-  Redazione P&D  -  22/01/2013

CENDON LIBRI – LA CASA CONIUGALE NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO - Giancarlo RITORTO BRUZZONE

1. La disciplina relativa alla casa coniugale e la ratio legis

Dapprima con la riforma del diritto di famiglia del 1975 (che ha innovato l"art. 155, 4° co., c.c.), poi con la novella sul divorzio (art. 6, 6° co., L. divorzio) è stata prevista la possibilità di attribuire in uso esclusivo ad uno dei coniugi la casa familiare, sia in sede di separazione, che di divorzio. Con la l. 8 febbraio 2006, n. 54, l"art. 155 c.c. è stato dedicato interamente alla disciplina dell"affidamento e del mantenimento della prole della coppia in crisi; l"aggiunto art. 155 quater c.c. ha disciplinato l"assegnazione della casa coniugale.

La ratio delle norme dette è diretta a tutelare la prole minore della coppia dalla disgregazione della famiglia. Nella intenzione del legislatore deve essere tutelato in primis l"ambiente familiare , ove i figli hanno trovato il primo affetto, la prima accoglienza. Si reputa correttamente che i figli abbisognino di una continuità residenziale, al fine di evitare il trauma derivante da uno spostamento improvviso dalle abitudini di vita consolidate (lettino, cucina, giochi, amici, scuola, ecc.), ancor più necessario quanto più i figli si trovino in tenera età.

Quindi, la casa familiare, ossia la casa ove si svolge prevalentemente la vita in comune, diviene appannaggio preferenziale del coniuge che vede affidata la prole. Il legislatore, così, viene a farsi carico del possibile disagio che la disgregazione della famiglia può comportare per la prole minore, attribuendo al coniuge affidatario un diritto, che vedremo atipico, di utilizzo della casa e degli arredi sino alla raggiunta autonomia economica dei figli.

Potendo il giudice, in caso di mancanza di figli, procedere all'assegnazione della casa coniugale unicamente nell'ipotesi di comproprietà dell'immobile (Cass., 21 gennaio 2011, n. 1491).

Secondo il disposto di cui all'art. 155 quater c.c., prole minorenne o non autosufficiente e genitore affidatario continueranno a convivere nella casa fami­liare.

Tale locuzione indica il luogo in cui i coniugi e i figli, dunque la famiglia nucleare, hanno dimorato abitualmente, in modo continuativo ed effettivamente, e ciò a prescindere dalle risultanze anagrafiche, già prima della se­parazione.

Ed anche a prescindere dal diritto che il congiunge affidatario già vantava sulla casa, nel senso che il diritto ad abitarla a seguito del provvedimento del giudice è capace di "affievolire" il diritto dominicale o l"altro diritto reale o personale che l"altro coniuge godeva

La normativa attinente alla assegnazione è contenuta sia nel codice civile che nella L. div., ma, come molti istituti comuni, poche o nulle sono le divergenze di disciplina concreta.

Nel caso della casa coniugale, la disciplina resta identica: sono normative eccezionali, ossia dettate a nell'esclusivo interesse della prole minorenne ed il fatto di essere contenute sia nell"art. 155 quater c.c. che nell"art. 6, 6° co., l. divorzio, non altera l"identità sostanziale dei due dettati legislativi e, comunque, va interpretato nel senso che l"attribuzione in uso della casa familiare non può andare al di là del contenuto del diritto, sicché la normativa non è applicabile, neppure in via di interpretazione estensiva, al coniuge non affidatario, ancorché avente diritto al mantenimento.

Dopotutto, è la stessa normativa che disciplina il regime primario della famiglia (artt. 144, 147 e 261 c.c.) che induce a ritenere esistente, quale componente essenziale della vita familiare e della normale crescita educativa dei figli, l"esistenza di una casa coniugale, centro degli affetti e delle relazioni familiari.

Si è in proposito rilevato che la norma in esame costituisce, nel sistema della legge, una misura di garanzia e di protezione dei figli minori, nonché dei figli maggiorenni e tuttora privi non per loro colpa di redditi propri, volta ad evitare l'ulteriore lacerazione di un allontanamento coattivo dal focolare domestico ed a favorire la continuazione della convivenza con il genitore affidatario o con quello con il quale abbiano deciso di continuare a vivere.

 

Se, infatti, nessun particolare diritto vantano i familiari sulla casa di proprietà di uno dei coniugi, salvo a richiedere l"adempimento dei doveri matrimoniali, ed in particolare, quello di mettere a disposizione e non distrarre dall"uso stabilito, la casa coniugale, adempimento sanzionato tramite l"eventuale addebito della separazione, al momento della crisi coniugale, tramite l"attribuzione giudiziale del diritto ad abitare, con la prole, nella casa familiare, nasce un diritto particolare in capo al coniuge con non sia titolare di posizioni di vantaggio sulla abitazione

(Cass. 7 maggio 1992, n. 5415, in Vita Not., 1992, 1159).

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