella direzione opposta, nell'esclusivo interesse della paziente. È non è un provvedimento irrevocabile, definitivo. Capisco anche la famiglia. Andare da un giudice, per loro, deve essere stata l'ultima possibilità".

(31 luglio 2008)




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