Diritto commerciale  -  Redazione P&D  -  07/06/2022

Considerazioni sulla figura del Commissario Giudiziale nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza - Teodoro Marena

Sommario: 1. Considerazioni preliminari sul nuovo concordato preventivo; 2. Profili generali: le finalità del concordato preventivo; 3. La disciplina del Commissario Giudiziale nel concordato preventivo; 4. Profili di responsabilità; 5. Determinazione del compenso; 6. Redazione dell’inventario e relazione particolareggiata

1.Considerazioni preliminari sul nuovo concordato preventivo

La disciplina del concordato preventivo rappresenta certamente quella che ha con maggiore evidenza manifestato l’esigenza improcrastinabile di nuova formulazione organica delle norme sulla crisi di impresa, posto che è quella che è stata maggiormente interessata dal fenomeno della successione di innesti normativi “di natura episodica ed emergenziale”, che “intervenendo su disposizioni della l. fall. modificate da poco, ha generato rilevanti difficoltà applicative e la formazione di indirizzi giurisprudenziali non consolidati, con un incremento delle controversie pendenti e il rallentamento notevole dei tempi di definizione delle procedure concorsuali”.

E con tutta probabilità la disciplina  del concordato preventivo è anche quella in cui con maggiore evidenza si sono manifestati taluni utilizzi strumentali dell’istituto, tanto da indurre il legislatore della riforma espressamente a “farsi carico anche delle disfunzioni e dei disvalori delle procedure concorsuali, quali essi vengono percepito all’esterno e questo per evitare che ci si trovi a dover constatare, a consuntivo, che una procedura è servita soltanto ad assorbire le residue risorse disponibili dell’impresa”.

Secondo linee di indirizzo molto chiare, dunque, nel Codice della crisi di impresa la nuova formulazione della disciplina in esame contempla, da un lato, una chiara comunicazione della finalità dell’istituto, con forte valorizzazione del concordato in continuità e compressione del concordato liquidatorio, che continua ad esistere ma in concreto trova spazio unicamente quando l’immissione di risorse esterne sia idonea a garantire ai creditori un trattamento significativamente migliorativo rispetti alla alternativa liquidazione giudiziale; dall’altro lato, la trattazione con collocazione sistematica più ordinata e coordinata con il nuovo impianto normativo, delle importanti novità introdotte con le differenti riforme parziali che si siano succedute dal 2005 in poi.

Il Concordato preventivo, pertanto, al pari della liquidazione giudiziale, resta sostanzialmente una procedura concorsuale giudiziale, che da quest’ultimo differisce perché si apre solo ed esclusivamente su richiesta dello stesso debitore, e si sviluppa nella prospettiva di un piano predisposto dallo stesso debitore, che è sottoposto alla valutazione dei creditori e sotto la verifica iniziale del tribunale in ordine alla sua ammissibilità, al suo sviluppo in itinere, nonché sulla fase di omologazione ed, infine, di esecuzione.

La libertà riconosciuta al debitore in ordine alla predisposizione del piano da sottoporre all’approvazione dei creditori in uno alla dinamica della stessa valutazione/approvazione da parte degli stessi creditori ha consentito, specialmente dopo le riforme del 2005/2006 della Legge Fallimentare, di valorizzarne il profilo c.d. privatistico a scapito di quello c.d. pubblicistico.

  1. 2.Profili generali: le finalità del concordato preventivo

La legge fallimentare del 1942 introduceva la disciplina del concordato preventivo con il Capo I, del Titolo III, che recita “Dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo”; il Codice della crisi di impresa invece parla in senso più ampio di “Presupposti ed inizio della procedura”.

La variazione non è solo di tipo lessicale.

Secondo una tecnica redazionale che caratterizza tutto il Codice della crisi di impresa, anche in questo frangente, il legislatore del 2019 ha ritenuto infatti opportuno premettere alla trattazione vera e propria dell’istituto una norma del contenuto essenzialmente definitorio, che non ha un corrispondente nella legge fallimentare del 1942.

All’art. 84, sotto la rubrica “Finalità del concordato preventivo” è stato infatti chiarito che il concordato preventivo è uno strumento con il quale il debitore realizza il “soddisfacimento” dei creditori: questa definizione conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che attribuisce al soddisfacimento dei creditori, nella misura oggetto di accordo negoziale, rilevanza causale, orientamento che ha portato a ritenere inammissibili proposte con classi c.d. “a zero” (che cioè non offrivano nulla per il soddisfacimento del credito) ovvero con previsioni di soddisfacimento talmente irrisorie da essere assimilabili allo zero.

Il concordato preventivo, oggi come in passato, può essere in continuità ovvero liquidatorio.

Il principale criterio distintivo tra le due fattispecie, puntualmente rappresentato all’art. 84, è costituito dalla provenienza delle risorse utilizzate per il soddisfacimento dei creditori. È in continuità aziendale il concordato che trae tali mezzi “In misura prevalente dal ricavato prodotto della continuità aziendale”; è liquidatorio, invece, il concordato che trae le proprie risorse in misura prevalente dalla liquidazione del patrimonio del debitore. Queste precisazioni sotto il profilo definitorio mirano a superare i numerosi dubbi interpretativi sorti, soprattutto all’indomani della introduzione di soglie minime di soddisfacimento dei creditori nel solo concordato liquidatorio.

In maniera assai analitica, l’art. 84, 2° comma, precisa altresì che la continuità può essere diretta, se realizzata dal debitore, o indiretta “in caso sia prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività  da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ovvero in forza di affitto, stipulato anche anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso (così sostituito dall’art. 13, comma 1, lett. a), D. Lgs. N. 147/2020, a decorrere dal 1° settembre 2021)”. 

Il legislatore dunque risolve in modo netto a favore dell’ammissibilità della c.d. continuità indiretta il dibattito giurisprudenziale che si è alimentato nel corso degli ultimi anni e che vedeva opposte due tesi, quella della continuità in senso soggettivo (sussistente solo ove fosse l’imprenditore, debitore in crisi, a portare avanti l’attività nell’ottica del risanamento dunque in continuità diretta) e quella della continuità in senso oggettivo, che invece aveva come punto di riferimento l’azienda e dunque consentiva che si parlasse di continuità anche nell’ipotesi in cui fossero terzi a proseguire l’attività (continuità indiretta). Questa soluzione appare conforme al recente arresto della Suprema Corte, 19 novembre 2018, n. 29742.

L’opzione interpretativa sposata dal legislatore del 2019 evidenzia il netto favor per la tutela e la conservazione dell’impresa che mantenga una residua vitalità, ai fini della valorizzazione dell’avviamento e la tutela dei livelli occupazionali: non è dunque casuale che nella seconda parte dell’art. 84, 2° comma, sia anche specificato che la continuità deve assicurare il “mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall’omologazione”. 

La previsione mira ad assicurare, l’effettività della dimensione oggettiva della continuità, che costituisce il valore aggiunto in ragione del quale il concordato in continuità è privilegiato rispetto alle proposte meramente liquidatorie. 

È evidente, da un lato, la volontà di far sì che la disciplina di favore del concordato in continuità sia riservata ai soli casi di reale continuità, dall’altro lato, la consapevolezza che è inopportuna la previsione delle regole di gestione “imposte” per un periodo di tempo eccessivamente lungo,: calibrare queste opposte esigenze è esercizio complicato e solo la prassi evidenzierà se la soluzione rinvenuta, che certo limita il campo di valutazione di fattispecie di abuso del diritto, sia idonea allo scopo. 

La disposizione richiede che, sia nel caso di continuità diretta che di continuità indiretta, il piano dia conto della funzionalità della prosecuzione dell’attività ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico-finanziario dell’impresa nell’interesse prioritario dei creditori. Come chiarito dalla Relazione illustrativa, questa necessità permane anche nel caso di continuità indiretta, tranne nei casi in cui si realizzai una cessione di azienda che preveda il pagamento contestu2ale alla stipulazione, giacché, in questa eventualità, l’interesse dei creditori è salvaguardato, di per sé, dall’incasso immediato del corrispettivo.

L’art. 84, 3° comma, contiene il riferimento ad un criterio di prevalenza, ai fini della qualificazione di un concordato in termini di concordato in continuità, così risolvendo in concreto i dubbi interpretativi circa la disciplina applicabile al c.d. “concordato misto”: è infatti oggi espressamente affermato che rientra nella definizione di concordato in continuità, mutuandone evidentemente la disciplina (a partire dall’assenza di soglie minime di soddisfacimento dei creditori chirografari per l’ammissibilità), quel concordato in cui “i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”; la formulazione letterale adottata, in ossequio a precisa indicazione contenuta nella legge delega, lascia supporre che il criterio di prevalenza sia da valutarsi meramente su di un piano quantitativo. Non sono mancate tuttavia voci critiche in relazione ad una simile opzione, che “condanna alla inammissibilità” molte soluzioni concordatarie, che pure avrebbero il pregio di apportare maggiore soddisfacimento ai creditori. 

Con intento probabilmente semplificatorio la norma prosegue introducendo una presunzione assoluta di sussistenza della richiamata prevalenza “quando i ricavi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media dei lavoratori di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso”. Nel caso in cui si registri la fattispecie descritta il tribunale dovrà ritenere dunque soddisfatto il requisito della prevalenza senza necessità di procedere al confronto tra flussi derivanti dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale e flussi generati dalla liquidazione dei beni.

Consente di superare dubbi interpretativi registrati in giurisprudenza la previsione espressa che tra i proventi della continuità sono ricompresi anche il ricavato della cessione del magazzino e quindi di quanto prodotto dall’impresa, prescindendo, dal momento, anteriore o posteriore all’inizio della procedura, in cui tale produzione è stata effettuata. 

È in ogni caso da ritenere che il criterio di prevalenza debba operare appieno sia nel caso di continuità diretta, sia nel caso di continuità indiretta, posto che l’obiettivo del legislatore è quello di preservare la vitalità della azienda, con conservazione dei livelli occupazionali.

Occorre ricordare che, secondo l’opinione tradizionale, “esecuzione concorsuale” sui beni del debitore significa assoggettamento degli stessi ad una forma di esecuzione collettiva poste in essere da soggetti terzi rispetto al debitore, con l’obiettivo di soddisfare i creditori seguendo l’ordine dei privilegi e, a parità di posizione giuridica proporzionalmente tra loro. 

Negli ultimi anni, l’obiettivo della par condicio creditorum era stato sopravanzato, nel nostro ordinamento come da quello di altri Paesi europei, dalla salvagurdia dell’attività di impresa.

L’art. 84, 3° comma, contiene una ulteriore previsione esplicativa che mira a dare risposta ad ulteriori contrasti interpretativi sorti in relazione alla disposizione introdotta dall’art. 4, d. l. 27 giugno 2015, n.83, secondo cui “a ciascun creditore deve essere assicurata un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile.  (così sostituito dall’art. 13, comma 1, lett. a), D. Lgs. N. 147/2020, a decorrere dal 1° settembre 2021)”; l’obbligo viene infatti confermato, con la opportuna specificazione che l’utilità può essere anche rappresentata – come molto spesso accade in pratica – anche dalla “prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”, con ciò consentendosi di soddisfare i creditori non con denaro od altri beni ma con vantaggi comunque certi ed economicamente apprezzabili dal diritto interessato.

Manca una chiara regola che raccordi la disciplina codicistica sulle operazioni straordinarie e la disciplina fallimentare che regola le procedure concorsuali, specie sotto il profilo del rapporto tra il principio di intangibilità degli effetti delle operazioni straordinarie, come dettato dagli articoli 2500-bis, 2504-quater e 2506-ter per le operazioni di trasformazione, fusione e scissione, e la disciplina degli effetti del concordao in caso di omologazione, risoluzione o annullamento.

L’attuale normativa non consente di risolvere il conflitto tra le due discipline e nella prassi si fa ricorso a differenti soluzioni:

  • Differire alla fase esecutiva del concordato il compimento delle operazioni straordinarie (ma questa opzione ha la controindicazione di lasciare troppe incertezze sulla fattibilità del piano, data l’oggettiva imprevedibilità delle dinamiche societarie);
  • Adottare delibere condizionate alla definitiva omologazione del piano e proposta concordataria;
  • Adottare delibere non condizionate (le quali sopravvivono alla mancata omologazione del piano e della proposta concordataria, ma dovrebbero mantenere la loro efficacia in caso di annullamento o risoluzione di concordato precedentemente omologato).

Il Codice prevede, tra i propri principi ed in rapporto specifico al concordato preventivo, l’esigenza di disciplinare le operazioni straordinarie di trasformazione, fusione e scissione attuate in relazione al concordato preventivo, dunque prevedendo i necessari correttivi – quali per esempio la limitazione dell’opposizione ai creditori solo in occasione del controllo giudiziale sulla legittimità della proposta di concordato – e prevedendo la irreversibilità di tali operazioni anche in ipotesi di risoluzione o annullamento del concordato.

  1. La disciplina del Commissario Giudiziale nel concordato preventivo.

L’art. 163, comma 2, l. fall. dispone che il tribunale, con il decreto di dichiarazione d’apertura del concordato, nomina il commissario giudiziale.

Nonostante l’impiego del singolare, va messa la possibilità che venga designato un collegio di commissari, di regola un commercialista ed un avvocato, nelle situazioni di maggiori complessità.

Devono rivestire la qualifica di commissari giudiziali, in ragione del riferimento operato agli articoli 28 e 29 legge fallimentare, coloro i quali possono essere nominati curatori, assumendo, nell’esercizio delle funzioni, la qualifica di pubblico ufficiale.

Il commissario giudiziale, secondo quanto previsto dall’art. 165, comma 2, legge fallimentare, soggiace alle disposizioni degli articoli 36,37,38 e 39 legge fallimentare, trovando così applicazione le disposizioni previste per il curatore rispetto al reclamo contro gli atti di responsabilità, e la determinazione del compenso. 

Il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, sul punto, conferma le disposizioni attualmente vigenti includendo l’applicazione dell’art. 126 del Codice (accettazione dell’incarico cui dunque si correla il regime di incompatibilità introdotto dal D. lgs. N. 54 del 2018) e limitandosi quali novità rispetto alla vigente disciplina, a porre a carico del commissario giudiziale: a) l’annotazione sotto l’ultima scrittura dei libri presentati, adempimento prima in capo al giudice delegato; b) celebrazione dinanzi a sé della procedura competitiva, nell’ipotesi di offerte concorrenti, qualora il decreto di apertura non preveda la celebrazione dinanzi al giudice delegato.

Detto ciò, va segnalata una modifica introdotta dal decreto correttivo che introduce l’applicazione al commissario giudiziale dell’art. 125 del Codice (nomina del curatore). Viene così chiarito che anche la nomina del commissario giudiziale deve avvenire nel rispetto degli articoli 356 e 358 del Codice.

In effetti, attraverso il rinvio all’art. 125, ma solo in base al comma 1 di tale norma, si realizza l’ulteriore rinvio agli articoli 356 e 358 (“1. Il curatore è nominato con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, osservati gli articoli 356 e 358”). 

In virtù del rinvio agli articoli 356 e 358, di conseguenza, anche il commissario giudiziale deve essere selezionato tra gli iscritti all’albo dei soggetti incaricati dall’autorità giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure di cui al Codice delle crisi di impresa e dell’insolvenza e deve possedere i requisiti per la nomina indicati nell’art. 358, ossia essere iscritto agli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dei consulenti del lavoro o far parte di studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse siano in possesso dei requisiti professionali per svolgere le suddette professioni; aver svolto funzioni di amministrazioni, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei propri confronti dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale. 

Altresì, il commissario giudiziale non deve incorrere nelle cause di incompabilità previste da tale norma (essere coniuge, parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, convivente di fatto, parente o affine entro il quarto grado del debitore, sul creditore, aver concorso al dissesto dell’impresa o trovarsi in conflitto di interessi con la procedura).

L’art. 163, comma 2, n. 3 l. fall. dispone che il tribunale, con decreto di apertura del concordato, nomina il commissario giudiziale, salvo conferma in caso di precedente nomina in occasione dell’ammissione con riserva del debito alla procedura. 

Il commissario giudiziale deve:

  • Comunicare ai creditori, con lettera raccomandata, telegramma o posta elettronica certificata, un avviso che contenga la data dell’adunanza e la proposta del debitore, con facoltà di procedere, in casi di particolare complessità e previa autorizzazione del tribunale, mediante pubblicazione su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale;
  • Controllare che il debitore depositi, entro il termine non superiore a quindici giorni fissato nel decreto di cui all’art. 163 legge fallimentare, la somma che si presume necessaria per l’intera procedura e il cui mancato versamento determina l’improseguibilità del concordato;
  • Verificare l’elenco dei crediti e dei debiti, apportando le necessarie rettifiche alle scritture contabili, stilare inventario del patrimonio del debitore, riferire al tribunale l’accertamento di eventuali condotte rilevanti ai sensi dell’art. 173 l. fall., (occultamento o dissimulazione del passivo, dolosa omessa denuncia di uno o più crediti; esposizione di passività insussistenti; compimento di atti straordinari non autorizzati; commissione di atti in frode);
  • Predisporre, eventualmente con l’ausilio di uno o più stimatori nominati dal giudice delegato, una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulla proposta di concordato, sulle garanzie offerte ai creditori, sulla correttezza della formazione delle eventuali classi e sul rispetto delle regole di decurtazione dei crediti privilegiati, da depositare quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori.

Quest’ultimo è sicuramente l’atto più rilevante che la legge richiede di eseguire al commissario giudiziale, dato che esso assolve allo scopo di consentire ai creditori di esprimere un consenso informato sulla proposta loro sottoposta dal debitore ed al tribunale di valutare la necessità di assumere un provvedimento ai sensi dell’art. 173 l. fall.

Inoltre, la relazione deve esplicitare a quale oggetto principale una previsione di fattibilità, giuridica ed economica, del piano concordatario, ponendosi l’indagine svolta quale necessaria premessa per la prosecuzione della procedura concordataria.

Eventuali conclusioni difformi rispetto a quelle del debitore non determinano però l’arresto immediato del procedimento, ben potendo i creditori esprimere voto adesivo nonostante diverse e, meno favorevoli, prospettive di soddisfacimento ipotizzate nella relazione commissariale.

Inoltre, ove siano state presentate proposte concorrenti, il commissario giudiziale deve riferire in merito ad esse ai creditori, almeno dieci giorni prima dell’adunanza in una relazione integrativa, che contenga una descrizione comparativa delle proposte depositate, allo scopo di garantire il consenso informato ai creditori in vista dell’adunanza.

Con la L. 07.08.2012, n. 134 (cd decreto competitività), il contenuto della relazione di cui all’art. 172 l. fall. è stato esteso anche all’illustrazione delle utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate da azioni risarcitorie, recuperatorie e revocatorie.

La stessa relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulla proposta di concordato, sulle garanzie offerte ai creditori, sulla correttezza della formazione delle eventuali classi e sul rispetto delle regole di decurtazione dei crediti privilegiati, va depositata quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori, il commissario giudiziale deve comunicare senza ritardo al pubblico ministero i fatti che possono interessare ai fini di un’indagine penale e dei quali venga a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni, il commissario giudiziale è tenuto a fornire, se richiesto e previa l’adozione di adeguate misure di riservatezza, ogni utile informazione per la formulazione di offerte concorrenti e di proposte concorrenti ed in caso di presentazione di queste ultime deve riferire su di esse mediante una relazione integrativa. 

Sul punto si segnala la modifica introdotta dal decreto correttivo, per cui stato aggiunto l’art. 105 del Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, al fine di reintrodurre, conformemente a quanto attualmente prevede l’art. 172 della l. fall., la regola secondo la quale le relazioni redatte dal commissario giudiziale in vista del voto sulla proposta di concordato preventivo devono essere trasmesse anche al pubblico ministero. È evidente, infatti, l’interesse di tale organo, che coinvolto nel procedimento fin dal momento del deposito della domanda, a conoscere gli esiti delle verifiche svolte dal commissario giudiziale, in particolar modo sulle cause del dissesto.

Il quadro che emerge è che il commissario giudiziale, lungi dal costituire un mero ausiliario del giudice, va considerato uno degli organi della procedura, al pari del tribunale e del giudice delegato, essendo le sue funzioni autonome e decisive tanto nella fase iniziale, quanto in quella istruttoria, quanto ancora in quella esecutiva, giacché egli funge da raccordo tra il debitore, i creditori ed il tribunale; e ciò senza rappresentare il debitore oppure i creditori, non avendo, a differenza del curatore fallimentare, la legittimazione al compimento di atti di amministrazione oppure di resistere nella cause che riguardano il patrimonio del debitore.

Le funzioni del commissario giudiziale, cui spetta, da un punto di vista generale, di controllare la gestione dei beni e l’esecuzione di impresa senza poter entrare nel merito delle scelte del debitore, sono state integrate dal decreto sviluppo, al novellato art. 179, comma 2, l. fall., modificato al fine di attribuire al commissario giudiziale il compito di comunicare ai creditori il mutamento delle condizioni di fattibilità del piano verificatesi tra l’approvazione del concordato e la sua omologazione, affinché valutino l’opportunità di modificare il voto espresso in adunanza o nei venti giorni successivi.

In particolare, la norma prevede che il commissario giudiziale, quando rileva il mutamento delle condizioni di fattibilità del piano dopo la sua approvazione, deve darne avviso ai creditori, cui viene attribuito il diritto di costituirsi nel giudizio d’omologazione fino all’udienza di cui all’art. 180 l. fall., per modificare il proprio voto.

  1. Profili di responsabilità

La norma non chiarisce se il commissario giudiziale debba effettuare la prescritta comunicazione ai creditori in presenza di ogni mutamento, negativo o positivo, delle condizioni di fattibilità oppure se sussista un discrimine rappresentato dalla rilevanza delle sole modifiche che incidano negativamente sul corretto adempimento della proposta concordataria.

Potrebbe ritenersi che, dando l’art. 179, comma 2, l. fall. per presupposto che si sia giunti al giudizio di omologazione, il legittimato a costituirsi per esprimere un voto differente a seguito del mutamento delle condizioni di fattibilità sia soltanto chi abbia votato positivamente, con la conseguenza che il mutamento rileverebbe esclusivamente in pejus e non in melius. 

In realtà, se si considera che la norma si riferisce a qualunque condizione di fattibilità e che l’approvazione di un concordato è per definizione precaria, siccome soggetta a controllo in sede di omologazione e passibile di essere caducata per effetto delle dichiarazioni di nullità ex officio di voti favorevoli, il mutamento rilevante nella prospettiva di cui all’art. 179, comma 2, l. fall. potrebbe essere anche quello positivo, consentendo così di conseguire il risultato dell’omologazione.

È ragionevole ritenere, pena la compressione del diritto di difesa, che possa modificare il proprio voto anche il creditore che sia venuto, comunque, a conoscenza di questo mutamento, nonostante non sia stato reso destinatario della comunicazione prescritta dall’art. 179, comma 2, l. fall.

Una volta che il concordato sia stato approvato dai creditori, entro dieci giorni prima dell’udienza fissata per l’omologazione, il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere ai sensi dell’art. 180 l. fall. Questo parere rappresenta il principale documento attraverso il quale il tribunale assume le informazioni necessarie per operare il controllo sulla legittimità e, ove ne ricorrano i presupposti, sulla convenienza, della proposta di concordato; e ciò indipendentemente dalla proposizione di opposizioni all’omologa.

A questa stregua, il commissario giudiziale, che deve depositare il proprio motivato parere e può costituirsi nel giudizio di omologazione, assume la duplice veste di ausiliario del giudice e di parte necessaria della fase conclusiva della procedura di concordato.

La pubblicazione del decreto di omologazione determina l’esaurimento della procedura di concordato preventivo, alla quale fa seguito l’apertura di una fase esecutiva volta a dare attuazione al programma di ristrutturazione oggetto del concordato.

A seguito dell’omologa, il commissario giudiziale è chiamato a sorvegliare l’adempimento della proposta ed a riferire al giudice delegato tutte le circostanze che possano recare pregiudizio ai creditori, potendosi oggi vedere attribuiti, per effetto delle modifiche introdotte dal decreto competitività ed in sede esecutiva, i poteri necessari per provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti necessari per eseguire la proposta di concordato omologata.

Per quanto concerne i rimedi contro gli atti da lui eseguiti, il commissario giudiziale, secondo quanto previsto dall’art. 165, comma 2, l. fall., soggiace alle disposizioni degli articoli 36, 37, 38 e 39 l. fall., trovando così applicazione le disposizioni previste per il curatore rispetto al reclamo contro gli atti da lui eseguiti.

Queste regole si estendono al commissario giudiziale nei limiti in cui siano compatibili con le specificità del suo ruolo, con conseguente inoperatività degli articoli 31, comma 1, 36 (limitatamente agli atti di amministrazione), 38, commi 1 e 3, l. fall., L’azione di reclamo è rimessa al debitore in concordato preventivo e a qualsiasi altro soggetto interessato e deve essere proposta al giudice delegato il quale provvede con decreto motivato, contro il quale è ammesso ricorso al tribunale.

L’inadempimento del commissario giudiziale al proprio incarico è fonte di responsabilità civile, che deve essere intesa in termini extracontrattuali perché l’incarico deriva da un provvedimento giudiziale e non sussiste alcun rapporto obbligatorio con il debitore od i creditori. Infatti, l’attività del commissario giudiziale è collegata non già all’attività gestoria tipica del curatore, bensì a comportamenti commissivi od omissivi che si traducano in un negligente adempimento dei doveri propri dell’ufficio oppure imposti dal piano concordatario.

Quanto alla responsabilità penale, si applica al commissario giudiziale la medesima disciplina dettata per il curatore fallimentare.

Quanto alla revoca, l’unico legittimato a richiederla è il giudice delegato, salvo l’intervento d’ufficio del tribunale e senza possibilità di impulso dei creditori.

  1. Determinazione del compenso.

La disciplina normativa del compenso dovuto e liquidabile al commissario è contenuta nell’art. 165, comma 2, l. fall., il quale richiama l’art. 39 l. fall. sul compenso al curatore, che a sua volta rinvia, per la qualificazione, alle “norme stabilite con decreto del Ministero della Giustizia” (c. 1) e prevede che “è in facoltà del tribunale di accordare al curatore acconti sul compenso per giustificati motivi” (c. 2).

Attualmente, la disciplina dei compensi liquidabili al commissario giudiziale è stata modificata con il decreto ministeriale, il D. M. 25/01/2012, n. 30, applicabile a partire dal 27/03/2012, il quale ha introdotto un diverso criterio di determinazione del compenso, a seconda che si tratti di concordato con liquidazione dei beni e procedure di concordato “diverse”.

L’art. 5 stabilisce, infatti, che nelle “procedure di concordato preventivo in cui siano previste forme di liquidazione dei beni” il compenso è determinato con le percentuali, relative al compenso del curatore, sull’ammontare dell’attivo realizzato dalla liquidazione e sull’ammontare del passivo risultante dall’inventario redatto ai sensi dell’art. 172 l. fall.

Questa norma è diversa da quella precedente di cui al D. M. n. 570/1992 che, non solo prevedeva due compensi: uno per l’attività fino all’omologa ed un altro per l’attività successiva, ma distingueva anche i criteri di determinazione del compenso.

Nel secondo caso, ossia di “procedure di concordato preventivo diverse”, il compenso è determinato, sulla base delle suddette percentuali, sull’ammontare dell’attivo e del passivo risultanti dall’inventario redatto ai sensi dell’art. 172 l. fall..

La finalità della norma è palese: troppo spesso i concordati preventivi con cessione dei beni si sono, infatti, arenati nella fase liquidatoria, perché le stime operate dal commissario giudiziale nella relazione ex art. 172 l. fall. si sono rivelate aleatori e scarsamente rispondenti alla realtà del mercato.

L’ammontare del compenso del commissario giudiziale comprende anche l’attività spiegata nella fase successiva all’omologazione.

La liquidazione del compenso avviene ad opera del tribunale, con decreto collegiale, che deve essere congruamente motivato, con indicazione dei criteri seguiti per la liquidazione, con la conseguenza che, ove il provvedimento sia pronunciato con motivazione apparente, il vizio può essere denunziato con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.

L’art. 1 del D. M. n. 30/2012 stabilisce, inoltre, che compete al tribunale, nella scelta delle percentuali del minimo e del massimo, tenere conto dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, dell’importanza della procedura e della sollecitudine con cui sono state condotte le operazioni.

Al commissario giudiziale spetta, infine, il rimborso forfettario delle spese sostenute per la procedura, oltre ad un rimborso forfettario del 5% del compenso liquidatogli.

Il decreto di liquidazione del compenso del commissario giudiziale non è reclamabile né revocabile; questo decreto è, tuttavia, impugnabile in Cassazione con azione rimessa al medesimo commissario giudiziale.

  1. Redazione dell’inventario e relazione particolareggiata.

Appena dopo l’ammissione della società alla procedura di concordato preventivo, il commissario giudiziale deve redigere l’inventario. Non si tratta di un vero e proprio inventario come quello previsto dall’art. 87 l. fall. in sede di fallimento, mediante il quale si attua l’apprensione dei beni alla procedura, ma di una ricognizione dell’intero patrimonio del debitore, e non solamente dei cespiti coinvolti dalla proposta concordataria, finalizzato a mettere il commissario giudiziale in condizione di offrire al ceto creditorio un’informazione completa in merito alla bontà della proposta di concordato preventivo e dell’alternativa fallimentare.

Non è, quindi, generalmente ritenuta necessaria l’assistenza del cancelliere.

L’inventario così redatto dal commissario risulta essere propedeutico alla redazione della relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, precisando se l’impresa si trovi in stato di crisi o di insolvenza – inciso che è stato inserito nel nuovo Codice rispetto al vecchio impianto della legge fallimentare – sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori. Tale relazione deve essere depositata in cancelleria almeno quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori, comunicandola al pubblico ministero.

I destinatari della relazione del commissario giudiziale sono, pertanto, a) il Tribunale ed il giudice delegato alla procedura, che possono acquisire adeguati elementi di valutazione in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti per la prosecuzione del concordato preventivo; b) i creditori ammessi al voto, al fine di poter, consapevolmente ed adeguatamente informati, esercitare il proprio diritto di voto, alla stregua del cd. consenso informato; c) il Pubblico Ministero.

Infatti, la relazione può risultare decisiva per i creditori, ai fini della loro espressione di voto, in merito alla “fattibilità” del piano proposto dal debitore e sulla convenienza del concordato e anche in relazione alla “utilità” che potrebbero essere apportate, in un’eventuale liquidazione giudiziale dall’esercizio delle azioni di cui all’art. 105, comma 2, C.C.I.I., ossia dalle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie che potrebbero essere promosse nei confronti dei terzi.

Il commissario riferisce, inoltre, ai creditori quanto risulta dalla “condotta del debitore”: in passato, tale riferimento era funzionale soprattutto al giudizio di meritevolezza pronunciato dal tribunale in sede di omologazione, ora, invece, assume rilievo segnatamente alla valutazione di convenienza dei creditori e all’accertamento di eventuali profili di revoca del concordato a norma dell’art. 106 C.C.I.I.

Inoltre, in base a quanto disposto dal comma 3 dell’articolo in esame, il commissario può essere chiamato a dover redigere anche relazioni integrative. Infatti, qualora “siano depositate proposte concorrenti, il commissario giudiziale riferisce in merito ad esse con relazione integrativa da depositare in cancelleria e comunicare ai creditori, con le modalità di cui all'articolo 104, comma 2, almeno quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori”. Analoga relazione integrativa viene redatta anche “qualora emergano informazioni che i creditori devono conoscere ai fini dell’espressione del voto”.

Si aggiunge, inoltre, che ove la proposta del debitore sia differente rispetto alla realtà fattuale accertata dal commissario, quest’ultimo può concludere la propria analisi con la redazione di una propria situazione concordataria, da sottoporre ai creditori come possibile esito alternativo della procedura.

Per quanto riguarda il termine previsto per il deposito delle relazioni del commissario giudiziale, appare opportuno richiamare l’art. 152, comma 2, c.p.c., a detta del quale sono perentori i termini processuale dichiarati espressamente tali dal legislatore. La natura perentoria di un termine deve essere espressamente prevista dalla legge, oppure, può essere desunta dallo scopo e dalla funzione che il termine adempie.

Nel caso in esame, la dottrina è concorde nel considerare ordinatorio detto termine, con la conseguenza che ove il deposito tardivo non consenta l creditore la piena conoscenza della relazione, questi possa richiedere un rinvio dell’adunanza, che se non accolto legittima alla riproposizione della questione anche in sede di omologa.

In conclusione, il commissario ai sensi di quanto disposto dal Codice della Crisi è chiamato a svolgere un controllo “a tutto campo”, muovendo dall’analisi delle scritture contabili, passando alla verifica estimativa delle componenti patrimoniali per raffrontarla con quanto dichiarato dal debitore nel piano e nella allegata documentazione, a sua volta oggetto di attestazione da parte del professionista”.

Per la redazione della relazione, in base al contenuto previsto dall’art. 172, è opportuno che il commissario giudiziale metta in atto le seguenti principali attività: a) esaminare i bilanci dei precedenti esercizi per individuare le principali cause dello stato di crisi che hanno indotto il debitore a presentare la proposta di concordato preventivo, il momento in cui tali cause i sono manifestate e se effettivamente abbiano condotto l’impresa all’insolvenza o all’incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni (art. 5 L.F.); b) verificare l’eventuale sussistenza di profili di responsabilità attribuibili ai componenti degli organi sociali, la consistenza patrimoniale degli stessi e l’eventuale compimento di operazioni che sarebbero potenzialmente soggette ad azione revocatoria in caso di fallimento. Tale attività è volta ad informare i creditori circa la convenienza della proposta di concordato rispetto ad altre soluzioni concorsuali prospettabili, quali - appunto - il fallimento, nell’ambito del quale il curatore potrebbe promuovere azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali e revocatorie fallimentari, precluse nell’ambito del concordato preventivo; c) accertare la fattibilità del piano di concordato nei termini proposti dal debitore, evidenziare i fattori di rischio e di criticità, sulla base della documentazione depositata in tribunale e di ogni altra informazione acquisita (si rivela spesso utile, per valutare la congruità dell’attivo e la consistenza del passivo, acquisire una relazione del legale del debitore sullo stato delle cause pendenti).

Al fine di redigere una relazione che possa adempiere a quanto imposto dalla legge fallimentare e dare la miglior informazione possibile al tribunale ed ai creditori, sarà opportuno che il commissario metta in atto anche le seguenti attività: a) verificare la corrispondenza dei saldi comunicati dai creditori con quanto esposto nell’elenco depositato dal debitore o dalle risultanze contabili e, se necessario, aggiornarne gli importi; b) effettuare una analisi sulla solvibilità dei debitori, sia sulla base dell’andamento storico dei pagamenti risultante dalle scritture contabile, sia con visure potesti o altri canali che possano permettere di ottenere informazioni più dettagliate sui debitori. La ricostruzione/verifica di un attivo attendibile richiede infatti che si verifichi se la valutazione dei crediti facenti parte dell’attivo concordatario risulti corretta e prudente; c) effettuare tutte le necessarie rettifiche ai dati esposti nel piano dal debitore adeguando i valori attivi e passivi a quelli scaturiti dalle attività sopra descritte, nonché ai valori dell’inventario di cui all’art. 172 L.F.; d) la possibile rilevanza delle differenze riscontrate rispetto alla proposta del debitore spesso richiede che il Commissario concluda la propria analisi con la redazione di una propria situazione concordataria, da sottoporre ai creditori come possibile esito alternativo della procedura. 

In allegato articolo integrale con note


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