-  Lucenti Luca  -  18/10/2014

COSTITUZIONE IN GIUDIZIO NEL PROCESSO CIVILE TELEMATICO: È O NON E POSSIBILE? - L. LUCENTI

SOMMARIO


- I - PREMESSA

I.1. Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

I.2. Sistema informatico e sistema forense: il rischio del cortocircuito

I.2.a. Un esempio di cortocircuito: costituzione in giudizio e dimensioni massime della busta telematica

I.2.b. La regolamentazione cartacea della costituzione in giudizio

I.2.c. Analogie e differenze tra due mondi: deposito cartaceo v/ busta telematica

I.2.d. Il problema delle dimensioni limitate della busta telematica: soluzione e dubbi

I.2.e. La deregulation del codice di rito

- II - LA GIURISPRUDENZA

II.1. E" possibile costituirsi telematicamente?

II.1.a. Il caso deciso da Trib. Foggia, 10/04/2014: inammissibilità

II.1.b. Il caso deciso da Trib. Torino 15/07/2014: inammissibilità

II.1.c. Il caso deciso da Trib. Pavia 22/07/2014: inammissibilità

II.1.d. Il caso deciso da Trib. Padova, 03/09/2014: inammissibilità

II.1.e. Il caso (particolare) deciso da Trib. Milano, Sez. Lav., 08/02/2013: inammissibilità

II.1.f. Il caso deciso da Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014: rinvio

II.2. Cinque su sei. Non c'è male: qualche prima considerazione

- III - LA NORMATIVA

III.1. La normativa del pct: un lungo cammino

III.2. Le fonti

III.2.a. L'art. 17 L. 23/08/1988, n. 400

III.2.b. L'art. 2, 1° co., lett. mm), L. 23/10/1992, n. 421

III.2.c. L'art. 15, 2° co., L. 15/03/1997, n. 59

III.2.d. Gli artt. 4 e 9 D.P.R. 13/02/2001, n.123

III.2.e. L'art. 45 D.LGS 07/03/2005, n. 82

III.2.f. L'art. 4, 1° co., D.L. 29/12/2009, n. 193

III.2.g. Gli artt. 13, 34, 35 e 37 D.M. 21/02/2011, n. 44

III.2.h. L'art. 16-bis D.L. 18/20/2012 n. 179

- La versione originaria

- La versione successiva al D.L. 90/2014

- La versione successiva al D. L. 132/2014

- IV - REGOLE TECNICHE, CIRCOLARI E PROTOCOLLI

IV.1. Le specifiche tecniche della DGSIA

IV.1.a. Le fonti

IV.1.b. I problemi

IV.2. I provvedimenti ricognitivi emanati dalla DGSIA

IV.2.a. Cosa sono e dove si trovano

IV.2.b. I problemi

IV.3. Le circolari

IV.3.a. La circolare Ministero Giustizia del 27/06/2014

IV.3.b. La circolare DGSIA del 08/07/2014: rinvio

IV.4. protocolli: ovvero elogio del caos

IV.4.a. Elogio delle prassi protocollari

IV.4.b. Ma.......

IV.4.c. Costituzione telematica e protocolli: il caos

- V - CONCLUSIONI

V.1. Esiste ancora un "giusto processo civile"?

V.2. Trib. Vercelli, ordinanza 04/08/2014: una luce in fondo al tunnel

 


- I - PREMESSA


Come tutti sappiamo, la telematica è ormai diventata uno strumento abituale nel contesto forense.

Chi, sino a ieri, doveva adoperare una certa dose di impegno anche solo per trovare il pulsante d'accensione del pc, si muove, oggi, più o meno disinvoltamente, tra PDF, firme digitali e notifiche PEC; inedite figure professionali ibride (il tecnico informatico/giuridico o l'avvocato telematico) si stanno prepotentemente profilando all'orizzonte; si aprono nuove e diverse possibilità operative per chi possa, voglia, o, infine, debba, sperimentarle (notifiche PEC, estrazione di copie autentiche etc.).

Un fenomeno che ci mostra chiaramente come il pianeta giustizia si stia inevitabilmente, quanto meritoriamente, indirizzando verso la digitalizzazione (anche se il cammino è ancora lungo).

I.1. Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

Ma limitarsi a constatare questo innegabile stato di fatto porta a rispondere ad una sola delle tre domande esistenziali fondamentali che ciascuno di noi, soprattutto in questi tempi di incertezza e cambiamento, probabilmente si è posto; quella relativa al "dove andiamo".

Resta, invece, aperta la risposta alle altre due, non meno importanti, questioni: "chi siamo" e "da dove veniamo".

A rifletterci bene, in effetti, chi siamo, lo sappiamo già. Siamo avvocati. Personaggi, cioè, abituati a cavillare, spaccando il capello in quattro, paradigmaticamente conflittuali e, come tali, pronti a sollevare ogni genere di eccezione (comprese quelle - nuovissime - di natura telematica) per controbattere l'avversario.

E sappiamo anche da dove veniamo. Veniamo da un sistema legislativo/giudiziario arruffone, inefficiente e, soprattutto, contrario ad ogni forma di novità, specie se essa intacca (come nel caso dell'introduzione della telematica nella vita forense) rendite di pura posizione, conseguenti aree di potere personale, strutture burocratiche ramificate di stampo medievale e simili ambiti, più o meno occulti, di pura autoaffermazione individuale, assolutamente esiziali per la resa del sistema nel proprio complesso.

Questo, dunque, il quadro in cui si innesta la cosiddetta rivoluzione informatica odierna. Rivoluzione che rivoluzione, in realtà non è, quantomeno sul terreno del diritto processuale, visto che il suo avvento ha semplicemente introdotto un nuovo modo di gestire/visionare i fascicoli ed organizzare i depositi in cancelleria e non ha, invece, creato alcuna forma di processo telematico "vero" (in udienza continueremo ad andarci ancora per un po"di persona, insomma).

Il preteso carattere rivoluzionario di cui tutti parlano, dunque, si gioca su un terreno del tutto diverso da quello, futuribile, di un processo completamente digitalizzato; si gioca, cioè, sul terreno sopra descritto alla voce: "da dove veniamo".

E' chiaro, infatti, che per un sistema ostinatamente abbarbicato a logiche e metodi operativi otto/novecenteschi, il solo fatto di dover mettere in discussione carta, penna e calamaio e di doverli sostituire con bit, impone un salto di mentalità talmente importante da comportare rischi di cortocircuiti sistemici altrettanto rilevanti (un esempio è quello della proverbiale "copia di cortesia", su cui, peraltro, si intrattengono anche diversi protocolli PCT, in ordine ai quali si dirà infra al paragrafo IV.4 o quello della "busta telematica, di cui parleremo al par. I.2.a).

I.2. Sistema informatico e sistema forense: il rischio del cortocircuito

Premesso un tale contesto, aggiungiamo che chiunque abbia una minima confidenza con l'informatica (in quanto sistema, non in quanto strumento), conosce una verità banalissima: un sistema informatico, oltre ad essere concepito in modo ineccepibile e maniacalmente controllato e ricontrollato durante la sua operatività, deve, una volta entrato a regime, funzionare perfettamente, continuativamente e dappertutto (cioè, nel nostro caso, in ogni ufficio giudiziario). Non un po"sì e un po"no. Non a tratti. Non a macchia di leopardo. Deve, in altre parole, trattarsi di una struttura plug and play e non, come si diceva ai tempi di Windows 95, plug and pray.

Ciò non è per certo accaduto nel caso del PCT, sistema andato a regime in versione palesemente "beta" di per sé destinato ad innestarsi in un ambiente - quello forense - che, un po"per formazione degli operatori, un po" per l'incancrenirsi di ruoli, poteri e burocrazie cui ci si è sopra riferiti, funziona in modo tutt'altro che perfetto.

Peraltro, tale situazione di partenza, già di per sé non brillante, è stata ulteriormente complicata dal fatto che il codice processuale civile si ispira, per forza di cose, ad un modello completamente cartaceo di processo e, a parte alcune "pezze" messe qua e là, poggia su fondamenta del tutto diverse da quelle sulle quali dovrebbe fondarsi un processo di tipo telematico.

Per effetto di ciò la tradizionale regola processuale di rango primario è stata variamente affiancata (ma anche integrata, quando non superata) da un ormai cospicuo numero di fonti di livello inferiore aventi contenuto essenzialmente tecnico: normative delegate di diversa natura, provvedimenti amministrativi di vario tipo, sino alle circolari ministeriali, ai protocolli approvati localmente e a quant'altro.

Il che, se ha contribuito, sul piano delle prassi quotidiane tecnico/operative, a dipanare le diverse matasse telematiche che si sono di volta in volta presentate sulla strada del PCT, ha tuttavia lasciato assolutamente impregiudicato, sul piano propriamente giuridico, il problema della valutazione di quelle stesse matasse da parte dei giudici, i quali, dal canto loro, manifestano inevitabilmente la tendenza a rifarsi ai tradizionali punti di riferimento "cartacei" tuttora propri del processo civile.

Insomma, siamo di fronte, come si diceva, ad un pericoloso rischio di cortocircuito tra realtà operativa e diritto, le cui conseguenze, non tanto sul piano tecnico, dove si muovono gli sviluppatori, quanto su quello giuridico, dove operano avvocati e giudici, sono del tutto imprevedibili.

I.2.a. Un esempio di cortocircuito: costituzione in giudizio e dimensioni massime della busta telematica

Un esempio di tale cortocircuito si ha in materia di costituzione in giudizio delle parti: atto piuttosto scontato ed usuale nella logica processuale cartacea, ma che l'avvento della telematica rende foriero di ostacoli insidiosi e conseguenti "errori fatali"

Premettiamo doverosamente che la costituzione in giudizio per via telematica, la cui possibilità viene data per acquisita (almeno a certe condizioni) da diversi osservatori e dallo stesso Ministero della Giustizia (v. il punto 1 della circolare Min. Giustizia 27/06/214 e l'all. 1 della circolare DGSIA dell'08/07/2014), in realtà è un atto che la giurisprudenza tende a dichiarare non ammissibile.

Di questo argomento si parlerà più approfonditamente nel seguito dell'articolo (v. par. II.1 e ss.). Per ora, invece, si darà per un momento (e solo per un momento) per ammessa la possibilità di ricorrere legittimamente al mezzo informatico per costituirsi in giudizio, nell'intento di verificare il rapporto che viene in tal modo a determinarsi tra abitudini processuali cartacee e la nuova realtà telematica.

I.2.b. La regolamentazione cartacea della costituzione in giudizio

Come noto, la costituzione in giudizio delle parti è regolata dagli articoli 165 e 166 del codice di rito.

L'attore, ex art. 165 C.P.C., deve costituirsi depositando «in cancelleria la nota d'iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione».

Il convenuto, ex art. 166 C.P.C., deve costituirsi depositando «in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo seguente con le copie necessarie per le altre parti, la copia della citazione notificatagli, la procura e i documenti che offre in comunicazione».

I.2.c. Analogie e differenze tra due mondi: deposito cartaceo v/ busta telematica

Senonché, l'atto del "depositare in cancelleria" si svolge con modalità alquanto diverse nel processo virtuale/digitale, rispetto a come gli artt. 165 e 166 C.P.C. appena citati lo cristallizzano nel tradizionale processo reale/cartaceo.

Nella realtà cartacea, infatti, un essere umano si reca fisicamente presso la cancelleria, portando con sé una certa quantità di atti e documenti, normalmente contenuti, a seconda della quantità e del relativo ingombro, all'interno di una cartellina/valigetta/borsa/trolley e simili. Una volta pervenuto in loco, deposita materialmente sul tavolo del cancelliere tali documenti; quest'ultimo, indi, ne rilascia un "depositato" con l'apposito timbro ad inchiostro.

Nel processo virtuale/digitale, invece, quegli stessi atti/documenti vanno previamente convertiti in formato elettronico (PDF), firmati digitalmente ed infine spediti a mezzo PEC al cancelliere, tramite inserimento degli stessi all'interno di un apposito contenitore digitale, detto "busta" telematica. Il sistema automatizzato e lo stesso cancelliere provvederanno, poi, a confermare la ricezione di tale busta mediante analoghi processi di "depositato" telematico.

I puristi della tecnica informatica ed i colleghi telematici scuseranno la ricostruzione approssimativa di cui sopra, che pareva, però, utile ad evidenziare come, al di là delle evidenti analogie (in entrambi i casi, a ben guardare, si depositano in cancelleria atti e documenti), tra le due metodologie appena illustrate esista una differenza di rilievo: il contenitore deputato al trasporto degli atti.

Nel processo reale/cartaceo, infatti, il contenitore deputato al trasporto dei documenti (cartellina/valigetta/borsa/trolley) può variare in dimensioni e numero a seconda delle esigenze: così, alla necessità di costituirsi in giudizio con atti e fascicoli di centinaia e centinaia di pagine potrà sopperirsi recandosi in cancelleria più volte e/o portando con sé contenitori via via più capienti a seconda delle esigenze.

Nel processo digitale, viceversa, tale contenitore è rappresentato dalla "busta" telematica, la cui capienza è limitata: il che, unitamente ad altre limitazioni tecniche del sistema, rappresenta, come si sta per vedere, un problema.

I.2.d. Il problema delle dimensioni limitate della busta telematica: soluzione e dubbi

La dimensione massima della «busta» telematica in questione è stabilita dall'art. 13, 8° co, D.M. 21/02/2011, n. 44, che rinvia all'art. 14, 3° co., del provv. DGSIA del 16/04/2014, il quale a sua volta si fonda sull'art. 12, 2° co., D.M. 02/11/2005: tale misura è pari, al massimo, a 30 mb.

Vero ciò, cosa succede allora quando l'attore si trovi a dover inviare, al momento della iscrizione telematica a ruolo, atti e fascicoli digitali che, sebbene adeguatamente compressi, superino tale "peso" massimo consentito?

Il problema (determinato anche dal fatto che, allo stato, se il fascicolo non è stato iscritto a ruolo non è possibile effettuare più invii telematici di materiale) è stato risolto in modo empirico dalla circolare DGSIA 08/07/2014, la quale ha ipotizzato un sistema a fasi successive, come appresso schematizzabili:

  • l'avvocato effettua un primo invio di atti, procura documenti e iscrizione a ruolo, riempiendo la "busta" sino al limite di 30 mb;
  • il cancelliere iscrive a ruolo;
  • l'avvocato aspetta che gli venga comunicato il numero di ruolo ed indi «tempestivamente» (tale la dizione testuale utilizzata) invia il resto degli atti e documenti, seguendo alcune prescrizioni operative, tra cui è ricompresa quella di utilizzare la voce «produzione documenti richiesti».

Una soluzione, quest'ultima, che apre il varco a più di una perplessità, alla luce, ad esempio, del fatto che il codice di rito fondamentalmente "consuma" l'iscrizione a ruolo in un unico atto, in cui il deposito degli atti e l'iscrizione a ruolo avvengono pressoché contestualmente (art. 165 C.P.C.): dunque, in tale preciso momento maturano le preclusioni rispetto ad ulteriori produzioni documentali (quando previste) e sempre con riferimento a tale preciso momento è possibile calcolare la tempestività dell'iscrizione allorquando ad essa sia posto un termine (come nel procedimento ordinario di cognizione ex art. 165 C.P.C. ed in altri).

Che succede, allora, nel contesto del procedimento trifasico prospettato dalla circolare DGSIA 08/07/2014 sopra esaminata, allorquando l'atto di iscrizione a ruolo determini la preclusione di ulteriori produzioni documentali? Come farà, in tal caso, l'avvocato ad inviare atti e/o documenti successivamente all'iscrizione stessa?

E quid se il cancelliere, perché assente, oberato o semplicemente svogliato, tardasse ad iscrivere a ruolo e, magari, la relativa comunicazione di avvenuta iscrizione pervenisse all'avvocato a termine per iscrivere a ruolo già trascorso?

E che significa, ancora, l'avverbio «tempestivamente» adoperato dalla DGSIA con riferimento all'attività di inoltro che l'avvocato deve porre in essere successivamente alla ricezione della notizia dell'avvenuta iscrizione? «Tempestivamente» rispetto a cosa? E che conseguenze discendono dall'eventuale mancata "tempestività"?

I.2.e. La deregulation del codice di rito

Nell'attesa che le problematiche in questione vengano risolte a livello tecnico (il ministero prevede che ciò avverrà nell'autunno di quest'anno), restano frattanto i dubbi di cui sopra e chissà quanti altri.

Ce ne occuperemo quando essi si trasformeranno in altrettante "eccezioni telematiche" e nelle corrispondenti pronunce giurisprudenziali in rito.

Ciò che preme ora evidenziare, invece, è come l'intera regolamentazione delle dimensioni della busta telematica - e, dunque, delle conseguenze che tale elemento tecnico riflette sulla costituzione in giudizio delle parti ex artt. 165 e 166 C.P.C., - ha rango giuridico secondario (decreto ministeriale), quando non ulteriormente subordinato (provvedimento DGSIA), se non è, addirittura, priva di dignità normativa (circolare DGSIA e - qui non sono stati richiamati, ma esistono - i diversi protocolli formali adottati nei vari tribunali, che si esamineranno oltre al paragrafo IV.4).

Il che ci pone innegabilmente di fronte ad una sostanziale delegificazione, se non ad una vera e propria deregulation, della materia processuale civile, dinanzi alla quale sono state già poste in essere eleganti acrobazie interpretative nell'intento di rinvenire una qualche fonte giuridica primaria che ne legittimi l'impatto sul codice di rito (fonte, cerchiamo di non dimenticarlo mai, di rango indiscutibilmente primario).

Un fenomeno dalle conseguenze molto concrete, come emerge nell'affrontare la questione della legittimità o meno della costituzione telematica in giudizio, cosa che ci si accinge a fare.

 


- II - LA GIURISPRUDENZA


II.1. E" possibile costituirsi telematicamente?

Come si è premesso all'inizio del paragrafo precedente, l'affaire "dimensioni della busta telematica" appena esaminato postulava che le parti potessero legittimamente utilizzare il mezzo informativo per costituirsi in giudizio.

Ma, facendo logicamente un passo indietro occorre prima di tutto chiedersi: ma è davvero possibile costituirsi in giudizio utilizzando il PCT?

Stando alla giurisprudenza sino ad ora apparsa sul tema si direbbe proprio di no.

I precedenti di merito che risultano editi (ad eccezione di uno – Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014 – il quale, per sintesi e chiarezza, merita un discorso a parte, che si svolgerà nella parte conclusiva di questo articolo, al par.V.2), infatti, pur con sfumature diverse tra loro hanno costantemente negato alle parti la possibilità di costituirsi in giudizio in via telematica.

II.1.a. Il caso deciso da Trib. Foggia, 10/04/2014: inammissibilità

Cominciamo dalla fattispecie presa in esame dal Tribunale di Foggia, che è molto semplice.

Un (malcapitato) ricorrente per ATP deposita il proprio ricorso introduttivo in via telematica ed il giudice, rammentato che

«il decreto del Ministero della Giustizia che ha autorizzato il deposito di atti telematici con valore legale da parte di soggetti esterni al Tribunale di Foggia a far data dal 15 gennaio 2014 ha espressamente individuato tra di essi i soli atti endoprocessuali - in linea con la precisione dell'art. 16 bis d.l.179/2012 che menziona atti processuali e documenti dei difensori delle parti precedentemente costituite - tra cui, per certo, non rientra l'atto di citazione o il ricorso introduttivo del giudizio»,

dichiara inammissibile il ricorso.

II.1.b. Il caso deciso da Trib. Torino 15/07/2014: inammissibilità

Anche il Tribunale di Torino affronta una fattispecie similare, e la risolve in modo identico a quello appena visto, ancorché tramite passaggi più scanditi e chiaramente espressi.

Ricevuto un ricorso ex art. 700 C.P.C., infatti, il tribunale premesso che

«ex art.16 bis L. 17.12.12 n. 221, a decorrere dal 30.6.14 nei procedimenti civili dinanzi al tribunale il deposito degli atti processuali con modalità telematiche riguarda solo le parti precedentemente costituite, non essendo contemplato il deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio»;

ed aggiunto che

«il Decreto Dirigenziale del Ministero della Giustizia in data 30.4.2013 riguardante il Tribunale di Torino, emesso ai sensi dell"art. 35 D.M. 21.2.2011 n.44, prevede l"attivazione del processo civile telematico (trasmissione dei documenti informatici) solo relativamente agli atti del giudizio che presuppongono la già avvenuta costituzione delle parti, con esclusione degli atti introduttivi del giudizio civile»;

conclude che

«alcuna norma dell"ordinamento processuale consente il deposito in forma telematica dell"atto introduttivo del giudizio, con la conseguenza che il relativo ricorso dev"essere dichiarato inammissibile».

II.1.c. Il caso deciso da Trib. Pavia 22/07/2014: inammissibilità

Il Tribunale di Pavia, dal canto suo, viene investito della questione nell'ambito di un procedimento di cognizione e, sulla premessa che, ai sensi dell'art. 16 bis D.L. 18/10/2012, n. 179 (conv. in L. 221/2012), «il deposito con modalità telematica è previsto esclusivamente per gli atti processuali delle parti già costituite», dichiara inammissibile la costituzione telematica della parte convenuta.

Vale la pena segnalare che, nella specie, la (sfortunata) parte convenuta è stata - sì - invitata a costituirsi in giudizio nuovamente in via cartacea, ma con la contemporanea espressa declaratoria della decadenza da tutte le eccezioni di rito e di merito non rilevabili d"ufficio.

II.1.d. Il caso deciso da Trib. Padova, 03/09/2014: inammissibilità

Anche il Tribunale di Padova, poi, accoglie un'eccezione di inammissibilità della costituzione telematica del convenuto, sulla base, tuttavia, di un percorso argomentativo più ampio e complesso di quelli (piuttosto sbrigativi) appena visti i cui passaggi essenziali sono così riassumibili:

  • l'art. 16 bis del D.L. 18/10/2012, n. 179 (conv. in L. 221/2012) - che testualmente consente il deposito telematico solo alle parti già costituite - non prevede la costituzione in giudizio per via telematica, ma neppure la proibisce espressamente;
  • il deposito telematico degli atti introduttivi, dunque, in quanto modalità idonea al raggiungimento dello scopo previsto dalla legge processuale, resta una facoltà delle parti, cui esse possono tuttavia ricorrere solo in presenza di una specifica previsione autorizzativa del decreto DGSIA ex art. 35, 1° co., D.M. 21/02/2011, n. 44, in mancanza della quale tale modalità di deposito è priva di valore legale;
  • dunque, mancando nella specie la predetta specifica autorizzazione DGSIA, gli atti di costituzione in giudizio avrebbero potuto legittimamente essere depositati in cancelleria su supporto cartaceo (art. 166 e 167 C.P.C.) e la costituzione telematica svolta dal convenuto è dichiarata inammissibile (con i conseguenti effetti, non esplicitati, ma ben immaginabili).

II.1.e. Il caso (particolare) deciso da Trib. Milano, Sez. Lav., 08/02/2013: inammissibilità

Veniamo, poi, alla Sezione Lavoro del Tribunale di Milano, dove la fattispecie della costituzione telematica in giudizio viene affrontata in una prospettiva diversa da quelle appena viste.

Non, cioè, nell'ottica della legittimità o meno del ricorso a tale tipo di costituzione secondo la normativa tecnica vigente, come nelle decisioni sino ad ora esaminate, bensì in quella della compatibilità con il principio del contraddittorio dei limiti posti all'attività delle parti a causa di carenze tecniche del sistema informatico, nonché nell'ottica di individuare il soggetto su cui deve ricadere il rischio dell'esistenza di tali limiti.

In un procedimento giuslavoristico la parte ricorrente si costituisce telematicamente e quella resistente, comparsa in prima udienza, eccepisce l'inammissibilità della costituzione telematica dell'avversario per violazione del diritto alla difesa.

Il resistente, infatti, assume di non aver potuto accedere telematicamente al fascicolo e, dunque, di non aver potuto prendere visione di atti e documenti nei termini previsti (in effetti, la possibilità di accedere al fascicolo per le parti non costituite è una conquista tecnica recente, risalente, se non si va errati, al rilascio dell'aggiornamento delle specifiche tecniche deposito atti del 25/06/2014; sul punto si veda pure il punto 11 della circolare Min. Giustizia 27/06/214).

Il giudice, richiamato l'art. 76 disp. att. C.P.C., secondo cui «le parti o i loro difensori regolarmente costituiti possono esaminare gli atti e i documenti inseriti nel fascicolo d'ufficio e in quelli delle altre parti e farsene rilasciare copia pur senza prendere alcuna posizione sulla possibilità o meno per le parti di ricorrere alla costituzione telematica», dichiara nulla «la costituzione del ricorrente e di conseguenza l'improcedibilità dell'azione» per «violazione del principio del contraddittorio addebitabile ad un vizio del sistema informatico».

La ratio (peraltro discutibile) della decisione del giudice milanese, dunque, sembra poter essere così riassunta:

  • i limiti posti da eventuali carenze del sistema informatico all'attività difensiva delle parti non sono compatibili con il principio del contraddittorio;
  • il rischio dell'esistenza di tali rischi ricade sulla parte che vi ha dato causa avvalendosi del sistema stesso (adde: potendo non farlo, ovverosia in regime di non obbligatorietà del ricorso al PCT, come attualmente accade nel caso della iscrizione a ruolo).

II.1.f. Il caso deciso da Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014: rinvio

Mentre si stava concludendo la stesura di questo articolo si è rinvenuto il precedente di Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014, che opera un completo ribaltamento dell"orientamento sopra esaminato e si segnala, altresì, per chiarezza, sinteticità e solidità di visione giuridica.

In ordine a tale precedente si rinvia a quanto si dirà nel paragrafo conclusivo del lavoro (par.V.2).

II.2. Cinque su sei. Non c'è male: qualche prima considerazione

Le pronunce appena esaminate (tranne l"ultima) sono state commentate in modo alquanto severo da diverse voci, ma non se ne può certo prescindere se non si vuole cadere in una trappola: esaminare il dato reale (che nel nostro caso è la norma vivente nell'interpretazione giurisprudenziale data) come si vorrebbe che fosse piuttosto che com'è.

Pur condividendo, dunque, l'ansia di favorire il più possibile l'utilizzo del mezzo informatico liberando la strada da ostacoli di natura tecnico/formale, l'atteggiamento non certo favorevole alla costituzione telematica in giudizio che si va manifestando in giurisprudenza impone, almeno a parere di chi scrive, di ricorrere ad un approccio più critico e prudente alla questione.

Un primo passo in tale direzione passa attraverso la constatazione che, quando si parla di processo civile telematico, le considerazioni di tipo giuridico si scontrano inevitabilmente, ed in qualche modo cedono il passo, ad esigenze di natura puramente tecnica e che sono queste ultime, dunque, a volte a prevalere nei fatti.

Ciò, in assenza di una piena e matura consapevolezza degli operatori (ed in primo luogo dei giudici) in ordine ai nuovi problemi che l'avvento del processo telematico pone loro, rischia di portare ad un'applicazione formale e pedissequa di regole e regolette di natura meramente tecnica, con effetti potenzialmente disastrosi sull'attività giuridica (nullità, inammissibilità, improcedibilità, decadenze etc.) delle parti.

E poiché la regola tecnica è per sua natura dettagliata e pedante (e, proprio per tale natura, è affidata alla normazione di rango secondario), il tutto rischia di far regredire il sistema al tempo delle legis actiones, ove i processi si perdevano per la sola ragione di non aver utilizzato l'esatta terminologia prescritta e che - scomodando Gaio - «a poco a poco vennero in odio, ed infatti per l'eccessiva pignoleria degli antichi, i quali fondarono il diritto, la cosa giunse al punto che chi avesse commesso un errore minimo perdeva la lite».

Non è certo questo ciò che l'avvento del PCT si proponeva di realizzare. Anzi: è esattamente il contrario di quanto il legislatore aveva in mente nell'introdurre la metodologia telematica.

Vero ciò, dunque, gli atteggiamenti esasperatamente formalistici che si sono sopra visti, oltre a porsi in chiaro contrasto con alcuni principi processuali (primo tra tutti quello del raggiungimento dello scopo) e, almeno in alcuni casi, anche con considerazioni di elementare buon senso, contrastano la stessa ratio dell'intero sistema: essi, dunque, sono ragionevolmente destinati ad essere superati con il progredire della consapevolezza giuridica in ordine ai problemi posti dalle nuove "eccezioni telematiche" di cui stiamo trattando.

Ma questa è una previsione (o, almeno, un auspicio) e, come tale, vale solo de futuro. Che fare, invece, qui e ora?

L'avviso di chi scrive è che la situazione data suggerisca di "andare sul sicuro":

  • approfondendo attentamente le fonti del PCT (non solo quelle settoriali, che non sono poche, ma anche quelle deputate a risolvere i conflitti tra norme di rango diverso, prima tra tutte, l"art. 17 della L. 23 agosto 1988, n. 400);
  • evitando, comunque, di ricorrere "spensieratamente" alle facoltà processuali informatiche e, nel dubbio (come nel caso della costituzione telematica, ma anche in altri sui quali avremo occasione di intervenire in futuro) se possibile evitare di farvi ricorso. E" bene ricordare che la tecnica potrà anche essere invisa ai più, ma possiede una caratteristica preziosa: evolve immancabilmente. Dunque, ciò che oggi è dubbio (leggi, ad es.: limite massimo di capienza della busta telematica pari a 30 mb), domani, grazie alla patch che sicuramente arriverà, sarà perfettamente possibile.

E, posto che quest'ultimo aspetto è frutto del livello di precauzione/prudenza che alberga nell'animo di ciascuno di noi e, dunque, è rimesso alla discrezionalità di ciascuno di noi, nel seguito dell"articolo ci concentreremo sul primo, analizzando, per quanto possibile, le fonti rilevanti in materia di costituzione telematica e cercando di trarne alcune possibili indicazioni operative.

 


- III - LA NORMATIVA


Al di là di alcune differenze nei rispettivi percorsi motivazionali, ciò che colpisce nelle decisioni sopra analizzate è che esse si fondano su richiami promiscui ad una serie di norme di rango diverso tra loro (atti propriamente normativi, decreti ministeriali, provvedimenti amministrativi emessi dalla DGSIA etc.) senza un'effettiva verifica dei rapporti, sul piano della gerarchia delle fonti, tra tali norme e tra il complesso di queste ultime e la normativa processuale previgente.

Ed invece, almeno a parere di chi scrive, questo è un problema, anzi è "IL" problema soprattutto alla luce del fatto che la normativa in materia di processo telematico è frutto di una complessa stratificazione di numerosi interventi di differente natura, anche molto risalenti nel tempo, e, dunque, è tutt'altro che agevole da ricostruire e coordinare, anche e soprattutto nei riguardi del sistema processuale delineato dal codice di rito.

III.1. La normativa del pct: un lungo cammino

Ed infatti il processo telematico non è un'invenzione recente, ma un concetto che prende le mosse da un più ampio disegno di informatizzazione dell'intera pubblica amministrazione (e, dunque, anche dell'amministrazione della giustizia, che rappresenta una delle partizioni essa).

Così, già nel 1992 l'art. 2, 1°co., lett. mm), L. 23/10/1992, n. 421, «al fine del completamento del processo di informatizzazione delle amministrazioni pubbliche e della più razionale utilizzazione dei sistemi informativi automatizzati», delegava il governo a

«procedere alla revisione della normativa in materia di acquisizione dei mezzi necessari; prevedendo altresì la definizione dei relativi standard qualitativi e dei controlli di efficienza e di efficacia; procedere alla revisione delle relative competenze e attribuire ad un apposito organismo funzioni di coordinamento delle iniziative e di pianificazione degli investimenti in materia di automazione, anche al fine di garantire l'interconnessione dei sistemi informatici pubblici».

A ciò fece seguito, nell'anno 1993, il D. LGS. 12/02/1993, n. 39, recante «Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche, a norma dell'art. 2, comma 1, lettera mm), della legge 23 ottobre 1992, n. 421» e, successivamente, l'art. 15, 2° co., L. 15/03/1997, n. 59 (cd. legge Bassanini recante «Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa»), il quale, dopo aver stabilito che

«gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge»,

delegava nuovamente il governo ad emanare specifici regolamenti per determinare i «criteri e le modalità di applicazione» di tale disposizione.

Su tale base vennero adottati il D.P.R. 10/11/1997, n. 513 (contenente la normativa in materia di documento informatico e firma digitale, che sarebbe stata superata, nell'anno 2000, dal T.U. delle disposizioni in materia di documentazione amministrativa e, nell'anno 2005, dal Codice dell'Amministrazione Digitale) e, poi, per quanto qui direttamente interessa, il D.P.R. 13/02/2001, n. 123, «Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti», che segna, se così si può dire, il "punto zero" del percorso normativo del processo telematico snodatosi nel corso del tempo sino ai giorni nostri.

Una cammino durato anni (ed ancora destinato a durare), nel corso del quale si è creata una vera e propria "massa critica" normativa dal contenuto vario, nuovo ed innovativo, destinata ad impattare su ambiti (il processo civile, per quanto qui interessa direttamente, ma anche il processo tributario, amministrativo etc.), già regolamentati in modo tradizionale e "cartaceo" dal codice di rito.

L'effetto "de-codificante", prima, e schiettamente "de-legificante" poi, di tale impatto, insieme alle conseguenze di esso in termini di crescente incertezza in ordine ad alcuni aspetti processuali di rilievo (quali la costituzione in giudizio per via telematica) erano ampiamente prevedibili e di essi si è già discusso al precedente paragrafo I.2.e.

Ora, invece, il ragionamento deve prendere un'altra direzione. Deve, cioè, contribuire per quanto possibile a ritrovare il filo della delicatissima materia processuale, confuso, se non perduto, nell'innovativo melting pot che si è venuto a creare con l'avvento, peraltro solo parziale, della telematica.

E per far ciò, altro modo non c'è se non tornare ai fondamentali e ripartire dalla base del nostro lavoro: la ricognizione delle fonti.

III.2. Le fonti

Come si è accennato al paragrafo precedente, la regolamentazione del processo telematico è datata (risale nel tempo agli anni '90), stratificata (molti provvedimenti sono stati più volte modificati da atti successivi), diversificata sia quanto all'oggetto (norme propriamente processuali si intersecano con quelle dettate in tema di PEC, firma digitale, documento informatico etc.), sia quanto alla provenienza (atti di rango primario si affiancano a normativa delegata di livello inferiore e ad atti amministrativi o d'altro genere, quali i provvedimenti DGSIA, le circolari o i protocolli operativi), tecnicamente ostica, infine, per chi non possieda almeno le nozioni base della "lingua" informatica.

Una ricognizione davvero completa di tali fonti, dunque, è compito che va oltre gli scopi che si prefigge questo articolo, il quale si limita a tentare di ricostruire le principali disposizioni utili a risolvere il problema che ne costituisce l'oggetto (la validità o meno della costituzione in giudizio per via telematica).

Una specie di "minicodice mirato", cioè, che possa servire quantomeno a fornire un primo orientamento di massima e nel quadro del quale non saranno presi in considerazione, altri aspetti, pure importanti ma non strettamente inerenti al tema (quali PEC, firma digitale etc.).

III.2.a. L'art. 17 L. 23/08/1988, n. 400

Paradossalmente, la prima norma che si è pensato di inserire in questo "minicodice" non riguarda né il processo telematico, né altri aspetti attinenti all'informatica giuridica, ma concerne, invece, la gerarchia delle fonti e, nel caso particolare, la disciplina dei regolamenti.

Il dato, a ben guardare, non è poi così paradossale se si riflette sul fatto che le sentenze esaminate nella prima parte di questo articolo (si vedano, ad esempio, il caso deciso dal Tribunale di Torino – v. par. II.1.b - e quello esaminato dal Tribunale di Padova – v. par. II.1.d) sono pervenute a dichiarare la nullità di un attività processuale le cui modalità operative sono previste dal codice di rito (costituzione in giudizio) per il tramite del richiamo a normative di natura regolamentare (nella fattispecie: art. 35, 1° co., D.M. 21/02/2011 n. 44) e/o a provvedimenti di carattere meramente tecnico/amministrativo da tale normativa regolamentare previsti (nella fattispecie costituiti dai provvedimenti di competenza della DGSIA finalizzati ad accertare l'idoneità tecnica dei singoli Fori all'attivazione del PCT).

Stando così le cose, occorre allora interrogarsi su alcuni aspetti che coinvolgono necessariamente il disposto dell'art. 17 L. 23/08/1988, n. 400. Ad es:

  • che tipo di regolamento è il D.M. 21/02/2011, n. 44? Un regolamento esecutivo (art. 17 L. 400/1988 cit., 1° co., lett. a), attuativo (art. 17 L. 400/1988 cit.,1° co., lett. b), indipendente (art. 17 L. 400/1988 cit.,1° co., lett. c), di delegificazione (art. 17 L. 400/1988 cit., 2° co.)?
  • conseguentemente, quale è il suo livello di forza nell'incidere sul tessuto normativo preesistente? Può integrare, se non contrastare, principi processual-codicistici (come, ad esempio, quello del raggiungimento dello scopo contenuto nell'art. 156 C.P.C.)?
  • può un tale regolamento - per definizione delegato da una fonte di rango superiore - a sua volta delegare un organo amministrativo (DGSIA) ad adottare provvedimenti tecnico/ricognitivi, la cui mancata emanazione spieghi effetti preclusivi rispetto ad attività processuali fondamentali, quali la costituzione in giudizio delle parti?
  • ed è, o meno, esso un provvedimento di cui è concepibile l'eventuale disapplicazione da parte del giudice?

Ecco, dunque, che la natura particolare e composita della regolamentazione dettata in tema di processo telematico cui si è sopra accennato rende fondamentale la norma qui in esame per la risoluzione del problema relativo alla legittimità della costituzione telematica in giudizio.

III.2.b. L'art. 2, 1° co., lett. mm), L. 23/10/1992, n. 421

L"art. 2, 1° co., lett. mm), L. 421/1992 costituisce la norma di riferimento in materia di informatizzazione della P.A. in generale, ma, in realtà, fonda lo stesso processo telematico, posto che proprio in base ad essa venne adottato, prima, il D.LGS. 12/02/1993, n. 39 (il quale dettava norme generali in materia di informatizzazione della P.A.) e, poi, il fondamentale D.P.R. 13/02/2001, n. 123, "punto zero", come si è detto, del cammino dell'informatizzazione del processo, per il contenuto del quale si rinvia a quanto si dirà in seguito.

III.2.c. L'art. 15, 2° co., L. 15/03/1997, n. 59

Anche l'art. 15, 2° co., L. 59/1997 (cd. legge Bassanini), pur non riguardando in via diretta il PCT, possiede indubbio rilevo in materia.

Tale norma, infatti, come emerge dalla sua semplice lettura, ebbe a conferire (e tuttora conferisce) piena valenza legale:

  • agli «atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici»,
  • nonché alla loro «trasmissione con strumenti informatici».

Il tenore letterale della disposizione in esame - che legittima la trasmissione con mezzi informatici di atti e documenti formati telematicamente, tra i quali certamente rientrano gli atti telematici processuali di costituzione in giudizio - sembra già di per sé suggerire soluzioni del tutto opposte a quelle che sono state adottate dalla giurisprudenza in materia di costituzione telematica delle parti.

III.2.d. Gli artt. 4 e 9 D.P.R. 13/02/2001, n.123

Come si è giù accennato, il D.P.R. 13/02/2001, n. 123 («Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti») riveste un ruolo centrale nella storia del processo telematico e le disposizioni negli articoli 4 e 9 di esso, qui in esame, possiedono a loro volta fondamentale importanza per la soluzione delle problematiche interpretative ricollegate alla costituzione telematica in giudizio.

Se, infatti,

  • come recita la prima parte del 1° comma dell'art. 4 D.P.R. 13/02/2001, n. 123, «tutti gli atti e i provvedimenti del processo possono essere compiuti come documenti informatici»;
  • e se, dal canto suo, il tenore dell'art. 9 del medesimo provvedimento, nel regolamentare le incombenze relative «all'iscrizione a ruolo o alla costituzione in giudizio per via telematica», dà evidentemente per scontata la legittimità di tale attività;

si finisce nuovamente con l'avallare una soluzione del tutto opposta a quella fatta propria dalla giurisprudenza che considera nulla la costituzione telematica delle parti (e ciò a maggior ragione, se si raccorda il testo delle norme in questione con quello dell'art. 15, 2° co., L. 15/03/1997, n. 59 in precedenza esaminato e con quanto si sta per vedere sub art. 45 D.LGS 07/03/2005, n. 82).

Va per completezza aggiunto che, con specifico rifermento al D.P.R. 13/02/2001, n. 123 di cui si sta ora discutendo resta aperto un importante interrogativo relativo al rapporto tra tale disposizione ed il successivo art. 37 D.M. 21/02/2011, n. 44, il quale, come si vedrà, ha dichiarato la cessazione dell'efficacia nel processo civile delle disposizioni contenute nel detto DPR 123/2001.

Interrogativo, quest'ultimo, la risposta al quale ci riporta ancora una volta ad un problema di gerarchia delle fonti, visto che, stando al disposto della parte finale del 3° comma dell'art. 17 L. 23/08/1988, n. 400 (che recita: «I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo»), il regolamento ministeriale di cui al D.M. 21/02/2011, n. 44 non sembrava (e non sembra) dotato della forza giuridica necessaria a porre nel nulla il regolamento governativo di cui al D.P.R. 13/02/2001, n. 123.

III.2.e. L'art. 45 D.LGS 07/03/2005, n. 82

L'art. 45 del CAD (Codice dell'Amministrazione Digitale) riveste un ruolo all'evidenza centrale - stante l'oggetto del provvedimento legislativo in cui si colloca - in materia di attività telematiche ed è, dunque, assai significativo constatare che anch'esso si pone nel solco già tracciato dalla legge "Bassanini" e dal D.P.R. 123/2001, riconoscendo piena efficacia legale alla trasmissione telematica di documenti da parte di privati alla P.A.

E poiché l'amministrazione della giustizia altro non è se non una particolare articolazione della P.A. e la costituzione telematica in giudizio di cui qui ci stiamo occupando altro non è se non una particolare forma di trasmissione documentale per via informatica a tale amministrazione, sembra davvero arduo mettere in dubbio la legittimità dell'attività processuale in discorso.

III.2.f. L'art. 4, 1° co., D.L. 29/12/2009, n. 193

La disposizione ora in esame ha fondato l'emanazione, da parte del Ministro della Giustizia, del regolamento contenente le regole tecniche per l'adozione del PCT nel processo civile e penale (D.M. 21/02/2011, n. 44, cui si è già accennato e del quale si tratterà ancora subito appresso).

Il rilievo della norma sta nella sua formulazione, la quale richiama espressamente, tra i principi fondanti l'emananda regolamentazione tecnica, quelli previsti dal Codice dell'Amministrazione Digitale sopra citato, in tal modo sancendo l'integrazione tra questi ultimi e la normativa concernente il processo telematico.

Se si ricorda, allora, che l'art. 45 di detto Codice dell'Amministrazione Digitale appena discusso pone il principio della piena validità della trasmissione telematica documentale tra privati e P.A. (amministrazione del giustizia compresa), un nuovo ed ulteriore elemento rafforza i dubbi circa l'indirizzo giurisprudenziale negativo maturato in tema di costituzione telematica che si è esaminato nella prima parte del presente articolo.

III.2.g. Gli artt. 13, 34, 35 e 37 D.M. 21/02/2011, n. 44

Le disposizioni regolamentari che si sono estrapolate dal D.M. 21/02/2011, n. 44 per inserirle in questo 'minicodice" riguardano, rispettivamente:

  • il valore legale della trasmissione dei documenti informatici (art. 13 D.M. cit., che devesi integrare, quanto alla disciplina dell'orario limite per il deposito, con il disposto dell'art. 16-bis, 7° co., D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012, come emendato dal D.L. 90/2014, conv. in L. 144/2014);
  • la delega al responsabile SIA per l'emanazione delle specifiche tecniche (art. 34 D.M. cit.), sulla base del quale sarebbero stati emanati il provvedimento del 18/07/2011 ed indi quello del 16/04/2014, attualmente in vigore (v. par. IV.1);
  • la previsione dell'effetto "preclusivo" alla trasmissione telematica derivante dall'assenza del provvedimento accertativo dell'idoneità tecnica dei singoli Fori emesso dalla DGSIA (art. 35 D.M. cit. V. pure IV.2), effetto richiamato più volte dalla giurisprudenza in materia;
  • la cessazione dell'efficacia del D.P.R. 123/2001 (art. 37, 2° co., D.M. cit.) che, come sopra abbiamo visto, apre un problema interpretativo in ordine alla stessa legittimità della disposizione.

Si tratta di una normativa complessa che, a dispetto di un'apparente connotazione meramente tecnica, pone problemi (ed ha effetti) di fondamentale importanza sul piano propriamente giuridico.

III.2.h. L'art. 16-bis D.L. 18/20/2012 n. 179

L"art. 16-bis D.L. 18/20/2012 n. 179 è un'altra norma dotata di rilevo determinante nella dinamica del processo telematico, visto che ad essa è stato demandato il compito di sancire l'obbligatorietà dell'utilizzo del PCT a decorrere dal 30/06/2014 (obbligatorietà temperata, come si sa, dal successivo intervento dell'art. 44, 1° co., del D.L. 24/06/2014, n. 90, conv. in L. 11/08/2014, che ne ha rimodulato i termini).

La centralità della disposizione non ha tuttavia impedito al legislatore di martirizzarla con continue modifiche ed integrazioni, talché, alla data del presente articolo, se ne conoscono diverse versioni.

- La versione originaria

La versione originaria della disposizione in esame si segnala per due caratteristiche principali:

  • la previsione indifferenziata dell'obbligatorietà - a fare data dal 30/06/2014 - del ricorso al PCT per il deposito degli atti da parte dei «difensori delle parti precedentemente costituite»: espressione, quest'ultima, rimasta invariata sino ad oggi e che ha determinato l'insorgere dell'annoso problema relativo alla legittimità della costituzione telematica in giudizio, di cui qui ci stiamo occupando (1° comma);
  • l'individuazione del momento dell'avvenuto deposito degli atti telematici in quello della generazione della «ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia» (7° comma);
  • la totale digitalizzazione del procedimento monitorio (esclusa la fase di opposizione), sempre a decorrere dal 30/06/2014 (4° comma).

- La versione successiva al D.L. 90/2014

L'entrata in vigore degli artt. 44 e ss. del D.L. 24/06/2014, n. 90, convertiti in L. 11/08/2014, n. 114, comportò alcune modifiche di rilievo nell'art. 16-bis qui in discorso, che possono così riassumersi:

  • previsione di un'entrata in vigore modulata dell'obbligatorietà del PCT (30/06/2014 per i soli provvedimenti iniziati dinanzi ai tribunali dopo tale data; 31/12/2014 per i procedimenti già pendenti, con facoltà delle parti - sempre precedentemente costituite in giudizio - di utilizzare comunque il mezzo telematico; vale la pena evidenziare che tale rilevantissima modifica non è entrata a far parte dell'art. 16-bis cit., ma è contenuta nell'art. 44, 1° co. del D.L. 90/2014);
  • previsione dell'obbligatorietà del PCT anche nei giudizi in Corte d'Appello a decorrere dal 30/06/2015 (art. 16-bis cit., comma 9-ter);
  • individuazione dell'orario limite entro cui è possibile considerare tempestivo il deposito telematico (ricevuta di consegna generata entro la fine del giorno di scadenza: art. 16-bis cit.,7° comma);
  • previsione della possibilità di effettuare più invii del deposito allorquando atti e documenti inviati superino la dimensione massima della busta (art. 16-bis cit., 7° comma: si badi che la disposizione non è sufficiente a risolvere il distinto problema del deposito degli atti introduttivi che superino tale dimensione massima - di 30 mb - come si è visto nella prima parte di questo articolo);
  • previsione della possibilità per gli avvocati di estrarre copie autentiche degli atti informatici (art. 16-bis cit., comma 9-bis). In merito a tale facoltà è bene richiamare l'attenzione sul fatto che la L. 114/2014,di conversione del D.L. 90/2014, ha introdotto nel corpo del comma in esame la significativa precisazione secondo cui la copia deve essere estratta in modo tale da garantire che «il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine».

- La versione successiva al D. L. 132/2014

Infine, in tempi molto recenti anche l'art. 18, 4° co., e l"art. 20, 1° co., del D.L. 12/09/2014, n. 132 (mentre si scrive in attesa di conversione) hanno apportato ulteriori modifiche alla norma in esame, essenzialmente inerenti alle procedure esecutive e concorsuali, per la gran parte destinate ad entrare in vigore dopo l'emanazione di appositi provvedimenti tecnici ricognitivi.

Stante il fatto che le nuovissime disposizioni in esame sono tuttora in attesa di conversione - e, dunque, sono presumibilmente destinate ad essere nuovamente modificate, si rinvia, allo stato, alla lettura del testo del D.L. in questione.

 


- IV - REGOLE TECNICHE, CIRCOLARI E PROTOCOLLI


Si è sin qui visto che, a fronte di una dottrina che sostiene la piena legittimità della costituzione telematica in giudizio, la giurisprudenza si è orientata per la soluzione opposta e, dove ha aperto spiragli, lo ha fatto con motivazioni alquanto opinabili (fatta eccezione per già citato precedente di cui a Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014, sul quale si tornerà al paragrafo V.2 e che con sintetica chiarezza ha fatto giustizia delle molte inesattezze che si sono sino ad oggi lette in materia).

Si sono creati, in tal modo, ambiti di rilevante incertezza processuale con quel che ne segue: tutti possiamo ben immaginare (e qualcuno avrà purtroppo anche sperimentato), infatti, cosa significhi impiegare anni a scalare i tre gradi del giudizio civile per essere infine costretti, a causa di un vizio processuale, a ritornare al punto di partenza come nulla fosse accaduto.

Un supplizio di Sisifo "versione forense" in cui il giurista pratico, telematico o meno che egli sia, deve sforzarsi in ogni modo di non incappare. E, in questo tentativo, aver esaminato normativa e giurisprudenza, occorre da ultimo concentrarsi sulla regolamentazione tecnica (o meglio tecnico/amministrativa) in materia: un complesso di norme solo apparentemente di dettaglio, visto che spesso i provvedimenti giurisdizionali adottati ne fanno ampio uso, con valenza spesso decisiva.

IV.1. Le specifiche tecniche della DGSIA

Cominciamo, allora, con l'esaminare le specifiche tecniche emesse dalla DGSIA (acronimo, che, come si ricorderà, significa Direzione Generale dei - o per i - Sistemi Informativi Automatizzati).

In sintesi, può dirsi che tale genere di provvedimento tecnico trova la propria fonte normativa in una delega, per così dire, "a cascata", la quale, proprio per tale ragione, pone qualche perplessità sotto il profilo delle gerarchia delle fonti che si stanno per esaminare.

IV.1.a. Le fonti

Ed infatti, nell'anno 2010, l'art. 4, 1° co., D.L. 29/12/2009, n. 193 (conv. in L. 24/2010), delegò il Ministero della Giustizia ad adottare l'apposito regolamento contenente le «regole tecniche per l"adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell"informazione e della comunicazione».

In esecuzione di tale delega, il Ministero, nell'anno successivo, emanò il D.M. 21/02/2011, n. 44, contenente le predette regole tecniche, a propria volta (sub)delegando, ex art. 34 D.M. 44/2011 cit., il «responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia» ad emanare le conseguenti «specifiche tecniche».

Su tali basi, la DGSIA ha a sua volta emanato un primo provvedimento del 18/07/2011, ed, indi, un secondo provvedimento del 16/04/2014, sostitutivo del primo ed attualmente vigente, entrambi recanti, appunto, le «specifiche tecniche previste dall'articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44».

IV.1.b. I problemi

Ora, è altamente probabile che il lettore "non-telematico" o "scarsamente-telematico", terminata la lettura dell'elenco sopra riportato, abbia anche immediatamente chiuso la pagina, scuotendo la testa.

Si tratta, di un atteggiamento comprensibile, ma piuttosto rischioso, visto che le disposizioni di cui sopra, soprattutto quando non correttamente inquadrate sotto il profilo giuridico, rischiano di abbandonare la loro innocua veste meramente tecnica e di trasformarsi in prescrizioni processuali di natura formale, la cui violazione determina conseguenze esiziali sull'attività processuale delle parti in termini di inammissibilità o nullità degli atti da esse compiuti.

Un esempio per tutti emerge chiaramente dal già esaminato precedente del Tribunale di Roma (Trib. Roma, decreto 09/06/2014), che, proprio basandosi sul disposto dell'art. 12, 1° co., lett. c. del provvedimento DGSIA del 18/07/2011 (oggi sostituito dall'attuale provvedimento del 16/04/2014, che contiene una disposizione analoga) secondo cui l'atto informatico deve essere ottenuto

«da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti [non essendo dunque] ammessa la scansione di immagini»,

ha dichiarato inammissibile un ricorso per decreto ingiuntivo in quanto depositato telematicamente in formato immagine e non in formato testo (ma v., contra, la già ricordata ordinanza Trib. Vercelli, Sez. Civ., 04/08/2014, su cui ci si intratterrà al paragrafo V.2).

Si tratta, quantomeno a parere di chi scrive, di applicazioni ispirate ad un formalismo esasperato, le quali, fondando nullità processuali su prescrizioni di natura puramente tecnica, con buona pace dei principi dettati in materia di gerarchia delle fonti, finiscono con il disapplicare regole fondanti del sistema processuale, quali il principio del raggiungimento dello scopo e di legalità/tassatività delle nullità formali previsti dall'art. 156 C.P.C.

E ciò a maggior ragione se si considera che la prescrizione tecnica di cui si sta trattando trova la propria fonte in un inopinato meccanismo di sub-delega (come si è visto sopra, infatti, la legge delega incaricò il Ministro della Giustizia ad adottare «regole tecniche», e quest'ultimo, nell'adottare tali regole, a sua volta delegò il responsabile SIA ad emanare proprie autonome «specifiche tecniche»; cioè, in definitiva, a fare ciò che il Ministro stesso - e non altri - avrebbe dovuto fare in virtù dell'originario mandato legislativo): il che fa sorgere più di una perplessità sotto il profilo della legittimità dell'intera operazione.

IV.2. I provvedimenti ricognitivi emanati dalla DGSIA

Discorso analogo vale per i provvedimenti dalla sopra ricordata Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati previsti dall'art. 35, 1° co., D.M. 21/02/2011, n. 44, secondo il quale

«l'attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio».

IV.2.a. Cosa sono e dove si trovano

I provvedimenti in questione vanno, in primo luogo distinti da quelli concernenti le specifiche tecniche che si sono discussi al punto precedente.

In questo caso, infatti, non si è in presenza di articolati con carattere di generalità, ma di accertamenti abilitativi tecnici ad hoc, pubblicati nell'apposita area del PST (Portale dei Servizi Telematici), il cui compito è verificare l'idoneità dei singoli Fori (ad es. Tribunale di Pesaro, Tribunale di Rimini, etc.) ad attivare il PCT: in toto o per singole tipologie di procedimento (ad es. contenzioso civile, lavoro, volontaria giurisdizione, fallimentare etc.) e, all'interno di queste ultime, per singole categorie di atti (ad es., per ciò che attiene il procedimento ordinario di cognizione, memorie ex art. 183 C.P.C., comparse conclusionali, elaborati del CTU etc.).

IV.2.b. I problemi

Per esemplificare nel concreto, si mettano a confronto i provvedimenti disponibili, rispettivamente, per il Tribunale di Ancona e per il Tribunale di Pesaro, in relazione al contenzioso ordinario (entrambe le indicazioni, si badi, sono meramente esemplificative e vanno verificate sul PST al momento del compimento dell'attività).

Da tale confronto emerge come il Tribunale di Ancona sia stato dichiarato idoneo alla ricezione del deposito telematico degli atti di citazione, abilitazione che invece manca nel caso del Tribunale di Pesaro.

Ora, se si pone mente al fatto che il Tribunale di Padova (Trib. Padova, Sez. II, ordinanza 03/09/2014), in assenza di uno specifico provvedimento abilitativo DGSIA del tipo di quelli qui in esame, ha ritenuto la costituzione telematica comunque effettuata dalle parti, non solo nulla, ma anche non recuperabile ad alcun effetto giuridico, neppure nella prospettiva del raggiungimento dello scopo di cui all'art. 156 C.P.C., ne emerge concretamente verificato come la differenza meramente tecnica contenuta nei rispettivi provvedimenti di cui sopra, se trascurata, o peggio ignorata, possa determinare ricadute giuridiche anche molto pesanti.

Basti, infatti, pensare che, seguendo la linea di ragionamento del giudice padovano, il deposito telematico di un atto di citazione sarebbe atto legittimo nel Foro di Ancona, mentre darebbe luogo ad una nullità processuale insanabile dinanzi al Tribunale di Pesaro.

Si consideri, inoltre, che la tendenza a far discendere la legittimità (o meno) della costituzione telematica dall'esistenza (o meno) dell'apposita abilitazione tecnica DGSIA in discorso sembra farsi strada (a parere di chi scrive in modo del tutto erroneo, oltre che in giurisprudenza, anche in buona parte della prassi protocollare che si esaminerà in seguito (v. par. IV.4).

Dunque, quantomeno nei casi in cui l'apposito provvedimento DGSIA di cui qui si discute non dichiari l'idoneità telematica al deposito degli atti introduttivi, o dichiari l'idoneità al deposito solo di alcuni tipi di questi ultimi, il suggerimento pratico che può fornirsi allo stato è quello di procedere alla costituzione in giudizio in via cartacea.

Merita in ogni caso aggiungere che anche nei casi in cui tale idoneità tecnica sia dichiarata, sembra comunque opportuno adottare un sano atteggiamento prudenziale, alla luce del fatto che il già citato art. 16-bis D.L. 18/20/2012 n. 179 prevede il deposito telematico degli atti «da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite» senza distinguo alcuno, lasciando aperta la strada a soluzioni ben più drastiche di quella adottata dal Tribunale di Padova nel precedente sopra discusso.

IV.3. Le circolari

Qualche cenno, ancora, va fatto alle circolari.

In estrema sintesi, è noto che le circolari sono atti essenzialmente privi di rilevanza giuridica diretta all'esterno della P.A., sebbene possano comunque assumere una valenza indiretta, attraverso il condizionamento che sono comunque in grado di esercitare nei confronti delle singole amministrazioni.

Condizionamento che via via aumenta, sino a divenire un vincolo in senso proprio, a seconda del contenuto di specie del singolo provvedimento, del tipo di amministrazione di volta in volta considerata e della posizione gerarchica dell'autorità emanante nella relativa catena di comando.

Tale tipologia di atti, inoltre, esercita un'innegabile influenza interpretativa erga omnes, specie allorquando tramite essa vengano affrontate delicate problematiche operative e dettate le conseguenti linee di azione.

Nel caso del PCT, si rinvengono almeno due atti di tale natura: la circolare del Ministero della Giustizia del 27 giugno 2014 e la circolare DGSIA del 08/07/2014.

IV.3.a. La circolare Ministero Giustizia del 27/06/2014

Il primo dei due atti appena ricordati (recante «adempimenti di cancelleria conseguenti all'entrata in vigore degli obblighi di cui agli artt. 16 bis e sgg. d.l. n.179/2012 e del d.l. n. 90/2014»), si segnala per affrontare in modo dettagliato prassi operative di grande rilevanza, quali le modalità dei depositi telematici, le problematiche relative all'orario entro cui è possibile procedervi e della relativa prova etc.

Non è qui, ovviamente, possibile svolgere un esame approfondito di tale circolare, ma vale comunque la pena di richiamare la parte finale del punto 1 di quest'ultima, posto che ivi viene presa una posizione piuttosto chiara sul problema della costituzione telematica in giudizio e del rapporto tra tale attività e l'abilitazione tecnica DGSIA di cui si è sopra parlato, stabilendo espressamente che, nel caso in cui le parti

«procedano al deposito telematico dell"atto introduttivo o di costituzione in giudizio in assenza della predetta abilitazione, la valutazione circa la legittimità di tali depositi, involgendo profili prettamente processuali, sarà di esclusiva competenza del giudice. Di conseguenza non spetta al cancelliere la possibilità di rifiutare il deposito degli atti introduttivi (e/o di costituzione in giudizio) inviati dalle parti, anche presso quelle sedi che non abbiano ottenuto l"abilitazione ex art. 35 D.M. n.44/11».

Il che si connota per due aspetti di rilievo:

  • l'aver dato atto dell'esistenza di un problema relativo al rapporto tra liceità della costituzione telematica in giudizio ed esistenza del provvedimento abilitativo DGSIA di cui si è già detto;
  • l'aver espressamente stabilito che, in caso di costituzione telematica in assenza dell'abilitazione DGSIA, la soluzione della relativa questione processuale spetta comunque al giudice e mai al cancelliere, il quale, dunque, non potrà rifiutare l'atto.

Ora, se con riferimento al primo dei due aspetti appena sintetizzati si sono già manifestate alcune perplessità, non si può che condividere il contenuto del secondo, visto che è il giudice - e non certo il cancelliere - il soggetto cui spetta risolvere ogni questione relativa alla validità della costituzione delle parti in giudizio.

Per non farci mancare nulla, tuttavia, vedremo in seguito che, almeno in un caso (provvedimento 14/07/2014 del Presidente f.f. del Tribunale di Trento) la prassi operativa dei singoli Fori si è evoluta in aperto contrasto con tale condivisibile orientamento amministrativo (ordinando espressamente alla cancelleria di rifiutare i depositi telematici avvenuti in assenza dell'abilitazione tecnica in discorso).

IV.3.b. La circolare DGSIA del 08/07/2014: rinvio

Il secondo provvedimento di rilievo è costituito dalla circolare DGSIA del 08/07/2014 (intitolata «D.L. 26 giugno 2014, n. 90 art. 51 - messaggi di posta elettronica certificata (PEC) che eccedono la dimensione massima fissata nelle specifiche tecniche PCT»), la quale affronta e tenta di risolvere il problema degli invii di buste telematiche eccedenti il limite di capienza tecnica di queste ultime (30 Mb).

Di tale circolare e dei problemi che essa pone in rapporto alla regolamentazione della costituzione in giudizio prevista dagli artt. 165 e s. C.P.C., si è già discusso (criticamente) ai par. I.2.a, cui, pertanto, si rinvia.

IV.4. protocolli: ovvero elogio del caos

Veniamo, infine, all'ultima delle fonti in materia di PCT: i protocolli convenzionalmente adottati nei singoli Fori.

IV.4.a. Elogio delle prassi protocollari

L'ultima delle fonti si diceva, ma solo sotto un profilo giuridico, in quanto, nella vita pratica quotidiana, il discorso cambia e non di poco.

In tesi generale, infatti, un protocollo altro non è se non il precipitato scritto delle cosiddette "buone prassi". Una forma, cioè, di procedimentalizzazione convenzionale delle abitudini operative localmente adottate in via spontanea e, proprio perciò, valutate come consone alle caratteristiche dimensionali ed organizzative del Foro

Le prassi fatte proprie dal "nostro" giudice, insomma: consuetudini silenti, metagiuridiche, ma non per questo meno vincolanti ed anzi, a volte cogenti quanto e più della stessa norma scritta.

Nulla di male, dunque, nel formalizzare ciò che, in fondo, è assistito dall"opinio juris ac necessitatis forense e, proprio per tale ragione, ha i titoli per assurgere a fonte, pur locale e surrettizia, di diritto processuale consuetudinario.

IV.4.b. Ma.......

Senonché, tale impostazione può reggere sintantoché riguardi (come dovrebbe, trattandosi di fonte del diritto di rango residuale) aspetti marginali e/o episodici e/o di dettaglio dell'agire processuale.

Diventa, invece, insostenibile, quando la prassi tenda a diventare essa stessa "sistema", dettando norme innovative relativamente ad aspetti fondamentali dell'agire in giudizio, qual è l'attività di costituzione in giudizio qui in esame.

A prescindere da qualsiasi ricostruzione giuridica in materia di gerarchia delle fonti, infatti, basta banalmente ricordare come ogni dettato normativo, per disordinato, frammentato e confuso che esso sia, resta pur sempre dotato di un'origine certa e predeterminata, verificabile sulle stesse fonti ufficiali da cui promana ed applicabile, oltre che contestabile, infine, secondo regole anch'esse predeterminate ed universalmente condivise.

Certo non è, invece - come oggi accade nell'ambito dei protocolli PCT - il risultato dell'elaborazione volontaristica ora di un singolo Ordine degli Avvocati, ora di una singola associazione di categoria forense, ora di un singolo organismo più o meno tecnico costituito ad hoc, ora dell'ordine autoritativo di un singolo Presidente di Tribunale, a seconda dei casi.

Attività la cui formalizzazione e pubblicizzazione, per di più, resta affidata alla buona volontà delle parti che vi procedono (le quali potranno ad libitum, consacrarla o meno in un documento sottoscritto e datato; dare adeguata pubblicità all'evento o meno, e nel caso in cui si decida per la pubblicizzazione, stabilirne o meno le relative modalità, etc.) ed il cui contenuto potrà concernere i più vari aspetti processuali e contenere le più diverse regolamentazioni, con l'unico limite dettato dall'umano buon senso, sul quale, tuttavia, sembra opportuno non fare eccessivo affidamento.

Il che, come è ovvio, ha l'effetto di pervenire al risultato esattamente opposto a quello cui tendono, in tesi generale, le prassi protocollari: queste ultime, infatti, formalizzano abitudini operative di dettaglio facilitando l'attività degli operatori, i cd. "protocolli PCT", comunque denominati, invece, manifestano spesso la tendenza ad intervenire su aspetti essenziali dell'agire processuale, divenendo norma di tale agire.

Una norma senza fonte predeterminata, senza possibilità di contestazione e senza pubblicità formale, la cui applicazione rischia di trascinare il sistema nel caos, tanto più, quando ad essa venga apertamente o surrettiziamente, attribuita la caratteristica della vincolatività in senso tecnico.

Si veda, ad esempio, sul punto, quanto riportato nelle premesse del protocollo distrettuale adottato presso la Corte di Appello di Venezia, secondo cui

«la mancata ottemperanza alle indicazioni contenute in questo protocollo comporterà l'applicazione della sanzione prevista per ciascuna specifica violazione. In assenza di sanzioni processuali tipizzate dal legislatore (ad es. la nullità), il Presidente della Corte potrà valutare il comportamento dell'operatore riservando, in ogni caso, nell'ambito dei poteri attribuitigli dalla legge di vigilanza su tutti gli Uffici giudiziari del distretto, l'adozione delle iniziative di sua competenza, ivi compresa la segnalazione agli ordini professionali».

A buon intenditor......

IV.4.c. Costituzione telematica e protocolli: il caos

Ed un esempio di quanto si va dicendo si ha proprio con riferimento al problema della costituzione in giudizio per via telematica, dove tutti gli elementi che si sono sino ad ora presi in considerazione - norma giuridica, norma tecnica, giurisprudenza, circolari ministeriali e prassi locali - si sovrappongono tra loro in modo del tutto scoordinato.

Si ricorderà, infatti, come, a fronte di un testo dell'art.16-bis, 1° co., D.L. 18/10/2012, n. 179, conv. in L. 17/12/2012, n. 221 che non legittima testualmente la costituzione telematica, facendo riferimento ai soli atti depositati dai «difensori delle parti precedentemente costituite» in giudizio, e a fronte di una giurisprudenza piuttosto restrittiva sul punto, la circolare 27/06/2014 Ministero Giustizia si pone su una linea alquanto differente.

Tale atto, infatti, sulla premessa che

«l"entrata in vigore delle norme di cui all"art. 16 bis d.l. cit. non innovi in alcun modo la disciplina previgente in ordine alla necessità di un provvedimento ministeriale per l"abilitazione alla ricezione degli atti introduttivi e di costituzione in giudizio»,

trae la conseguenza che

«nei tribunali già abilitati a ricevere tali atti processuali ai sensi dell"art. 35 DM 44/11, continuerà a costituire facoltà (e non obbligo) delle parti, quella di inviare anche gli atti introduttivi o di costituzione in giudizio mediante deposito telematico»,

in tal modo pervenendo a conclusioni molto diverse rispetto a quelle che si sono appena tratte (e che si possono conciliare con esse solo ritenendo decisiva, a fini della legittimità della costituzione telematica, la presenza dell'abilitazione tecnica DGSIA, rilievo, che, tuttavia, chi scrive non condivide, posto che esso basa la legittimità di un atto difensivo fondamentale sull'esistenza di un presupposto meramente burocratico. V. sul punto, peraltro, quanto si dirà al par. V.2, a commento della recente ordinanza Trib. Vercelli, Sez. Civ., 04/08/2014, più volte ricordata nel corso di questo articolo).

Dal canto suo, poi, la circolare DGSIA 08/07/2014 (v. par. IV.3.b), nel dettare addirittura specifiche modalità tecniche per il deposito degli atti introduttivi di parte, dà evidentemente per scontata la legittimità della costituzione telematica.

Dunque, mentre testo normativo e giurisprudenza sembrano orientarsi per una soluzione restrittiva del problema in esame (con l'eccezione per l'appena menzionata ordinanza Trib. Vercelli, Sez. Civ., 04/08/2014) l'amministrazione sembra viceversa dare per scontata, almeno a certe condizioni, tale possibilità.

Nella situazione data, dunque, appare sicuramente utile verificare quel che accade a livello di prassi protocollari in materia di PCT, ove, tuttavia, si scopre un universo completamente disomogeneo e piuttosto disorientante.

Troviamo infatti, l'uno a fianco all'altro, atti (denominati o meno "protocolli" che essi siano) che, in merito alla problematica qui in esame, di volta in volta:

  • non prendono una posizione specifica (ad es. Prot. Biella);
  • dispongono espressamente che si depositino telematicamente tutti gli atti, anche introduttivi (ad es. Prot. Verbania, pag. 2, sub par. «Magistrati», punto 3 e sub par. «Avvocati», punto 2; previsioni che peraltro, sembrano avere intenti puramente organizzativi);
  • ammettono la costituzione telematica a prescindere dall'esistenza o meno del provvedimento abilitativo DGSIA per gli atti introduttivi (ad es. Prot. Campobasso, 2^ ed., pag. 6);
  • ammettono la costituzione telematica, ma solo in considerazione dell'esistenza del provvedimento abilitativo DGSIA per gli atti introduttivi (ad es. Prot. Ancona, pag. 2, punto 4, Prot. Cassino, pag. 4, Prot. Catania, pag. 6);
  • suggeriscono di non ricorrere alla costituzione telematica (ad es. Pesaro, email COA 42/2014);
  • sembrano implicitamente non ammettere la costituzione telematica, in quanto regolano il deposito delle sole memorie di parte (ad es. Prot. Milano, pag. 1, punto 1);
  • non ammettono la costituzione telematica a prescindere dall'esistenza o meno del provvedimento abilitativo DGSIA per gli atti introduttivi (ad es. Prot. Modena, pag. 1, Prot. S. M. Capua Vetere, pag. 9, punto C, Prot. Torino, pag. 5);
  • non ammettono la costituzione telematica a causa della mancanza del provvedimento abilitativo DGSIA per gli atti introduttivi (ad es. Prot. Genova e Chiavari, pag. 3, Prot. Varese, Pag. 4, Prot. Vercelli, pag. 2);
  • non ammettono la costituzione telematica, precisando che il cancelliere non può tuttavia rifiutare l'eventuale costituzione comunque effettuata per tale via, riservando la relativa decisione al giudice (ad es. Prot. Busto Arsizio, pag. 1 e s.);
  • non ammettono la costituzione telematica disponendo che il cancelliere rifiuti il deposito delle costituzioni telematiche comunque effettuate, e ciò in modo dichiaratamente contrario alle indicazioni diffuse dal Ministero della Giustizia nella propria circolare del 27/06/2014 (la quale, come si è visto sopra, al punto 1 prevede espressamente che il cancelliere, nei casi in esame, non possa rifiutare il deposito. In tal senso si veda il provvedimento 14/07/2014 del Presidente. f.f. del Tribunale di Trento).

Con il risultato, piuttosto evidente, che il malcapitato difensore che intenda avvalersi del mezzo telematico, al fine di minimizzare l'eventualità di pronunce di inammissibilità in rito, in via cautelativa e preventiva dovrà non solo verificare preventivamente di volta in volta sul Portale dei Servizi Telematici se il Foro di riferimento sia stato tecnicamente abilitato ed al deposito di che cosa sia stato tecnicamente abilitato, ma anche controllare se esistano specifiche prassi protocollari e che cosa esse prevedano.

E poi dovrà anche sperare che, nel mentre egli verifica la situazione, questa non stia frattanto mutando a sua insaputa (nessuno è in grado di sapere con certezza quando i vari tavoli tecnici elaborino o rivedano le rispettive regole protocollari, né è prevista alcuna forma predeterminata di pubblicità per tali evenienze); e/o che non esistano, oltre ai protocolli, ulteriori documenti localmente emanati (provvedimenti, comunicazioni etc.), di difficile, quando non impossibile, reperibilità per chi non appartenga al Foro interessato; e/o, infine, che il singolo giudice istruttore effettivamente applichi le prassi protocollari come sopra elaborate e non faccia, invece, quel che gli pare, come pure accade (del tutto legittimamente, peraltro - ma se ne dovrebbe discutere - posto il principio della libertà di giudizio: tot capita tot sententiae).

Se a ciò si aggiunge che quello della costituzione telematica in giudizio è solo uno dei problemi che si pongono allorquando si parla di PCT, pare alquanto dimostrato come il paventato rischio del completo caos operativo non sia affatto peregrino.

 


- V - CONCLUSIONI


Trarre conclusioni in una situazione quale quella che si è sin qui esaminata è alquanto arduo.

V.1. Esiste ancora un "giusto processo civile"?

In tesi generale, giova probabilmente ricordare che, al di là dell'aggettivazione, il "processo telematico" resta sempre e comunque un processo, cioè un insieme di regole formali che hanno il compito di garantire in astratto a tutti che il meccanismo adottato per fare giustizia sia prevedibile ed equanime (ovverosia giusto).

Da una tale, peraltro banalissima, premessa, deriva - più che una conclusione - un dubbio: una struttura processuale che rimette alla decisione unilaterale ed estemporanea dei singoli Fori la regolamentazione concreta di aspetti delicatissimi della procedura, quali la costituzione in giudizio (ed altri), può ancora definirsi "giusto processo"?

E" un dubbio importante, che, almeno per chi scrive, può essere risolto solo mettendo mano alla riforma organica del codice di rito, che necessita di una "digitalizzazione", cioè di trasformarsi da codice di un processo civile cartaceo in codice di un processo civile digitale.

Si tratta di un progetto che richiede tempo, energie e chiarezza di visione e che, dunque, conoscendo le (pessime) abitudini del nostro legislatore, probabilmente non sarà mai realizzato o lo sarà in tempi biblici.

Nel frattempo, dunque?

V.2. Trib. Vercelli, ordinanza 04/08/2014: una luce in fondo al tunnel

Alla luce della ricostruzione legislativa precedentemente svolta, chi scrive resta un pervicace sostenitore dell'assoluta legittimità della costituzione telematica in giudizio, del tutto indipendentemente dall'adozione preventiva di provvedimenti abilitativi burocratici di sorta.

In tal senso, il recente precedente costituito dall'ordinanza Trib. Vercelli, Sez. Civ., 04/08/2014, cui si è fatto più volte riferimento nel corso di questo articolo, appare assolutamente confortante.

Quest"ultima decisione, infatti, con cristallina sinteticità, fa giustizia dei cervellotici distinguo operati sino ad ora e segna tre punti fermi, che sono:

  • l"art.16-bis, 1° co., D.L. 18/10/2012, n. 179, conv. in L. 17/12/2012, n. 221, non prevede il deposito telematico degli atti processuali introduttivi, ma non commina alcuna sanzione di nullità in relazione a tale tipo di deposito. Ne consegue che quest'ultimo, laddove comunque effettuato, è meramente irregolare, ma non nullo;
  • anche se dovesse ritenersi configurabile una nullità processuale, occorrerebbe comunque verificare se l'atto di costituzione telematicamente depositato abbia raggiunto il suo scopo e, in ipotesi, farne salvi gli effetti ai sensi dell'art. 156 C.P.C.;
  • posto che l'art.16-bis appena citato non fa conseguire alcuna nullità da eventuali vizi di forma "telematica" (né è possibile farne discendere dalle disposizioni tecniche emanate dalla DGSIA, che non hanno natura di norma primaria e, dunque, non possono prevedere nullità di sorta ex art. 156 C.P.C.), l'atto telematico depositato in formato pdf immagine e non in formato pdf testo è meramente irregolare e non nullo.

Si tratta, di affermazioni semplici e di gran buon senso che si confida verranno condivise al più presto dalla giurisprudenza.

Tuttavia, la realtà che si è descritta e l'altissimo rischio di decisioni estemporanee ed imprevedibili che essa porta con sé (si pensi, ad esempio, al fatto che il protocollo adottato dallo stesso Tribunale di Vercelli - Tribunale da cui promana l'eccellente decisione appena discussa - espressamente sancisce l'impossibilità di depositare telematicamente gli atti introduttivi o al fatto che i protocolli di Modena e Torino altrettanto espressamente escludono il «valore legale» di tale genere di depositi), induce ad optare per un atteggiamento operativo massimamente prudente.




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