-  Redazione P&D  -  08/01/2003

CHE COS'E' IL DANNO ESISTENZIALE - Paolo CENDON e Patrizia ZIVIZ

1. LA GENESI DEL DANNO ESISTENZIALE

1.1. La crisi del sistema risarcitorio tradizionale. – Il dibattito che ha investito, fin dal principio degli anni ’60, la responsabilità civile è entrato, da qualche decennio a questa parte, in una fase nuova, caratterizzata da un’inversione quanto al peso specifico delle due fasi che scandiscono l’applicazione di tale istituto. Dopo che per un lunghi anni ogni indagine degli interpreti risultava focalizzata sui profili relativi all’an respondeatur, si è assistito ad un rovesciamento di tendenza: ad essere posto al centro del discorso aquiliano risulta, attualmente, essere il problema del risarcimento del danno.
Questo cambiamento si deve – essenzialmente - al fatto che presso gli interpreti si è diffusa, in maniera sempre più decisa, la consapevolezza circa la necessità di un nuovo approccio quanto alla tutela risarcitoria da apprestare a fronte dell’illecito lesivo della sfera della persona. Una prima risposta, rispetto all’esigenza di articolare la risposta risarcitoria in maniera più completa di quanto consentito dal classico binomio danno patrimoniale/danno morale, è venuta attraverso la creazione di quella voce di pregiudizio conosciuta come danno biologico. Ma il processo evolutivo non si è arrestato qui: nei tempi più recenti, si è assistito ad un continuo e progressivo inserimento – nel panorama aquiliano, di nuove figure pregiudizievoli, tutte destinate a garantire una più completa e piena salvaguardia della dimensione personale dell’individuo.
Un simile percorso sancisce, perciò, la definitiva presa d’atto circa le insufficienze del sistema tradizionale, all’interno del quale la salvaguardia dell’individuo risultava assicurata essenzialmente attraverso il ristoro di voci di pregiudizio radicate in ambito patrimoniale, restando la riparazione del danno non patrimoniale – inteso nella ristretta accezione di danno morale – ancorata alla ricorrenza dei “casi determinati dalla legge” cui rimanda l’art. 2059 c.c. All’interno di un simile sistema, la protezione per i riflessi negativi di carattere non patrimoniale - diversi dalla sofferenza e dal patema d’animo - veniva garantita attraverso una forzatura di tali aspetti pregiudizievoli entro l’ambito patrimoniale: operazione, questa, che ha preso corpo tramite la creazione giurisprudenziale di voci quali il danno alla vita di relazione, il danno estetico e il danno alla sfera sessuale, attratte in ambito economico in forza del presunto effetto negativo che la compromissione della dimensione personale si ipotizza produrre sul patrimonio del soggetto colpito.
Con l’elaborazione del danno biologico si innesca una crisi irreversibile per quel che riguarda un simile assetto: un cambiamento – è importante sottolineare – che non limita il proprio impatto al torto lesivo dell’integrità psico-fisica, bensì appare suscettibile di riverberare i propri effetti a tutto campo. A venire in evidenza è, pertanto, la necessità di tracciare un nuovo modello per quel che riguarda la salvaguardia risarcitoria della persona non soltanto a fronte della violazione della salute, ma – più ampiamente – nei riguardi di qualunque illecito lesivo della sfera personale dell’individuo.

1.2. Le soluzioni giurisprudenziali. – Su questo terreno, un notevole sforzo risulta profuso dalla giurisprudenza, la quale si è adoperata nell’opera di definizione di un nuovo modello interpretativo da applicare alle regole di risarcimento del danno, tale da garantire adeguati margini di protezione alla persona. Particolare importanza riveste, all’interno di un simile processo, la celebre pronuncia della Corte costituizionale n. 184/86 (Corte cost. 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, c. 2053, con nota di Ponzanelli G., La Corte costituzionale, il danno non patrimoniale e il danno alla salute e 2976, nota di Monateri P.G., La Costituzione ed il diritto privato: il caso dell'art. 32 Cost. e del danno biologico; in Giur. it., 1987, I, 1, 392, con nota di Pulvirenti A., Il danno all'integrità psico-fisica (cosiddetto danno biologico), nella più recente sentenza della Corte costituzionale; in Nuove leggi civ. comm., 1986, 601, con nota di Giusti A., Danno non patrimoniale e danno alla salute di fronte alla Corte costituzionale; in Resp. civ. prev., 1986, p. 520, con nota di Scalfi G., Reminescenze dogmatiche per il c.d. danno alla salute: un ripensamento della Corte costituzionale; in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, p. 534, con nota di Alpa G.; in Giust. civ., 1986, I, p. 2325); tale pronuncia – pur risultando focalizzata sulle problematiche riguardanti il danno biologico – rappresenta infatti un vero e proprio spartiacque tra due concezioni antitetiche della salvaguardia dell’individuo complessivamente intesa.
La ricerca di un nuovo modello risarcitorio per la protezione della persona ha registrato, dopo questa sentenza, un intenso fervore giurisprudenziale. Quest’ultimo si è sviluppato lungo una molteplicità di itinerari, registrandosi presso i giudici una notevole diversità di approccio in merito all’individuazione dei riferimenti sui quali intervenire al fine di garantire un ampliamento, rispetto al passato, dei confini riparatori. A variare, in seno ai differenti percorsi intrapresi dalle corti, risulta – essenzialmente - l’identità attribuita a quelle voci di pregiudizio che dovranno essere prese a riferimento, al fine di incrementare i margini di protezione della persona: vi è chi predilige una prospettiva volta a convogliare le nuove poste entro un’area estranea all’alternativa patrimoniale/non patrimoniale; chi invece favorisce un’ottica incline alla ridefinizione del campo patrimoniale del pregiudizio; o – ancora – chi sostiene la necessità di un allargamento dell’area non patrimoniale del danno.
Pur nella diversità di prospettive, l’obiettivo di fondo rimane – in ogni caso - il medesimo; si tratta di individuare una giustificazione teorica coerente a fronte di un’univoca regola operazionale: quella che prevede la sottrazione delle nuove voci risarcitorie all’applicazione del sistema restrittivo previsto dall’art. 2059 c.c.

(A) La somatizzazione della tutela della persona: il modello cui, più di frequente, hanno fatto ricorso i giudici - nella ricerca di un nuovo assetto per la tutela risarcitoria della persona – è quello che sostituisce alla classica bipartizione del danno risarcibile che contrappone i pregiudizi patrimoniali a quelli di carattere morale, una classificazione imperniata su tre categorie di danni: patrimoniale, morale e biologico. A quest’ultima categoria spetterebbe, in particolare, il compito di filtrare tutte le esigenze risarcitorie che non trovano risposta negli ambiti tradizionali.
Varie appaiono le modalità tecniche attivate al fine di raggiungere un simile risultato. Una prima strada è quella che mobilita il danno alla salute attraverso un'applicazione generalizzata della regola secondo cui nel danno biologico va compreso il danno alla vita di relazione; sulla scorta di un simile principio le ripercussioni relazionali negative risultano qualificate come danno alla salute qualunque sia il tipo di lesione posta all’origine delle stesse (v., ad esempio, Trib. Verona 15 ottobre 1990, in Foro it., 1991, I, 261, con nota di Simone R.; in Resp. civ. e prev., 1990, 1039, con nota di Navarretta E., Il diritto a nascere sano e la responsabilità del medico; in Giur. it., 1991, I, 2, 696, con nota di Pinto Borea M.C., Considerazioni in tema di responsabilità medica; in Nuova giur. civ. comm., 1991, I, 357, con nota di Pulcella R., Responsabilità medica per la lesione del diritto a nascere sani: tutela del nascituro e dei prossimi congiunti; in Rass. dir. civ., 1992, 422, con nota di Carusi D., Tutela giuridica della vita prenatale e risarcimento del danno nell'illecito plurioffensivo). Un diverso modo per chiamare in causa il danno biologico risulta essere quello secondo cui – a fronte di qualsiasi comportamento che si passibile di creare un rischio per la salute – potrà essere dato per scontato il realizzarsi della lesione: la mera pericolosità del comportamento del danneggiante viene considerata determinante per far scattare la presunzione circa l'avvenuta violazione dell'integrità psico-fisica (v., tra le tante, App. Milano 6 novembre 1987, in Resp. civ. prev., 1988, 201, con nota di Coggi F., In tema di immissioni e danno da deprezzamento economico dell'immobile). Una terza via - utile a mettere in campo il danno biologico anche quando l'illecito non mostri di aver aggredito direttamente la salute della vittima - è, infine, quella che impiega in termini estremamente ampi il concetto di lesione della salute psichica; qualunque compromissione della sfera di esplicazione personale del soggetto viene considerata quale sicura fonte di turbamento psicologico ed emotivo per il danneggiato, risultando nel contempo tale alterazione mentale sempre qualificata – anche in assenza di accertate patologie - nei termini di un vero e proprio danno psichico (così, ad esempio, Trib. Milano 1 febbraio 1993, in Resp. civ. e prev., 1993, 1016).
Queste diverse tecniche poggiano tutte su un dato comune: quello rappresentato da una dilatazione della tutela della salute, la quale viene estesa al punto da diventare il necessario riferimento per la protezione di qualsiasi compromissione della sfera personale della vittima. Ora, una scelta del genere non appare per alcun verso condivisibile: in effetti tale prospettiva - oltre ad essere fondata sull’idea, estremamente riduttiva, che la realizzazione dell’individuo corrisponda e si esaurisca nel raggiungimento dello stato di salute – sfrutta una serie di automatismi tecnici del tutto destituiti di fondamento, al fine di poter ipotizzare la ricorrenza di una lesione dell’integrità psico-fisica della persona a fronte di qualunque turbamento del suo stato di benessere.

(B) La logica del danno evento: un altro modello risarcitorio - piuttosto diffuso presso le corti, in quanto modulato secondo lo schema proposto dalla già richiamata sentenza n. 184/86 della Corte costituzionale – è quello che, nel mirare ad una tripartizione dell’area del danno risarcibile, affianca ai danni patrimoniali e morali una categoria delineata nei termini di danno-evento. Si ipotizza, in particolare, l’inserimento nel sistema aquiliano di una voce di pregiudizio corrispondente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, da sottrarre – come tale - all’ambito di applicazione dell’art. 2059 c.c. (tra le tante, v. Cass. 11 novembre 1986, n. 6607, in Foro it., 1987, I, 833, con nota di Princigalli A.; in Giust. civ., 1987, I, 572, con note di Alpa G., Lesione del ius in corpus e danno biologico del "creditore" e di Botto A., Ius in corpus tra coniugi e risarcibilitò per atto lesivo del terzo; in Dir. fam. pers., 1987, 148; in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 343, con nota di Ferrando G.).
A respingere una simile prospettiva basta rilevare che la stessa, nel rinunciare alla distinzione tra la nozione di danno e quella di illecito, sancisce un allargamento ingovernabile dei confini della responsabilità civile; né una limitazione efficace potrà essere rappresentata dalla rilevanza costituzionale dell'interesse leso, tenuto conto che i giudici hanno più volte manifestato la propensione ad individuare inedite posizioni costituzionalmente protette con il solo scopo di garantire un riscontro aquiliano ai torti che colpiscono la sfera personale della vittima.

(C) La dilatazione del concetto di patrimonio. Un ulteriore e distinto modello è quello che mira ad una rivisitazione del concetto di patrimonialità del danno, utile a garantire l’ampliamento della relativa categoria fino al punto da poter comprendere i riflessi negativi che coinvolgono la sfera personale della vittima (così, ad esempio, Trib. Milano 31 maggio 1999, in Danno Resp., 2000, 67, con nota di Caso R., Danno per lesione del rapporto parentale: tra esigenze di giustizia e caos risarcitorio; in Riv. Giur. circ. trasp., 2000, 142, con nota di Rossetti M., Si può monetizzare la perdita di un affetto?; in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 4, con nota di Chindemi D., Il danno edonistico). In questa prospettiva si assiste ad una ridefinizione del concetto di patrimonio nei termini di com¬plesso di utilità e vantaggi che – pur non risultando stimabili secondo criteri di mercato - si prestano ad una valutazione economica oggettiva. E’ evidente – però - che tramite un simile itinerario si perviene a tratteggiare un concetto di patrimonio talmente ampio da diventare inservibile, in quanto del tutto indeterminato nei suoi confini.

(D) L’estensione del concetto di danno non patrimoniale. Resta da illustrare, infine, la linea di lettura di quei giudici che puntano ad introdurre nel sistema aquiliano un concetto di danno non patrimoniale più esteso rispetto a quello di danno morale. Alle conseguenze non patrimoniali della lesione diverse dal patema d’animo risulta – nel contempo - applicata una regola di risarcibilità più estesa rispetto a quella tratteggiata dall’art. 2059 c.c., sulla base del richiamo alla rilevanza costituzionale dell’interesse leso. La differenza, rispetto al modello del danno-evento, è evidente: in questo caso i “nuovi danni” risultano sempre e comunque individuati nei termini di conseguenza negativa della lesione.
Le critiche che possono essere mosse a questa prospettiva riguardano, essenzialmente, la scarsa coerenza della regola tracciata al fine di pervenire alla disapplicazione dell’art. 2059: Poiché quest’ultima appare fondata sulla rilevanza dell’interesse colpito, al sistema restrittivo dovrebbero essere sottratte anche le conseguenze di ordine morale provocate dalla lesione di una situazione costituzionalmente protetta; il che non avviene nella realtà della prassi, dove la regola operazionale uniformemente applicata prevede che i danni morali (pur'anche se derivanti dalla lesione di interessi particolarmente qualificati) rimangano comunque assoggettati alle limitazioni risarcitorie consuete.

Tutti i modelli di matrice giurisprudenziale si trovano, in definitiva, a scontare gravi lacune, di ordine sia teorico che tecnico, che ne hanno impedito la definitiva affermazione. Va, d’altro canto, evidenziato come la coesistenza di schemi risarcitori differenti abbia complicato notevolmente il panorama aquilano, sì da rendere indispensabile una razionalizzazione dello stesso.
Proprio da tale necessità di razionalizzazione ha preso vita – in ambito dottrinale - l’elaborazione della figura del danno esistenziale. Partendo dall’analisi del fallimento dei vari tentativi – portati avanti dalle corti – di filtrare le nuove esigenze risarcitorie attraverso categorie di pregiudizio già collaudate, è nata la consapevolezza circa l’esigenza di creare una nuova voce di danno risarcibile. La nascita di questa figura rappresenta, perciò, la naturale evoluzione di quel processo che ha visto inserire nel sistema di responsabilità civile un pregiudizio come quello biologico: così non hanno mancato di osservare i giudici, nella ambito di quella che costituisce la prima sentenza ad aver affrontato, con ampiezza di analisi e di motivazioni, la questione della risarcibilità del danno esistenziale (v. Trib. Torino 8 agosto 1995, in Resp. civ. prev., 1996, 282, con nota di Ziviz P., Quale futuro per il danno dei congiunti?).


2. LA NOZIONE DI DANNO ESISTENZIALE

2.1. La compromissione delle attività realizzatrici della persona. – Per quel che riguarda le caratteristiche deputate a connotare la nuova figura del danno esistenziale, una parte delle stesse vengono ricavate volgendo in chiave positiva le lacune che emergono nell’utilizzo – quale riferimento per le nuove esigenze risarcitorie - di voci di danno già collaudate.
Il danno esistenziale rappresenta una voce risarcitoria che – nel differenziarsi dal danno patrimoniale e da quello morale – appare dotata di quel carattere di trasversalità di cui risulta privo il danno biologico. La nuova figura non risulta, cioè, collegata alla lesione di unico tipo di interesse: né la salute – pur se latamente intesa - né alcun altro genere di interesse è, in effetti, suscettibile di riassumere la complessità di posizioni nelle quali il singolo dev’essere garantito al fine di poter svolgere liberamente la propria personalità. Si tratta, pertanto, di una voce attivabile a fronte di qualunque tipo di torto suscettibile di incidere negativamente nella sfera di esplicazione personale della vittima.
Una volta assodato che, anche il questo caso, il pregiudizio dovrà necessariamente configurarsi nei termini di conseguenza negativa di una lesione, distinguendosi nettamente da quest'ultima, è apparsa fuori discussione la collocazione dello stesso nell’area non patrimoniale, dal momento che a venire in gioco sono riflessi coinvolgenti la dimensione personale della vittima. Non è mancato – è ben vero - qualche tentativo giurisprudenziale di ricondurre il danno esistenziale all’ambito patrimoniale: risultato al quale i giudici hanno ritenuto di poter addivenire in considerazione della possibilità di procedere, per un simile pregiudizio, ad una “valutazione patrimoniale anche in base a parametri e tabelle che la giurisprudenza potrebbe elaborare sulla base della casistica” (Trib. Milano 21 ottobre 1999, in Resp. Civ. Prev., 1999, 1335, con nota di Ziviz P., Il danno esistenziale preso sul serio; in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 558, con nota di Borlotti L., Immissioni intollerabili e danno esistenziale); una simile strada, presto abbandonata, era stata imboccata esclusivamente al fine di garantire – per il danno esistenziale – la disapplicazione della disciplina restrittiva prevista dall’art. 2059 c.c., ma il medesimo risultato può essere raggiunto mantenendo per tale pregiudizio una corretta classificazione nei termini di danno non patrimoniale (v. § 3.3).
Quanto alle specifiche conseguenze negative destinate a confluire nella voce del danno esistenziale, è apparso insufficiente il richiamo ad una generica compromissione dello svolgimento della personalità della vittima. Al fine di pervenire ad una puntuale identificazione del genere di riflessi pregiudizievoli convogliati sotto questa voce, un ausilio determinante è stato tratto dalla già ricordata sentenza n. 184/86 della Corte costituzionale, la quale afferma che la correlazione delle norme codicistiche con i valori personali garantiti dalla Costituzione impone di ricondurre sotto l’egida dell’art. 2043 c.c. “non solo di danni in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana". Da quella pronuncia è stata ricavata, perciò, la fondamentale indicazione secondo cui - nell’ambito di un rinnovato approccio alla tutela della persona - a dover rilevare in maniera autonoma sarà la compromissione delle attività realizzatrici della persona.
Il danno esistenziale rappresenta, in buona sostanza, il punto di riferimento per tutte quelle ripercussioni negative risentite dalle singole attività attraverso le quali la vittima dell’illecito realizza la propria personalità. In definitiva, si tratta di tener conto delle modificazioni esterne – di carattere oggettivo – che sono intervenute nella vita del soggetto leso a seguito dell’illecito; queste ultime costituiranno un pregiudizio autonomamente risarcibile, a prescindere dai risvolti patrimoniali e/o morali che tali cambiamenti sono suscettibili di produrre per la vittima.
Il campo delle attività esistenziali è suscettibile di dispiegarsi in una serie pressoché infinita. Sotto questo aspetto, la complessità del danno esistenziale non appare, tuttavia, diversa da quella che contraddistingue le voci classiche del pregiudizio. Basta rammentare come lo stesso danno patrimoniale comprenda al suo interno le poste più varie, come emerge già dalla contrapposizione codicistica tra danno emergente e lucro cessante. Anche il danno esistenziale, pertanto, va letto come una cifra unica: in effetti, benché molteplici appaiano - al variare dell’interesse leso - le attività che possono essere colpite, si tratta sempre e comunque di prendere in considerazione i riflessi negativi che coinvolgono le esplicazioni esistenziali del soggetto colpito.
Al fine di semplificare l’opera di ricognizione del giudice, il campo della sfera di realizzazione individuale è stato suddiviso nei seguenti settori: (a) attività biologico-sussitenziali; (b) relazioni affettivo-familiari; (c) rapporti sociali; (d) attività di carattere culturale e religioso; (e) svaghi e divertimenti. Ad essere presi in considerazione, per ciascun settore, saranno – da un lato - tutti gli impedimenti che la vittima è destinata a subire con riguardo ad attività che contribuiscono alla propria realizzazione individuale; dall’altro lato, si tratterà di tener conto che lo svolgimento della personalità potrebbe essere ostacolato dalla necessità di affrontare, in conseguenza all’illecito, attività onerose sul piano dell’impegno personale. In buona sostanza, il danno esistenziale si manifesta sotto una duplice veste: compromissione delle attività che la vittima svolgeva e non potrà più effettuare, oppure a cui potrà dedicarsi, sul piano quantitativo oppure qualitativo, in maniera più limitata; costrizione ad occupazioni che il danneggiato deve affrontare suo malgrado e che lo limitano sul piano dell'espressione della propria personalità, sia perché spiacevoli in sé, sia perché riduttive dei margini di tempo a propria disposizione.
Le conseguenze esistenziali negative patite dalla vittima saranno risarcibili anche quando assumano carattere temporaneo: il fatto che il cambiamento peggiorativo dell’esistenza della vittima si sia manifestato per un periodo di tempo definito potrà assumere rilevanza esclusivamente sul piano del quantum, per stabilire il giusto ammontare del risarcimento (Bilotta 2002, 90).


2.2. Il taglio consequenzialistico. - Il ruolo fondamentale svolto dalla sentenza n. 184/86 nell’affermazione di una nuova prospettiva per la tutela della persona ha favorito, presso alcuni interpreti, una lettura incline ad applicare l’ottica del danno-evento - accolta in quella sede dai giudici costituzionali – alla figura del danno esistenziale: da taluni, quest’ultimo viene, perciò, identificato con la lesione di un diritto fondamentale della vittima, in sé considerata.
In questa prospettiva si è mossa la stessa Cassazione, in quella che rappresenta la prima pronuncia ove i giudici di legittimità riconoscono esplicitamente la presenza nel sistema della nuova categoria (Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, in Resp. civ. prev., 2000, 923, con nota di Ziviz P., Continua il cammino del danno esistenziale; in Giur. it., 2000, 1352, con nota di Pizzetti F.G., Il danno esistenziale approda in Cassazione; in Danno resp., 2000, 835, con note di Monateri P.G., “Alle soglie”: la prima vittoria in Cassazione del danno esistenziale e di Ponzanelli G., Attenzione: non è danno esistenziale, ma vera e propria pena privata; in Giust. civ., 2000, I, 2219; in Foro it., 2001, I, 187, con nota di D’Adda A., Il cosiddetto danno esistenziale e la prova del pregiudizi); in quella sede la S.C., nel pronunciarsi su un caso di mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento al figlio naturale, ha infatti sottolineato la necessità di risarcire – in capo al minore - la lesione in sé dei suoi diritti fondamentali, derivante dal comportamento del padre.
Un orientamento favorevole a configurare il pregiudizio di carattere esistenziale nei termini di danno-evento non appare, però, condivisibile: il pregiudizio, nel sovrapporsi con la posizione colpita, diventa qualcosa di automatico, ed il suo riconoscimento finisce per prescindere da qualsiasi indagine circa i riflessi negativi effettivamente risentiti dalla vittima.
Diversamente, il danno esistenziale deve registrare – così come le altre voci del danno risarcibile – quelli che sono i riflessi negativi provocati dalla lesione di una determinata situazione giuridicamente rilevante: in particolare, le conseguenze indotte dall’illecito sulle attività attraverso le quali la vittima estrinseca la propria personalità. Di qui la necessità di leggere anche il danno esistenziale in un’ottica prettamente consequenzialistica (Cendon; Bilotta), il che consente altresì di respingere le critiche di quegli interpreti che hanno sottolineato l’avvenuto superamento della teoria del danno-evento ad opera della stessa Corte costituzionale (v. Trib. Roma 7 marzo 2002, in D&G, 2002, n. 18, 40, con nota di Peccenini F., Nella disparità delle opinioni restano i dubbi sull’articolo 2059 c.c.; in Resp. civ. prev., 2002, 793, con nota di Ziviz P., Chi ha paura del danno esistenziale?).


2.3. I rapporti con le altre categorie di danno. - Il fatto che il danno esistenziale venga a colmare una lacuna a livello di tutela aquiliana della vittima permette di delineare per questa voce un’area autonoma di riferimento, nettamente distinta da quella riservata alle altre categorie. Una precisa definizione dei confini che separano la nuova figura dalle altre voci risarcitorie appare – d’altro canto - indispensabile al fine di superare quelle ambiguità giurisprudenziali che hanno accompagnato la categoria fin dalla sua prima comparsa nelle aule di giustizia (v. Pret. L'Aquila 10 maggio 1991, in Foro it., 1993, I, 317, ove il danno esistenziale risulta assimilato ad un pregiudizio di carattere biologico latamente inteso).

(A) Rapporti con il danno patrimoniale: Nessun problema di sovrapponibilità sembra porsi per quanto riguarda l’area del danno patrimoniale, dal momento che il danno esistenziale nasce proprio in risposta alle insufficienze di una lettura in chiave puramente economicistica del risarcimento. A dover essere messo in evidenza, semmai, appare il transito nell’area coperta dalla nuova figura di tutte quelle voci - come il danno alla vita di relazione - che in passato venivano forzate nell’area patrimoniale a prescindere da un diretto riscontro in chiave reddituale per i relativi riflessi pregiudizievoli.


(B) Rapporti con il danno morale: particolarmente discussi appaiono – invece - i rapporti che legano il danno esistenziale con il danno morale. Una corretta definizione degli stessi è stata spesso ostacolata dalla diversità di orientamenti dottrinali con riguardo al contenuto da attribuire alla nuova categoria; laddove, infatti, i confini di quest’ultima vengano estesi fino a ricomprendere anche lo stress emotivo patito dalla vittima, diventa estremamente difficile tracciare una netta linea di demarcazione rispetto al patema d’animo.
Qualsiasi sovrapposizione risulta esclusa ove si accolga la prospettiva mirante ad attribuire al danno esistenziale un contenuto ben preciso, in termini di riflessi negativi coinvolgenti le attività realizzatrici della vittima. La distinzione tra le due categorie risulta, in quest’ottica, ben definita: il danno esistenziale si invera nella rinuncia ad un’attività da parte della vittima, riscontrabile sul piano della realtà fattuale, mentre il danno morale riguarda esclusivamente la sofferenza interiore, il turbamento emotivo indotto dall’illecito (Cendon 2000, 1259-1260). La giurisprudenza più accorta non ha mancato di evidenziare questo dato, sottolineando che il danno morale consiste essenzialmente in un sentire, mentre il danno esistenziale è piuttosto un non poter più fare, un dover agire altrimenti (v. Trib. Palermo 8 giugno 2001, in Giur. it., 2002, 951, con nota di Bona M., Il danno non patrimoniale dei congiunti: edonistico, esistenziale, da lesione del rapporto parentale, alla serenità famigliare, alla vita di relazione, biologico, psichico o morale “costituzionalizzato”?; in Dir. Fam. Pers., 2002, 69, con nota di Bilotta F., morte del familiare convivente e danno esistenziale a carattere temporaneo del congiunto).

(C) Rapporti con il danno biologico: una corretta definizione della relazione intercorrente tra danno esistenziale e danno alla salute può avvenire soltanto ove si tenga conto del percorso che ha portato all’elaborazione della nuova categoria; questa nasce, infatti, per rispondere all’esigenza di un ampliamento su scala generale della tutela della persona, modellato sulla falsariga di quanto avvenuto in materia di lesione alla salute. Attraverso il risarcimento del danno esistenziale si perviene ad assicurare - a fronte di qualunque tipo di torto - la salvaguardia per quel che concerne la compromissione della sfera di realizzazione personale del soggetto leso, in analogia a quanto accade – ove sia colpita l’integrità psico-fisica – tramite il ristoro del danno biologico.
Ciò significa, in buona sostanza, che non sussiste una differenza di carattere ontologico tra le due figure: entrambe riguardano il medesimo tipo di conseguenze dannose, per cui sotto il profilo contenutistico non vi è distinzione tra danno biologico e danno esistenziale (Bilotta 2001b, 400-401). Un differenza potrà essere tracciata, essenzialmente, sulla base del tipo di violazione che si pone all’origine delle compromissioni della sfera personale; quando esse discendano da una lesione medicalmente accertabile, si procede al risarcimento del danno biologico; parallelamente, ove sia colpito un interesse diverso dalla salute, dovrà procedersi alla liquidazione del danno esistenziale. In una simile prospettiva il danno biologico va letto, perciò, come una particolare specie di danno esistenziale, provocato dalla lesione della salute. Nell’ambito dei riflessi esistenziali dell’illecito andranno allora distinte due diverse aree: quella relativa al danno esistenziale per così dire “puro”, in quanto discendente dalla lesione di interessi diversi dalla salute, e quella del danno biologico-esistenziale, derivante dalla violazione dell’integrità psico-fisica della vittima.
Resta da sottolineare che, per motivi di ordine storico e soprattutto pratico, sarà senz’altro consigliabile mantenere la specificità del concetto di danno biologico: la ventennale esperienza in materia ha permesso, infatti, alla prassi giurisprudenziale di addivenire all’elaborazione di regole peculiari, soprattutto per quel che riguarda la valutazione dello stesso. A fronte delle compromissioni esistenziali indotte dall’illecito si tratterà, perciò, di liquidare un pregiudizio qualificato come danno biologico quando sia in gioco una lesione della salute suscettibile di accertamento medico-legale, mentre – per ogni altro tipo di torto lesivo della sfera personale della vittima - entrerà in campo il danno esistenziale (Ziviz 2001a, 418-419). Una distinzione tra le due categorie si fonderà, pertanto, esclusivamente sull’interesse che risulta colpito in capo alla vittima: nel caso del danno biologico vi è un evento corrispondente alla lesione della salute di qualcuno (fisica, psichica), suscettibile di accertamento medico-legale e risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato; nell'altro caso ad essere aggrediti saranno interessi diversi dalla salute (altri diritti della personalità, diritti di natura familiare, ambiente, e così via) (v. Trib. Palermo 8 giugno 2001, cit.).

(D) Rapporti con il danno psichico: il nodo più complesso, nella definizione dei rapporti tra danno esistenziale ed altre voci pregiudizievoli, sembra essere quello costituito dalla relazione intercorrente tra la nuova figura e quella del danno psichico. E’ su tale versante, in effetti, che si registrano – a livello applicativo – le maggiori ambiguità.
Il nodo principale da sciogliere - onde evitare qualsiasi rischio di sovrapposizione fra danno psichico e danno esistenziale – riguarda la collocazione che va riservata, sul piano risarcitorio, al disagio psicologico che subisce la vittima dell’illecito. Di primo acchito potrebbe sembrare che la soluzione più soddisfacente risieda nel tracciare una linea di discrimine marcando nettamente la distinzione tra malessere patologico e fisiologico; sicché, nel primo caso si potrebbe parlare di lesione psichica vera e propria e come tale fonte di danno biologico, altrimenti si tratterebbe di far capo alla categoria del danno esistenziale. Una simile conclusione risulta, tuttavia, solo in parte condivisibile: per quel che concerne, in particolare, l’impossibilità di parlare di un danno biologico di carattere psichico a fronte di alterazioni del benessere della vittima che non comportino una vera e propria patologia di carattere mentale. Quanto – invece - all’eventualità che un simile disagio psichico, non patologicamente rilevante, debba confluire nell’alveo del danno esistenziale, questa non appare fondata. E’ ben vero, infatti, che il disagio psicologico, l’alterazione della psiche - quand’anche non sia tale da incidere (ancora) sulla salute della vittima – si riflette sul modo di vivere la propria esistenza; tale malessere, però, trova già nel sistema aquiliano un punto di riferimento ben preciso, costituito dalla categoria del danno morale. Nessuno spazio andrà, perciò, riservato ai disagi di carattere emotivo nell’ambito dell’area esistenziale del pregiudizio. Benché il malessere psichico sia inevitabilmente destinato a pesare in senso negativo sull’esistenza del soggetto, incidendo sulle condizioni di vita dello stesso, il punto è che – per quanto concerne il danno esistenziale - saranno sempre e solo queste ultime a dover essere prese in considerazione, quale peggioramento della realtà esterna della vittima. La relazione che si instaura tra i due termini appare, quindi, di natura squisitamente causale (Cendon 2000, 1258-1259).

(E) Rapporti con altre categorie di pregiudizio: per quanto riguarda, infine, i rapporti che si instaurano tra la figura del danno esistenziale e le vecchie voci di matrice giurisprudenziale – come il danno alla vita di relazione, il danno estetico, il danno alla sfera sessuale - il discorso appare piuttosto lineare; queste ultime, nella misura in cui il relativo contenuto in termini pregiudizievoli si presti ad essere letto in termini esistenziali, saranno inevitabilmente destinate a confluire all’interno della nuova categoria. In particolare, per quanto riguarda il danno alla vita di relazione, va osservato che, nei suoi versanti patrimoniali, la vita di relazione (compromessa) finisce per rifluire interamente entro il territorio del danno patrimoniale; in quelli non patrimoniali, essa diventa non più che un aspetto – certo significativo, ma privo di una propria indipendenza - del danno esistenziale (Cendon 2000, 1260).
Quanto alle voci pregiudizievoli di nascita più recente – come il danno alla serenità familiare, il danno edonistico, e così via – le stesse rappresentano altrettanti tentativi di riconoscimento dell’automa valenza risarcitoria quanto alle compromissioni della sfera esistenziale della vittima; i relativi contenuti, in termini di pregiudizio, rispecchiano uno o più versanti del danno esistenziale e – come tali – non potranno che rifluire entro tale categoria, senza necessità di essere qualificati attraverso autonome etichette.


3. LA RISARCIBILITA’ DEL DANNO ESISTENZIALE

3.1. L’ingiustizia del danno. - Al fine di garantire il ristoro di un pregiudzio di carattere esistenziale, non basta il semplice accertamento circa una modificazione negativa nella vita di un soggetto. Anche per questa voce di danno, com’è ovvio, la risarcibilità appare condizionata alla ricorrenza di tutti i presupposti della responsabilità (Trib. Milano 8 giugno 2000, in Resp. civ. prev., 2000, 923, con nota di Ziviz P., Continua il cammino del danno esistenziale). Ad emergere è, quindi, la necessità di accertare tutti gli elementi della fattispecie di responsabilità; in particolare, per quanto riguarda quelli oggettivi, si tratta di individuare la sussistenza del requisito dell’ingiustizia, nonché del nesso di causalità.
Per quanto riguarda, in particolare, il profilo dell’ingiustizia , si tratta di mettere in rilievo il fatto che – con la creazione del danno esistenziale - non si viene ad allargare il novero degli interessi protetti in ambito aquiliano. Non vengono, infatti, modificate le frontiere del danno ingiusto, restando invariato il ventaglio degli illeciti; ad essere ampliato è - piuttosto - il raggio di risarcibilità delle conseguenze provocate da quei torti già in precedenza qualificati come tali. Risarcire il danno esistenziale significa, in pratica, che - una volta accertata la violazione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante – bisognerà interrogarsi circa la sussistenza non soltanto di ripercussioni di carattere economico, ma anche di compromissioni che si manifestano a livello di esplicazione della personalità della vittima.
A ben vedere, si tratta di riproporre su scala generale il medesimo ragionamento a suo tempo applicato in materia di danno biologico. Non è, infatti, che - prima dell’avvento di tale figura - l’integrità psico-fisica non venisse tutelata; la lesione alla salute veniva comunque qualificata nei termini di illecito, risultando risarcibili le conseguenze di carattere patrimoniale e morale (queste ultime, ovviamente, nei limiti dell’art. 2059 c.c.) dalla stessa provocate. In seguito alla creazione del danno biologico non si è, perciò, pervenuti ad ampliare i confini degli interessi rilevanti sul piano dell’ingiustizia, dal momento che l’integrità psico-fisica risultava già compresa entro quel ventaglio; a mutare, semmai, è la prospettiva attraverso la quale guardare alle conseguenze della violazione di un simile interesse. Tramite l’introduzione nel sistema del danno biologico si è, infatti, allargato il novero dei danni da risarcire, comprendendo entro quell’ambito anche le compromissioni delle attività non reddituali del danneggiato.
La medesima logica viene applicata con riguardo al danno esistenziale. A fronte di situazioni già qualificate alla stregua di illeciti, si tratta semplicemente di verificare se la lesione delle stesse sia tale da incidere negativamente sulle attività realizzatrici della persona della vittima; assicurando, in caso positivo, autonomo riscontro a tali ripercussioni negativi nell’ambito della nuova categoria. Il danno esistenziale sarà, allora, risarcibile in quanto esso discenda dalla violazione di una situazione giuridicamente tutelata la quale, nel bilanciamento degli interessi in gioco, sia tale da prevalere sugli interessi perseguiti dal danneggiante.

3.2. Il fondamento normativo. - Numerose appaiono le sentenze che, nella ricerca di un fondamento normativo per il danno esistenziale, rinvengono lo stesso nell’alveo dell’art. 2 della Costituzione, quale presidio del “diritto alla qualità della vita” ovvero “alla libera estrinsecazione della propria personalità” (v., ad esempio, Trib. Milano 15 giugno 2000, in Resp. civ. prev., 2001, 461, con nota di Favilli C., Danno non patrimoniale e “danni esistenziali”); che la modificazione esistenziale negativa sia suscettibile di colpire un interesse costituzionalmente protetto è stato sottolineato altresì dalla Cassazione, la quale ha affermato che non è solo il bene della salute a ricevere una consacrazione costituzionale sulla base dell’art. 32, ma anche il libero dispiegarsi delle attività dell’uomo nell’ambito della famiglia o di altra comunità riceve considerazione ai sensi degli artt. 2 e 29 (Cass. 3 luglio 2001, n. 9009, in Resp. civ. prev., 2001, 1177, con nota di Ziviz P., I “nuovi danni” secondo la Cassazione; in Giust. civ., 2001, 2644).
Ad una prospettiva che punti ad individuare il fondamento normativo del ristoro del danno esistenziale nella lesione di un diritto al libero svolgimento della propria personalità può essere mosso un duplice ordine di critiche. Da un lato, l’esistenza della violazione di un simile diritto non appare – di per sé sola - sufficiente a giustificare il risarcimento del danno esistenziale; dall’altro lato, non risulta indispensabile - per sancire l’attivazione del rimedio aquiliano – l’individuazione di un fondamento normativo unitario per la figura in questione.
Sotto questo aspetto, va rilevato che il tentativo di radicare l’ingiustizia del danno esistenziale nella violazione di un diritto alla libera esplicazione della propria personalità finirebbe per determinare la risarcibilità di qualunque modificazione negativa della sfera esistenziale; ogni disagio esistenziale, in effetti, sarebbe suscettibile di ledere un interesse in quei termini configurato. La verità è che il danno esistenziale – così come quello patrimoniale e morale – fotografa una serie di conseguenze dannose, suscettibili di discendere dalla violazione di molteplici interessi del soggetto colpito; non si tratta, perciò, di individuare la sussistenza, in capo alla vittima, di un nuovo tipo di interesse, bensì di verificare quali - tra gli interessi già considerati rilevanti a livello di ingiustizia – rivestano una diretta valenza esistenziale e debbano perciò essere protetto, ove colpiti, anche attraverso l’attivazione della nuova categoria. In tal caso, la risarcibilità del danno esistenziale risulta comunque assicurata, senza che sia necessario ipotizzare la ricorrenza in capo alla vittima della violazione di un ulteriore interesse, configurato nei termini di diritto alla libera esplicazione della personalità.
Non apparirà, altresì, necessario ricercare un fondamento normativo specifico nemmeno per quel che riguarda la tutela di ogni singola attività realizzatrice della persona, la quale risulti compromessa in capo alla vittima. Per quanto riguarda la valutazione di ingiustizia che opera a questo secondo livello – riguardante le conseguenze della violazione – i meccanismi da applicare siano i medesimi che operano con riguardo al danno patrimoniale: secondo i quali il risarcimento sarà assicurato per tutte le ripercussioni scaturenti dalla lesione di un interesse protetto dall’ordinamento, a meno che non riguardino un’attività illecita od immorale (come accade, ad esempio, con riguardo alla prostituta che abbia subito una lesione della salute, alla quale non potrà essere ristorato il mancato guadagno derivante dalla sua professione). Anche per quanto concerne il danno esistenziale va ricalcata la medesima logica: i riflessi negativi di carattere esistenziale andranno, cioè, considerati meritevoli di tutela ogni volta che l’attività compromessa non appaia in contrasto con le norme imperative, l’ordine pubblico e il buon costume. E’ come dire che le modalità attraverso le quali trova realizzazione la personalità del singolo individuo potranno – ove compromesse da un torto - essere prese in considerazione sul piano risarcitorio in quanto le singole attività colpite vengano recepite come mezzo di realizzazione personale dalla coscienza sociale.


3.3. La sottrazione all’art. 2059 c.c. – La prassi oramai collaudata che prevede la sottrazione del danno biologico alla disciplina prevista dall’art. 2059 c.c. va estesa a tutti i danni di carattere esistenziale (Cendon 2000, 1319-1322). La prospettiva volta a sottrarre al sistema restrittivo tutte le voci di carattere non patrimoniale diverse dal danno morale - implicitamente affermata dalla Corte costituzionale nella più volte richiamata sentenza del 1986, n. 184 - risulta successivamente confermata in maniera esplicita dagli stessi giudici costituzionali (Corte cost. 18 dicembre 1987, n. 561, Giur.cost., 1987, I, 3535 con nota di Vitucci P., Pensione di guerra a Ida e a Rosetta; in Giur. it., 1988, I, 1921). A tale visione si è uniformata anche la Cassazione che, pronunciandosi in materia di lesione della reputazione derivante da protesto illegittimo, ha sancito la sottrazione all’art. 2059 c.c. del pregiudizio obiettivo ai diritti che rientrano nei fondamentali attributi della personalità umana, come il decoro, il prestigio, la dignità (Cass. 3 aprile 2001, n. 4881in Resp. civ. prev., 2001, 1177, con note di Peron S., Illegittima levata di protesto, conseguenze e prova del danno alla reputazione personale e commerciale e di Ziviz P., I “nuovi danni” secondo la Cassazione).
A giustificazione di una regole che confina l’operatività dell’art. 2059 c.c. al danno morale, viene abitualmente messa in capo la considerazione circa la rilevanza costituzionale dell’interesse leso in capo alla vittima, il quale – in caso di lesione – non potrebbe incontrare limitazioni risarcitorie da parte del legislatore ordinario (v. Trib. Milano 8 giugno 2000, cit.); a tale riguardo, la S.C. ha osservato – in particolare – che “poiché la persona umana è costituzionalmente tutelata nel suo sviluppo e nelle sue manifestazioni, il rango della posizione soggettiva inviolabile – con esclusione, quindi, dei meri disagi che trovano origine nella personale sensibilità del soggetto – impone di ritenere inoperanti i limiti alla risarcibilità del danno non patrimoniale risultanti dall’art. 2059 c.c.” (Cass. 3 luglio 2001, n. 9009, cit.). Una simile teoria non appare, però, del tutto coerente: in effetti, se quel che conta è la valenza costituzionale dell’interesse colpito, ad essere garantito dovrebbe essere il pieno ristoro di tutti i danni derivanti dalla violazione dello stesso, compresi quelli di carattere morale (Ziviz 1997, 306). Una delimitazione circa un’operatività dell’art. 2059 c.c. circoscritta ai danni morali non può, quindi, essere fondata sulla rilevanza costituzionale della situazione lesa in capo alla vittima.
Più corretto risulta, perciò, un ricorso all’argomentazione costituzionale fondato intorno alla caratura che assume un danno come quello esistenziale. Poiché la Costituzione afferma chiaramente il primato della persona rispetto al patrimonio, quale elemento fondante dell’intero assetto della nostra carta fondamentale, l’obiettivo prioritario da raggiungere è rappresentato dal pieno sviluppo della persona umana: conclusione questa che emerge chiaramente nell’ambito dei principi fondamentali, dove l’art. 3 Cost. afferma che l’obiettivo cui punta la garanzia di uguaglianza è proprio quello del “pieno sviluppo della persona umana” e dove la tutela dei diritti inviolabili, prevista dall’art. 2 Cost., appare implicitamente finalizzata a garantire lo svolgimento della personalità del singolo individuo. E’ evidente, allora, che un insanabile contrasto con le indicazioni provenienti dalla Costituzione emergerebbe ove la tutela aquiliana della sfera di realizzazione della persona risultasse assoggettata alle limitazioni risarcitorie previste dall’art. 2059. Di conseguenza, una lettura costituzionale di quest’ultima norma impone di ricorrere ad un’interpretazione restrittiva della nozione di danno non patrimoniale alla quale essa si riferisce, come concetto ristretto ai pregiudizi di carattere morale.
Una simile prospettiva è stata criticata da quegli interpreti che ritengono inaccettabile una diversità di trattamento tra danno esistenziale e danno morale: il rango costituzionale della persona andrebbe riconosciuto – si afferma – non soltanto a fronte delle sue modificazione di vita, ma anche in relazione alle sofferenze patite a seguito dell’illecito (Navarretta 2001, 793); di recente, anzi, è stata sollevata la questione di costituzionalità quanto alla legittimità dell’applicazione del sistema restrittivo previsto dall’art. 2059 al danno morale (v. Trib. Roma 20 maggio 2002, in Resp. civ. prev., 2002, 778, con nota di Ziviz P., La compatibilità costituzionale dell’art. 2059 c.c.: una storia infinita.; in Danno resp., 2002, 856, con note di Monateri P.G., Il brontosauro alla resa dei conti? “I will survive”, di Navarretta E., Art. 2059 c.c. e valori costituzionali: dal limite del reato alla soglia della tolleranza, di Ponzanelli G., Art. 2059 c.c. tra esame di costituzionalità e valutazione di opportunità).
A tale proposito, va sottolineato che il problema della legittimità dell’applicazione del sistema restrittivo al danno morale e la sottrazione al 2059 del danno esistenziale appaiono come due questioni ben distinte; una soluzione positiva della seconda non implica l’accettazione della prima.
E’ in relazione al secondo profilo – quello relativo alla disapplicazione dell’art. 2059 c.c. al danno esistenziale - che emerge la debolezza delle posizioni sopra ricordate; costoro, infatti, ritengono che ciò possa avvenire esclusivamente per il danno biologico, sulla base del rilievo che quest’ultimo rivestirebbe il requisito della patrimonialità, in quanto misurabile sulla base di una scala di valori omogenei. Ora, tale supposta diversità di carattere ontologico - tra il danno biologico e danno esistenziale – suscettibile di giustificare un differente trattamento sul piano disciplinare, appare in realtà destituita di qualunque fondamento. Non si può mancare di sottolineare che una cosa è la misurazione medico-legale della lesione della salute ed altra cosa è la monetizzazione delle conseguenze dannose originate da quella lesione. Quest’ultima operazione resta rimessa ad una convenzione di carattere giuridico (attribuzione di un valore monetario al punto di invalidità), attraverso la quale si punta a fornire una base orientativa comune alla valutazione del giudice, che appare volta a tradurre in denaro riflessi pregiudizievoli dei quali risulta fuori discussione il carattere squisitamente non patrimoniale. Bisogna, pertanto, concludere che la regola secondo la quale il danno biologico dev’essere sottratto all’art. 2059 c.c. non potrà che essere applicata – su scala generale – per tutti i pregiudizi di carattere esistenziale.
Una volta chiarito come non possa essere messa in discussione l’omogeneità di trattamento disciplinare tra danno esistenziale e danno biologico, resta da valutare la legittimità dell’attuale sistema congegnato in ordine alla risarcibilità del danno morale. La sola valida giustificazione, per quel che concerne l’applicazione di una disciplina restrittiva a questa voce, potrà essere ravvisata nelle caratteristiche che riveste un simile pregiudizio; in effetti, sostanziandosi quest’ultimo in una sofferenza di carattere spirituale, la sua esistenza non potrà mai essere fornita sulla base di prove materiali, ma potrà soltanto presumersi. Tale caratteristica potrà, quindi, giustificare l’applicazione di un regime disciplinare diverso da quello previsto per le altre voci di danno, restando però inteso che ogni limitazione risarcitoria dovrà trovare fondamento in un sistema privo di incongruenze. E’ sotto questo aspetto, allora, che va verificata la legittimità dell’attuale sistema previsto dall’art. 2059 c.c., onde valutare la costituzionalità di una diversità di trattamento del danno morale fondata non già sul tipo di interesse dal quale lo stesso trae origine, bensì sulla causa generatrice del danno.

3.4. La funzione del risarcimento. – L’applicazione al danno esistenziale del medesimo regime risarcitorio previsto per i pregiudizi di carattere patrimoniale contrasterebbe – secondo l’opinione di alcuni interpreti (v. E. Navarretta, op. cit., 291; G. Ponzanelli, Attenzione: non è danno esistenziale, ma vera e propria pena privata, cit., 841). – con la diversità di funzione che andrebbe attribuita al ristoro del danno non patrimoniale rispetto a quella assolta dal risarcimento del danno patrimoniale. Si viene così a toccare un punto assai controverso, sul quale sono stati versati fiumi d’inchiostro senza che la questione abbia trovato una soluzione soddisfacente. Ci limiteremo qui a ricordare come nessuna delle funzioni attribuite al ristoro del danno non patrimoniale – sia essa quella satisfattiva, afflittiva oppure mista - sia in realtà riuscita a spiegare compiutamente il ruolo assolto dalla riparazione di questo genere di pregiudizi.
Ciò a portato alcuni interpreti a ripensare a tale problema, ipotizzando che anche per il danno non patrimoniale si possa, in realtà, parlare di funzione compensativa (C. M. Bianca, Diritto civile. La responsabilità, Milano, 1994, vol. V, 173): a mutare, rispetto al danno patrimoniale, sarebbe soltanto la tecnica attraverso la quale quest’ultima viene perseguta. Il depauperamento di carattere non patrimoniale patito dalla vittima – destinato come tale a rimanere definitivamente a suo carico – viene fronteggiato con un arricchimento patrimoniale, attuandosi una sorta di compensazione “impropria”, in quanto effettuata attraverso la corresponsione di un’entità non omogenea a quella della quale il danneggiato è stato privato.
In un’ottica del genere – in linea con una moderna lettura dell'istituto aquiliano mirante a valorizzare la centralità del ruolo della vittima – la funzione del risarcimento del danno, anche se applicata attraverso meccanismi diversi, risulta unica: non risulta, perciò, necessario confinare le voci non patrimoniali all’interno dell’art. 2059, non risultando correlata alla stessa alcuna peculiarità di carattere funzionale.



4. LO STATUTO DEL DANNO ESISTENZIALE

4.1. La prova. Nell’opera di individuazione delle regole destinate a governare il danno esistenziale, un punto essenziale concerne i profili relativi alla prova; l’affermazione della nuova figura non avrebbe alcun risvolto di carattere concreto se il relativo statuto probatorio risultasse costruito in modo da rendere troppo difficile la dimostrazione del pregiudizio.
Il regime della prova viene ad essere influenzato dal tipo di impostazione accolta con riguardo alla qualificazione del danno esistenziale. In effetti, coloro che privilegiano una ricostruzione dello stesso nella veste di danno-evento, riconoscono la sussistenza di un danno in re ipsa, da inferire automaticamente una volta provata l’esistenza dell’evento lesivo (Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, cit,; Pizzoferrato 2002, 311; Lasagno). Laddove, invece, si parta dalla considerazione che la tutela risarcitoria non può che riferirsi a conseguenze di carattere pregiudizievole provocate dalla violazione di un interesse protetto dall’ordinamento - conseguenze che, nel caso di specie, sono quelle prodotte dall’illecito nell’ambito delle attività realizzatrici dell’individuo – si deve escludere la ricorrenza di un danno in re ipsa, per cui emerge la necessità di fornire un’adeguata dimostrazione circa la sussistenza di un pregiudizio di carattere esistenziale (Cass. 3 luglio 2001, n. 9009, cit.; Trib. Torino 8 agosto 1995 cit.).
Per quanto riguarda il contenuto di una simile prova, è stato rilevato come la stessa non non coinvolga elementi impalpabili , quali gli stati d’animo ed i sentimenti: qui si tratta di dimostrare ciò che la persona non può più concretamente fare a seguito dell’illecito, confrontando la vita della vittima con quella prima dell’illecito (Bilotta 2002, 87-89).
Su questo terreno, il danneggiato sarà aiutato dal ricorso alle presunzioni: una volta dimostrata la sussistenza della lesione di un certo interesse, le conseguenze esistenziali provocate dalla stessa ben potranno essere dedotte sulla base dei un ragionamento presuntivo. Si tratta, sotto questo aspetto, di applicare su - su scala generale - le indicazioni che la giurisprudenza ha già avuto modo di elaborare in materia di danno biologico, fondate sulla regola secondo la quale, una volta provata la lesione della salute, viene data per scontata la sussistenza di un certo livello di ripercussioni negative nelle attività non reddituali del soggetto. Il risultato cui si perviene seguendo un simile percorso non diverge molto - sul piano concreto - rispetto a quello che si sarebbe raggiunto attraverso l’automatismo che fa coincidere la prova del danno con quella della lesione. Una differenza risulta, però, fondamentale: seguendo questo secondo tipo di impostazione, ove il pregiudizio non coincide con la lesione, sarà sempre possibile per la controparte fornire la prova che quelle conseguenze esistenziali - le quali sono state date per scontate sulla base di presunzioni o di massime di comune esperienza - non si sono in realtà prodotte nel caso concreto.
Fuori da qualsiasi automatismo probatorio resta, invece, confinato il ventaglio di quei riflessi esistenziali negativi che si manifestano in relazione ad attività peculiari della vittima. Nella misura in cui si vada oltre il confine delle attività realizzatrici che appaiano naturalmente correlate al godimento di un certo interesse, si tratterà – allora - per il danneggiato di fornire specifica dimostrazione quanto al fatto che le stesse siano state effettivamente esercitate prima dell’illecito, nonché da quest’ultimo negativamente incise.
L’assetto probatorio relativo al danno esistenziale appare – in definitiva – destinato a differenziarsi a seconda del tipo di conseguenze che vengono fatte valere dalla vittima: quelle che appaiono quali riflessi normali di una certa lesione saranno date per scontate, a prescindere da qualsiasi dimostrazione, mentre andranno concretamente provati i riflessi negativi che riguardano le attività peculiari o idiosincratiche intrattenute dal danneggiato (Cendon 2000, 1324-1325).
Per quanto riguarda – infine – il problema della consulenza tecnica, si tratta di osservare che -laddove non sia in gioco l’accertamento di una lesione psico-fisica - il consulente di riferimento non può più essere costituito dal medico legale, bensì l’esperto che di volta in volta appaia più adatto a pronunciarsi con riguardo alla specifica compromissione esistenziale in gioco. Non sembra, quanto a questo aspetto, realisticamente prospettabile il rischio di privare la consulenza tecnica di quei tratti di scientificità i quali sarebbero invece assicurati – nel campo della lesione alla salute – dall’intervento del medico legale. Basta osservare che ad essere coinvolti saranno esperti (come il psicologo, il sociologo, l’assistente sociale) che nella gran parte dei casi vengono già interpellati dai tribunali in ordine ad altre problematiche giuridiche.

4.2. La valutazione. Il problema della quantificazione rappresenta uno dei versanti più delicati e discussi dell’intera materia: al punto da spingere molti interpreti ad ipotizzare che proprio tale nodo costituirebbe l’ostacolo più significativo da superare in un percorso volto all’affermazione della risarcibilità della nuova figura. Respingere un’obiezione di questo tipo appare quasi scontato nel momento in cui si osservi che ad essere avanzate sono le medesime perplessità sollevate, in passato, con riguardo al problema della valutabilità in denaro dei pregiudizi di carattere non patrimoniale genericamente intesi. Ora, poiché a nessuno è dato oggi di dubitare circa la soluzione positiva di quest’ultima questione, è ben evidente che la stessa sarà destinata a valere anche per un danno come quello esistenziale, dal momento che esso rientra a pieno titolo in quel più ampio universo; tanto più che, nel nostro sistema, vengono abitualmente risarciti in denaro danni - come il patema d’animo - ben più eterei ed impalpabili dei pregiudizi di carattere esistenziale.
Le difficoltà che si incontrano nel dover fornire una misurazione in moneta delle modificazioni concretamente intervenute nella realtà esterna della vittima riguardano il fatto che una simile operazione non potrà essere effettuata applicando le logiche di carattere economico. Si tratta, pertanto, di individuare quello che rappresenta il sistema più consono per procedere alla trasformazione delle conseguenze negative che incidono sulle attività realizzatrici della persona in una somma di denaro. Il punto di riferimento – per la soluzione di un simile problema – va ricercato nella regola che risulta abitualmente applicata in materia di danno non patrimoniale: che vede unanimemente accolta dalla giurisprudenza la soluzione secondo cui la liquidazione di simili pregiudizi andrà rimessa alla valutazione equitativa del giudice, attraverso l’applicazione dell’art. 1226 c.c. A tale indicazione si tratterà, allora, di attenersi anche per quel che riguarda il danno esistenziale: soluzione, questa, che non ha mancato di essere accolta da tutte le pronunce giurisprudenziali che fino ad oggi hanno provveduto a liquidare il danno esistenziale (v., ad esempio, Trib. Milano 15 marzo 2001, in Giur. it., 2001, 78, con nota di G. Cassano, Il risarcimento del danno esistenziale a tutto (troppo) tondo). Anche in questo caso - così come richiesto in generale per i pregiudizi non patrimoniali - la conversione del male patito dalla vittima in una somma di denaro dovrà essere supportata da un’adeguata motivazione; il giudice di merito sarà, quindi, tenuto illustrare il procedimento logico-giuridico attraverso il quale è pervenuto a giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento, indicando gli elementi a tal fine valorizzati.
Resta da sottolineare che l’applicazione di una simile regola, come ampiamente dimostrato dall’esperienza in materia di danno non patrimoniale, finisce per rimettere all’assoluta discrezionalità del giudice l’individuazione della somma da versare alla vittima di una ripercussione non economica. E’ ben vero, infatti, che la valutazione equitativa dev’essere fondata su tutta una serie di parametri che fanno riferimento alle circostanze del caso. Ma - bisogna sottolineare - si tratta sempre di elementi che non sono suscettibili di definire l’importo economico atto a rappresentare il danno non patrimoniale; una volta enumerati i singoli criteri presi in considerazione, il giudice rimane – in effetti - del tutto libero nella definizione del quantum ritenuto equo per la riparazione di quel determinato pregiudizio. Una simile regola implica, in definitiva, l’impossibilità di garantire l’uniformità di trattamento per quel che riguarda pregiudizi sostanzialmente analoghi: a seconda dell’indirizzo più o meno restrittivo del collegio giudicante, le somme possono infatti variare in maniera considerevole.
Per ovviare a tale inconveniente, la giurisprudenza ha puntato all’elaborazione di specifiche tabelle indicative, deputate a rappresentare la base di riferimento utile ad orientare la valutazione equitativa del giudice: prospettiva, questa, che – per il momento – è rimasta confinata al settore della lesione alla salute, nell’ambito del quale sono state elaborate specifiche tabelle per la liquidazione del danno biologico e al danno morale derivante dalla violazione dell’integrità psico-fisica. La tecnica utilizzata, in quel campo, prevede l’adozione di un criterio di misurazione uniforme per quanto riguarda la lesione (che, nel caso della salute, è stato individuato nel punto di invalidità permanente) e la successiva individuazione – in corrispondenza a tale scala di misurazione – dei rispettivi valori monetari, ricavato sulla base dei precedenti giurisprudenziali. L’applicazione di una simile tabella consente al giudice – una volta che sia stato individuato il livello di invalidità riportato dalla vittima – di ottenere una base omogenea di valutazione per quel che riguarda il danno biologico originato da quella determinata lesione della salute: importo, questo, che potrà essere modificato dal suo intervento equitativo, volto a personalizzare la somma sulla base delle circostanze del caso concreto.
Una simile prospettiva è suscettibile di essere adottata anche per il danno esistenziale, laddove si manifestasse l’esigenza di individuare anche per questa voce un sistema di valutazione misto e non puramente equitativo. Ciò potrà avvenire attraverso l’elaborazione di tabelle settoriali, riferite cioè a ciascun tipo di torto, oppure – in alternativa – attraverso la costruzione di una tabella unica. Quest’ultima andrebbe costruita attraverso un’elencazione delle singole attività non reddituali, quali componenti del pregiudizio esistenziale, e la corrispondente individuazione del valore monetario alle stesse attribuito, da individuare – anche in questo caso – attraverso un riferimento ai precedenti giurisprudenziali.
Quanto – infine - alla possibilità di prospettare, per il danno esistenziale, forme di riparazione diverse da quella costituita dalla corresponsione di una somma di denaro, si tratta di osservare che il ricorso a rimedi alternativi - quali, ad esempio, la pubblicazione della sentenza di condanna - sarà possibile soltanto per alcune tipologie di torto; non risulta, invece, individuabile un rimedio, diverso dal risarcimento per equivalente, che sia suscettibile di essere applicato a fronte di qualunque tipo di danno esistenziale.


4.3. La legittimazione e la trasmissibilità - La legittimazione ad agire per il risarcimento del danno esistenziale va attribuita al soggetto che - in qualità di titolare dell’interesse colpito dall’illecito - veda compromessa, in conseguenza allo stesso, la sua sfera esistenziale. Questo vale anche quando a richiedere il risarcimento siano quelle che, usualmente, vengono definite come vittime secondarie: vale a dire quei soggetti i quali risultano coinvolti dall’illecito in quanto titolari di un qualche rapporto con la vittima diretta dello stesso. In casi come questi, la questione va affrontata seguendo il medesimo schema applicato in materia di danno morale; si tratta, cioè, di valutare se il soggetto che richiede il risarcimento sia stato o meno colpito in un suo interesse giuridicamente rilevante. Ove ciò accada, il ristoro del danno esistenziale sarà possibile ogni volta che la posizione colpita rivesta una valenza di carattere esistenziale anche per quel che concerne la vittima secondaria: come accade, ad esempio, nell’ipotesi di lesione del rapporto familiare (o para-familiare) causata dal decesso o dalla lesione alla salute del congiunto.
Passando – poi - alla questione della trasmissibilità del danno esistenziale, si tratterà ancora una volta di rifarsi alla soluzione accolta in materia di danno non patrimoniale. Per quel che concerne tale aspetto, va però evidenziato come la soluzione proposta dalla giurisprudenza non appaia univoca: l’orientamento maggioritario appare favorevole alla trasmissibilità del pregiudizio non patrimoniale, la quale viene motivata con ragioni di carattere formale; in particolare, l’inesistenza di una norma che escluda la trasmissibilità e la natura patrimoniale del diritto al risarcimento. Sul versante opposto, vengono spese le considerazioni riguardanti la natura strettamente personale del diritto che viene leso, la cui riparazione andrebbe perciò attribuita esclusivamente alla vittima. Quale che sia la soluzione prescelta, resta inteso che ad essa si tratterà di allinearsi in materia di danno esistenziale: i termini della questione si ripropongono sostanzialmente invariati per quanto riguarda qualunque voce avente carattere non patrimoniale.


5. – GLI ILLECITI A VALENZA ESISTENZIALE

5.1. L’applicazione giurisprudenziale della nuova categoria. - Alquanto vasto appare il ventaglio delle situazioni giuridicamente protette le quali, ove violate dall’illecito, sono tali da riverberarsi direttamente in una compromissione di carattere esistenziale (per una prima esemplificazione v. Cendon 2000, 1265 ss.; per un’analisi puntuale delle varie ipotesi v. Il danno esistenziale e Trattato breve dei nuovi danni). In questa sede ci limiteremo a rammentare le ipotesi in cui la giurisprudenza è già pervenuta alla liquidazione di una voce qualificata come danno esistenziale.

(A) I diritti della personalità: La lesione di tali interessi è inevitabilmente destinata a riflettersi direttamente nella sfera di esplicazione personale del soggetto colpito. In particolare, la giurisprudenza di merito ha è provveduto a liquidare il danno esistenziale discendente dall’illegittima levata di protesto (Trib. Milano 8 giugno 2000, cit.), nonché il pregiudizio alla sfera di esplicazione personale patito da un Testimone di Geova, a seguito di una trasfusione di sangue subita senza il proprio consenso (Trib. Pordenone 31 gennaio 2002, inedita).

(B) La lesione dei rapporti familiari: Il settore del torto lesivo dei rapporti familiari si presenta quale campo elettivo di applicazione della nuova categoria. Vediamo, in particolare, come al risarcimento di un danno esistenziale si sia provveduto a fronte dell’ipotesi di una nascita indesiderata, a seguito di un errato intervento di vasectomia (Trib. Busto Arsizio 17 luglio 2001, in Resp. civ. prev., 2002, 441, con nota di Bilotta F., La nascita non programmata diun figlio e il conseguente danno esistenziale, ivi, 589, nota di Demori A., Fallimento di intervento di sterilizzazione maschile e “wrongful birth”: profili di responsabilità medica e problemi di liquidazione del danno); nel caso di un’errata diagnosi ecografica, che abbia omesso di rilevare le malformazioni congenite del feto (Trib. pen. Locri 6 ottobre 2000, in Danno resp., 2001, 393, con nota di Bilotta F., Il danno esistenziale: l’isola che non c’era; in Resp. civ. prev., 2001, 409, con nota di Ziviz P., Danno biologico e danno esistenziale: parallelismi e sovrapposizioni, in Giur. it., 2001, 735, con nota di Bona M., Mancata diagnosi di malformazioni fetali: responsabilità del medico ecografista e risarcimento del danno esistenziale da “wrongflul birth”; in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 667, con nota di Liverziani C., Un nuovo passo sulla strada del danno esistenziale; in Riv. it. med. leg., 2002, 209, nota di Demori A. - Macrì L., Danno esistenziale e “wrongful life”); nell’ipotesi di una lesione della salute del congiunto, tale da incidere sulle modalità di realizzazione del rapporto familiare (Trib. Ancona 18 marzo 2002, inedita); nel caso di decesso del familiare (Trib. Torino 8 agosto 1995, cit.; App. Torino 4 ottobre 2001, in Danno Resp., 2002, 151, con nota di Bona M, La violazione del rapporto familiare nel segno del danno esistenziale; Trib. Napoli 12 febbraio 2002, in Resp. civ. prev., 2002, 793, con nota di Ziviz P., Chi ha paura del danno esistenziale?); a fronte della perdita del feto (Trib. Torre Annunziata 20 marzo 2002, in D&G, 2002, n. 18, 56; Giudice Pace Casamassima 10 giugno 1999, in Arch. Giur. circ sin. Strad., 1999, 724 e in Resp. civ. prev., 1999, 1336, con nota di Ziviz P., Il danno esistenziale preso sul serio; in Danno Resp., 2000, 89, con nota di Bona M., Perdita del nascituro: un nuovo precedente per il danno esistenziale); nell’ipotesi di violenza sessuale subita dal congiunto (Trib. pen. Agrigento 4 giugno 2001, in Fam. Dir., 2001, 513, con nota di Cendon P., Violenza sessuale ad una minorenne e danno esitenziale dei familiari; in Danno Resp., 2002, 58, con nota di Rondelli S., Da Trieste in giù: il percorso del danno esistenziale, in Giur. it., 2002, 952, con nota di Bona M., Il danno non patrimoniale dei congiunti: edonistico, esistenziale, da lesione del rapporto parentale, alla serenità famigliare, alla vita di relazione, biologico, psichico o morale “costituzionalizzato”). La liquidazione del danno esistenziale è stata sancita, altresì, anche nell’ipotesi di violazione dei doveri di carattere familiare da parte del congiunto (Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, cit.)

(C) I rapporti di lavoro: un altro campo particolarmente importante per l’applicazione della nuova categoria è quello riguardante la lesione dei diritti del lavoratore. Una voce pregiudizievole esplicitamente qualificata nei termini di danno esistenziale è stata, in particolare, liquidata a fronte della ricorrenza del mobbing (Trib. Forlì 15 marzo 2001, in Resp. civ. prev., 2001, 1018, con nota di Ziviz P., Mobbing e risarcimento del danno; Trib. Pisa 3 ottobre 2001, inedita); la risarcibilità di una simile voce è stata, inoltre, prospettata a fronte della mancata fruizione del riposo settimanale, risultando però esclusa nel caso concreto in assenza di prova al riguardo (Cass. 3 luglio 2001, n. 9009, cit.).

(D) Le immissioni intollerabili: la categoria del danno esistenziale è stata, poi, messa in campo a fronte dei disagi esistenziali patiti dalle vittime di immissioni intollerabili (Trib. Gorizia 24.9.01, inedita), sulla scorta dell’osservazione che le stesse vanno incontro all’alterazione delle normali attività dell’individuo, quali il riposo, il relax e l’attività lavorativa domiciliare (Trib. Milano 21 ottobre 1999, cit.): pregiudizio, questo, che rileva anche ai fini dell’attivazione di una salvaguardia di carattere inibitorio (Trib. Venezia (ord.) 27 settembre 2000, in Danno resp., 2001, 524, con nota di Laghezza P., Immissioni acustiche e danno esistenziale: quali conseguenze per l’alterazione dell’ambiente di vita?).

5.2. Il danno esistenziale da inadempimento. – Il danno esistenziale rappresenta una categoria suscettibile di essere attivata anche nel campo della responsabilità contrattuale: un classico esempio in tal senso viene fornito dall’ipotesi di risarcimento del danno da vacanza rovinata (v., ad esempio, Giud. Pace Bari 21 aprile 1999, in Arch. civ., 1999, 876).
La penetrazione di interessi non patrimoniali sul terreno obbligatorio è, del resto, ammessa dallo stesso art. 1174 c.c.; il che significa che, nella misura in cui tale interesse sia preso in considerazione nel contratto, si dovrà tener conto del danno esistenziale derivante dall’eventuale inadempimento. L’applicazione dell’art. 1225 c.c. fornisce, d’altro canto, un confine ben preciso per quanto riguarda la responsabilità del debitore, confinando il risarcimento ai pregiudizi prevedibili all’atto della conclusione del contratto.
Al ristoro di un danno di carattere esistenziale – benché non espressamente qualificato in questi termini – si è dato corso nell’ipotesi di un inadempimento contrattuale costituito dal notevole ritardo del volo, in relazione ai disagi patiti dal passeggero (Giudice di Pace Milano, 18 dicembre 2000, in Giur. it., 2001, 1159, con nota di Bilotta F., Inadempimento contrattuale e danno esistenziale), così come nel caso di ritardata attivazione del servizio di telefonia mobile (Giudice di Pace Verona, 16 marzo 2000, in Giur. it., 2001, 1159, con nota di Bilotta F. cit.).

5.3. Il danno esistenziale degli enti. – La capacità del danno esistenziale di riempire tutti gli spazi dell’area non patrimoniale non coperti dal danno morale risulta confermata dal fatto che nei termini di un pregiudizio di carattere esistenziale può essere qualificato anche il danno non patrimoniale subito dagli enti. A tale riguardo, va sottolineato che la situazione dell'ente che venga leso con riguardo ad una situazione soggettiva della quale esso risulta titolare si prospetta analoga a quella della persona fisica; l'unica diversità ricorre per quel che concerne l'irrisarcibilità alla persona giuridica delle sofferenze e del patema d'animo. Il danno risentito dall'ente si configura, pertanto, con la perdita di prestigio o con l'impedimento che l'ente abbia sofferto in relazione alla propria attività associativa. Ora, poiché la sfera di realizzazione personale dell’ente può essere identificata con il perseguimento del fine sociale, ove questa sia lesa attraverso la compromissione delle attività non reddituali dell’ente si potrà ben qualificare il relativo pregiudizio nei termini di danno esistenziale.




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