-  Redazione P&D  -  09/11/2015

COSTITUZIONE ITALIANA E MERITOCRAZIA - Lorenzo IEVA

Dottore di ricerca in diritto pubblico

dell"economia e dirigente della P.A.

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Sommario: 1. L"idea della meritocrazia; 2. La Costituzione italiana e il merito; 2.1. La cultura e l"istruzione; 2.2. Il lavoro; 2.3. I pubblici uffici; 3. Proposta di riforma della Costituzione. 4. Riflessioni conclusive.

 

  1. 1. L"idea della meritocrazia.

La riforma degli apparati pubblici, sia a livello istituzionale, che a livello amministrativo, esige, in via preliminare, che si proceda ad una seria riflessione sui processi di selezione meritocratica di coloro che sono destinati a ricoprire ruoli eminenti nell"organizzazione pubblica.

La costruzione di una classe dirigente forte e capace, nei suoi diversi profili, rappresenta infatti una sorta di pre-condizione per poter riuscire ad avviare un rilancio economico-produttivo, coniugato con un efficiente funzionamento della P. A.

Nell"ambio del copioso dibattito pubblico sul merito[1] e su cosa poter fare per rinsaldare nella vita produttiva e, soprattutto, culturale del nostro incerto Paese processi di formazione meritocratica e di affidamento di importanti funzione pubbliche a persone dotate di un solido background culturale e professionale, pensiamo di doverci interrogare in poche righe su una considerazione giuridica di fondo:  ma la nostra Costituzione prevede il merito come canone di giudizio e come criterio guida per la selezione degli uomini migliori cui affidare cariche pubbliche in senso lato considerate ?

Il nostro discorso può ben partire dalla etimologia del termine "meritocrazia".   Questa parola composta, infatti, deriva dal latino "meritum", che significa "cosa meritata, mercede, ricompensa", oppure anche dal verbo passivo "mereri", ovverosia "azione per cui ne venga premio", unito al sostantivo del greco antico "κρατος" (kràtos), ossia "forza, potere", per quindi voler dire molto eloquentemente: "potere (o forza) di chi ha compiuto qualcosa per cui ha meritato o che va premiato" ed indica, per l"appunto, colui che è da ritenersi "meritevole".

Il termine di "meritocrazia", secondo alcuni, è stato coniato, per la prima volta, a livello divulgativo, dal sociologo inglese laburista Michael D. Young (1915-2002), nel suo libro intitolato "The Rise of Meritocracy" (1958).[2]

Per questo autore, il merito è descrivibile con una semplice equazione: m = IQ + E (dove "m" sta per merito, "IQ" sta per quoziente di intelligenza ed "E" sta per sforzo); in tal modo, il merito è il risultato della combinazione di due sinergie: il talento geneticamente derivato, da una parte, e l"impegno profuso dal soggetto nello svolgimento di specifiche attività, dall"altro.

Ma in realtà il concetto di merito, con la consustanziale necessità che la selezione degli uomini, cui affidare le redini del governo di una società, debba avvenire secondo criteri cd. meritocratici, costituisce un portato specifico di tutto il pensiero filosofico classico.

Sul punto, val la pena ricordare alcune citazioni di pensatori molto antichi, epperò – crediamo – ancora oggi molto attuali, che sono alquanto illuminanti.

Aristotele (384 circa a.C.-322 a.C.), ha asserito, a proposito della virtù, come: "[…] il vero politico compia ogni sforzo in vista della virtù, infatti vuole rendere i cittadini buoni e osservanti delle leggi […]".[3] E proprio per questo che: "[…] i legislatori rendono buoni i cittadini facendo contrarre loro buone abitudini, ed è questa l"intenzione di ogni legislatore. Coloro che non svolgono bene questo compito deviano dalla loro funzione […]".[4]

Inoltre, Aristotele, dopo aver trattato delle tipologie di governo ipotizzabili (monarchia, di uno, aristocrazia, dei migliori e democrazia, del popolo),[5] con i pregi ed i difetti di ciascuna, onde elidere i rischi di corruzione del "governo dei molti" (democrazia), si pronunciò per una forma di governo ideale a metà strada tra l"aristocrazia e la democrazia, costituito anch"esso dal cd. "governo dei meritevoli", i soli legittimati a decidere le sorti della comunità, purché nell"ambito di un contesto democratico, inteso sia nel senso che la maggioranza dovrebbe far sentire ai governanti quali sono le proprie reali esigenze, sia nel senso che l"accesso alle più alte cariche pubbliche debba essere alla portata di tutti i cittadini davvero meritevoli.[6]

Noto è poi l"aforisma di Aristotele, secondo il quale "La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli"; specificamente, nella "Etica Nicomachea" (IV sec. a.C.), Aristotele rammenta che: "Chi si ritiene degno di grandi cose, e non lo è, è un fanfarone […]. Chi si stima meno di quanto merita è un pusillanime […], infatti, i grandi uomini si ritengono degni soprattutto di onore, secondo il loro merito".[7]

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.), nel suo "La Repubblica" (IV sec. a.C.)[8], ha teorizzato l"idea del cd. "governo dei migliori" (in greco antico, il termine άριστοι, aristoi, sta per l"appunto per i "migliori") e, quindi, delle persone in cui prevalesse la saggezza; infatti, per Platone, soltanto i migliori nelle scienze e nelle opere, saggi adepti allo studio della filosofia e della dialettica, potevano, a turno, assolvere correttamente al governo della polis: "[…] coloro che avranno superato tutte le prove mostrandosi in ogni caso i migliori – sia nelle opere sia nelle scienze – saranno ormai avviati al fine ultimo […], li si obbligherà a turno, per il resto della loro vita, a ordinare la città, i privati cittadini, se stessi, trascorrendo la più gran parte del tempo nella filosofia, pronti però quando sia giunto il turno di ognuno, ad affrontare i travagli della politica e l"esercizio del potere nell"interesse della città, non perché considerino il potere come cosa bella, ma come un compito necessario; infine, dopo aver educati sempre nuovi uomini simili a sé, destinati a sostituirli nella difesa della città, se ne andranno ad abitare nelle isole dei Beati. La città dedicherà loro monumenti e sacrifici pubblici […]".

Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a.C.), ci ha ammonito, nel suo "De officiis" (44 a.C.), nel libro primo, al capitolo XIV, paragrafo 42, quanto sia fondamentale che: "ut pro dignitate cuique tribuatur […]", cioè che "[…] si attribuisca a ciascuno secondo la propria dignità (o merito) […]" ed inoltre, al paragrafo 43, che: "Ad rem gerendam autem qui accedit, caveat, ne id modo consideret, quam illa res honesta sit, sed etiam ut habeat efficiendi facultatem […]. In omnibus autem negotiis priusquam adgrediare, adhibenda est praeparatio diligens", ossia che "Chi si appresta all"attività politica stia attento a non considerare ciò soltanto, e cioè quanto sia moralmente apprezzabile, ma anche ad avere la capacità di esercitarla […]. In tutte le attività, prima di iniziarle, bisogna ricorrere ad una preparazione diligente".[9]

Ergo, potremmo osservare che, già il pensiero classico, ci indica quanto il principio della "meritocrazia" debba poter ammantare l"esercizio di qualsivoglia ufficio pubblico, di tutti, certo di quelli che noi oggi diremmo riconducibili alla pubblica amministrazione, ma rectius di quelli giudiziari, e perché no, anche di quelli più propriamente politico-istituzionali.

Sicché la esigenza di possedere una adeguata preparazione, quando ci si approccia ad un pubblico ufficio, costituisce il vero pilastro, sul quale poter fondare l"edificazione di uno Stato davvero efficiente.[10]

La meritocrazia – non va dimenticato – è un concetto che può dirsi intrinsecamente "rivoluzionario" e non a caso la sua prima declinazione, in forma moderna, la si è avuta proprio nel corso della Rivoluzione francese del 1789, ed esattamente all"interno della Dichiarazione dei diritti dell"Uomo e del cittadino.

Infatti, l"art. 6 della Déclaration des Droits de l"Homme et du Citoyen approvata dall"Assemblea Nazionale in data 26 agosto 1789 (ed accettata da Re Luigi XVI il 5 ottobre per essere inserita, come preambolo, nella Carta costituzionale del 1791) così recita: "[…] Tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi [della legge], sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti".[11]

Ma, sull"argomento, qualcosa, semmai in modo implicito, anche la nostra attuale Costituzione sembra dirci.

 

 

 

  1. 2. La Costituzione italiana e il merito.

Va detto che, a volerla leggere bene, a patto che lo si voglia, la nostra Costituzione, in più articoli, ha cura di porre attenzione sul fattore merito, il quale, anche se non è esplicitamente menzionato, può a ratione ritenersi che sia implicitamente contenuto in molte disposizioni.[12]

E infatti, a parte il canone dell"eguaglianza non solo formale ma anche sostanziale, che l"art. 3 Cost.[13] riconosce in generale e promuove specificamente, il che equivale a statuire che, a ciascuna persona, evidentemente secondo il proprio merito, deve essere riconosciuto il suo, in condizione di eguaglianza con gli altri, in verità molti altri articoli della nostra Grundnorm alludono ad un canone di meritocrazia per il riconoscimento di diritti e potestà.

Segnatamente, è possibile evincere tre gruppi omogenei di disposizioni, che sono ispirate ad un consustanziale principio di meritocrazia e riguardano distintamente:

  1. a) la cultura e l"istruzione;
  2. b) il lavoro;
  3. c) l"esercizio di funzioni pubbliche.

Vediamole distintamente.

 

 

2.1. La cultura e l"istruzione.

In primis, in ordine alla istruzione, l"art. 9 Cost. prevede espressamente un impegno specifico della Repubblica per la cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

L"art. 33 Cost., dopo aver statuito che l"arte e la scienza sono libere e che libero ne è l"insegnamento, prescrive il superamento di un esame di Stato per l"ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l"abilitazione all"esercizio professionale.

Mentre, l"art. 34 Cost., nel rammentare che la scuola è aperta a tutti, stabilisce per gli studenti capaci e meritevoli, privi di adeguati mezzi di sostentamento, il diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi, anche attraverso l"assegnazione di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

L"accesso e la progressione nei vari ordini di istruzione è dunque improntata ad una pregnante meritocrazia, così come l"abilitazione all"esercizio professionale.   Peraltro, in ipotesi di carenza di mezzi economici per affrontare gli studi, la Repubblica ha l"obbligo di prevedere il necessario sostegno economico per i meritevoli, in misura congrua.

E" dunque evidente che la meritocrazia nasce nella scuola e nella formazione.

 

 

2.2. Il lavoro.

Riguardo al lavoro, l"art. 4 Cost. stabilisce che la Repubblica riconosce il diritto al lavoro e promuove il suo effettivo esercizio, assegnando ad ogni cittadino il dovere di svolgere per l"appunto "secondo le proprie possibilità e la propria scelta" un"attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società, con questo sancendo la libertà di scelta del lavoro più appropriato alle proprie capacità, ovviamente nei limiti delle opportunità che il mercato del lavoro può offrire.

Inoltre, l"art. 35 Cost. prevede che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, quindi, cura la formazione e l"elevazione professionale dei lavoratori; mentre, l"art. 36 Cost. impone che al lavoratore venga corrisposta una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed, in ogni caso, sufficiente ad assicurare un"esistenza libera e dignitosa.

Anche queste due disposizioni appaiono ispirate da un"ottica di merito, nel momento in cui la formazione e la retribuzione del lavoratore devono essere necessariamente correlate alle potenzialità espresse dallo stesso.

Inoltre, l"eguaglianza dei lavoratori e la loro distinzione soltanto in base al merito trova, in qualche modo, un pendant nella XIV disposizione transitoria e finale della Cost., secondo cui i titoli nobiliari non sono riconosciuti, proprio a voler evidenziare che nessun rilievo, in una democrazia compiuta, possono avere antichi status come appunto i titoli nobiliari, che quindi non sono di per sé collegati alle capacità del singolo lavoratore, bensì sono frutto di retaggi ereditari e niente di più.

Per l"art. 53 Cost., infine, tutti (imprenditori e lavoratori) sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, ossia secondo il proprio merito economico-finanziario, nell"ambito di un sistema tributario informato in linea di massima a criteri di progressività.

 

 

2.3. I pubblici uffici.

Sul versante dei pubblici uffici, invece, l"art. 97 Cost. stabilisce che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l"imparzialità dell"amministrazione.   Nell"ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.   In base all"art. 51, co. 1°, Cost. tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive, in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge e, specificamente, agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso.

Difatti, l"amministrazione pubblica deve poter contare su un bacino di pubblici dirigenti, funzionari, impiegati ed esecutori reclutati assolutamente per merito,[14] così come, lo sviluppo della carriere deve essere altrettanto meritocratico e certo, fin dall"ingresso in servizio, nelle regole di progressione.

Dagli artt. 51 e 97 Cost., orbene, traspaiono immediatamente alcuni postulati ineludibili:

-         il pubblico dipendente può accedere ad un pubblico ufficio, solo dopo aver superato una valutazione concorsuale di merito predeterminata dalla legge;

-         il pubblico dipendente viene chiamato a svolgere la propria attività lavorativa in un quadro organizzativo prestabilito dalla legge e deve rimanere fedele al proprio ufficio.

Inoltre, l"art. 28 Cost. sancisce il principio della responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti nei confronti dei cittadini, in tal modo evidenziandone il ruolo, che deve essere ricoperto con merito, ossia come dice l"art. 54, co. 2°, Cost., con linguaggio aulico, "con disciplina ed onore".   Mentre, l"art. 98 Cost. ribadisce che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Per il prof. Cassese, il cd. merito non può riguardare solo l"accesso al pubblico impiego, ma deve riguardare, forse ancor più, la cd. carriera; purtroppo, invece, va constatato che il merito "[…] è stato in passato rigidamente escluso […]" dalla carriera, prediligendosi un sistema improntato essenzialmente sulla mera anzianità.   Talché, ribadisce l"esimio giurista: "Il riconoscimento del merito nell"accesso e nella carriera e la stabilità nella funzione sono strumenti essenziali per assicurare efficienza all"amministrazione, eguaglianza ai cittadini, equilibrio tra i poteri", per cui: "Questi principi vanno rispettati: quando c"è bisogno di personale, vanno banditi concorsi, non lasciato formare un esercito di avventizi; quando sono stati scelti e nominati i migliori, non bisogna tralasciare di valutarne le prestazioni, promuovendo chi lo merita; una volta promossi i migliori alle cariche più alte, queste non vanno rese precarie; chi le ricopre sarà sottoposto a sua volta a giudizio e, in caso di conclusione negativa, allontanato".[15]

In tale quadro, va infine sottolineato che l"art. 95 Cost. statuisce, a fortiori, i principi di responsabilità del Presidente del Consiglio sul Governo e dei Ministri sui rispettivi dicasteri, con ciò, per le stesse ragioni sopra dette per i funzionari di ruolo dello Stato, esigendo in nuce una connessa adeguata preparazione funzionale alle alte responsabilità da ricoprire.[16]

 

 

 

  1. 3. Proposta di riforma della Costituzione.

Non è affatto peregrino concludere nel senso che i principi costituzionali sopra esaminati, concernenti l"istruzione, il lavoro ed i pubblici uffici, siano guidati da un intrinseco canone di meritocrazia nella coniugazione degli stessi e nella predicazione della loro effettività tra i cittadini della Repubblica italiana.

Ciò, se in fondo testimonia la lungimiranza dei padri costituenti, deve però indurci ad interrogarci su come sia stato possibile che, in concreto, l"evoluzione amministrativa e politica del nostro Paese sia riuscita tranquillamente a farne a meno.

Riteniamo pertanto che deve favorirsi necessariamente una interpretazione delle predette disposizioni costituzionali nella direzione del riconoscimento pieno del canone meritocratico.

Certo però resta preferibile introdurre disposizioni normative costituzionali più dirette ed esplicative sicuramente all"interno dell"art. 97 Cost., in tema di accesso al pubblico impiego, e magari all"interno dell"art. 54 Cost., in materia di esercizio dei pubblici uffici in generale liceat nel modo seguente:

Art. 97 Cost.

Art. 54 Cost.

N.B.: In grassetto e corsivo sono indicate le nostre proposte di modifica.

Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l"ordinamento dell"Unione europea, assicurano l"equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l"imparzialità dell"amministrazione.

Nell"ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

L"ordinamento dei funzionari e degli impiegati delle pubbliche amministrazioni è impostato secondo distinte carriere meritocratiche, in base a disposizioni di legge.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede, per merito, mediante concorso, salvo i casi eccezionali stabiliti dalla legge.

 

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.

I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con professionalità e merito, disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

 

Un riconoscimento più esplicito all"interno della Costituzione italiana del concetto del merito – crediamo – sia indispensabile, per poter meglio contribuire a sostenere una nuova impronta generale della organizzazione pubblica (politica e amministrativa) nella direzione effettiva della pratica meritocratica, agevolando in tal modo una riforma degli apparati, in cui le politiche pubbliche sono prima pensate (a livello politico) e poi agite (a livello amministrativo), onde riuscire a trovare quella efficace realizzazione, di cui hanno invero bisogno in primis i cittadini, attraverso dunque una migliore costruzione della cd. classe dirigente.[17]

Sarà poi la legislazione nazionale a dover stabilire il quadro giuridico unitario degli uffici pubblici, disegnando per gli apparati (ministeri ed enti pubblici) una architettura armonica[18] ed elaborando per il personale un ordinamento chiaro, che magari ridiscuta le frettolose scelte fatte negli anni 1992-"93[19], e soprattutto sia uniforme per tutte le P.A. impostato su quattro macro-gruppi distinti, anche in ragione del titolo di studio necessario per l"assunzione, così riassumibili: da un lato, la carriera dei dirigenti e la carriera dei funzionari (i soli cd. funzionari in senso stretto[20]); dall"altro lato, la carriera degli impiegati e la carriera degli esecutori (ossia i cd. impiegati-dipendenti[21]).   La natura del rapporto di lavoro dovrà pure conseguenzialmente adeguarsi a tale nuova impostazione ed assumere – in conformità all"insegnamento dell"autorevole dottrina di M.S. Giannini[22] – la veste pubblicistica per i dirigenti ed i funzionari, mentre per i ruoli impiegatizi ed esecutivi potrà essere sufficiente quella privatistica.

 

 

 

  1. 4. Riflessioni conclusive.

Il nostro breve discorso appare ora maturo per poterne trarre le conclusioni.

Possiamo in primis rammentare il pensiero del fondatore della scienza della politica, Nicolo" Machiavelli (1469-1527), il quale, nel suo "De principatibus" scritto nel 1513, al cap. XXIII, ci ha ben erudito su quanto sia importante, per una proficua amministrazione della cosa pubblica, che il Principe come qualsiasi altro uomo di governo si circondi di uomini saggi, per cui: "uno principe prudente debbe tenere uno terzo modo, eleggendo nel suo stato uomini savi, e solo quelli debbe dare libero arbitrio a parlarli la verità, e di quelle cose sole che lui domanda e non d"altro; ma debbe domandarli d"ogni cosa, e le opinioni loro udire e dipoi deliberare da sé a suo modo",[23] con questo sottolineando la necessità che la motivazione di ogni decisione politica sia imperniata su dati ed informazioni tecnicamente esatte prodotte da uomini saggi, che, quindi, oggi diremmo selezionati in base al merito.

In altra epoca Immanuel Kant (1724-1804), nelle sue lezioni di etica all"Università di Königsberg, con forte convinzione, ha asserito che: "Noi possiamo apprezzare qualcosa come dotata di un intrinseco pregio, ma stimare e onorare noi possiamo soltanto ciò che trae il suo valore dal merito".[24]

E" stato inoltre Alexis de Tocqueville (1805-1859), nella sua magistrale opera intitolata "La democrazia in America" (scritta tra il 1835 ed il 1840), uno dei testi davvero fondativi di tutto il pensiero Occidentale, a proposito della funzione precipua che deve ricoprire chi governa, a vari livelli, una società, a limpidamente ricordarci che: "Istruire la democrazia, ravvivare, se possibile, le idee, purificare i costumi, regolarne i movimenti, sostituire a poco a poco la scienza dei pubblici affari all"inesperienza, la conoscenza dei suoi reali interessi al cieco istinto, adattare il suo governo ai tempi e ai luoghi, modificarlo secondo le circostanze e gli uomini: questo è il primo dovere imposto ai nostri giorni a coloro che dirigono la società".[25]

Infine, Vilfredo Pareto (1848-1923), nel suo "Manuale di economia politica" (1906), a proposito della cd. classe dirigente (o classe eletta, o élite), ben ammoniva come bisognasse eliminare quelle che possono essere definite come vere e proprie "tossine" del corpo sociale, ossia coloro che non sono all"altezza del ruolo ricoperto, in quanto: "Non è solo l"accumularsi di elementi inferiori in uno strato sociale che nuoce alla società, ma anche l"accumularsi in strati inferiori di elementi eletti che sono impediti di salire.   Quando ad un tempo gli strati superiori sono ripieni di elementi decaduti e gli strati inferiori sono ripieni di elementi eletti, l"equilibrio sociale diventa sommamente instabile ed una rivoluzione violenta è imminente".[26]

Motivo per cui – ha sostenuto ancora Pareto – è necessario consentire il naturale ricambio della classe dirigente, in quanto: "Nell"economia sociale […] Quando negli strati inferiori si sono accumulati elementi attivi, energici, intelligenti; e quando invece gli strati superiori sono inquinati da soverchia proporzione di elementi decaduti accade improvvisamente una rivoluzione, che sostituisce una aristocrazia ad un"altra.   […] Tali rivoluzioni violente possono essere sostituite da infiltrazioni per le quali gli elementi scelti salgono, gli scadenti scendono.   Quel movimento esiste quasi sempre, ma può essere più o meno intenso; ed è da quella diversa intensità che ha origine l"accumularsi, o il non accumularsi, di elementi decaduti negli strati superiori, di elementi eletti negli strati inferiori.   Perché il movimento sia sufficiente ad impedire che l"accumulazione abbia luogo, non basta che la legge permetta il movimento, che non ci ponga ostacoli di nessun genere […]; ma occorre anche che le circostanze siano tali che il movimento possibile diventi reale".[27]

Il pensiero degli illustri autori è chiaro: la scienza dei pubblici affari reclama uomini preparati e meritevoli, che governino la res publica in modo appropriato alle vere esigenze, senza incedere all"approssimazione ed al caso !  E l"avvicendamento delle persone meritevoli al governo dei pubblici uffici (politici ed amministrativi) deve poter avvenire con naturalezza, senza soluzione di continuità, nell"interesse generale di tutti i consociati e della stessa élite, a pena di ineluttabili involuzioni economiche e crisi generali di efficienza.

 



[1] Sull"argomento esiste un"ampia letteratura giuridica, sociologica e giornalistica.   Segnatamente, tra i molti testi, vedi: S. Cassese – J. Pellew, Il sistema del merito nel reclutamento della burocrazia come problema storico, in Riv. trim. dir. pubbl., Giuffrè, Milano, 1987, p. 756 ss; S. Cassese, L"ideale di una buona amministrazione. Il principio del merito e la stabilità degli impiegati, Edit. Scientifica, Napoli, 2007; B. G. Mattarella, Il principio del merito e i suoi oppositori, in Riv. trim. dir. pubbl., Giuffrè, Milano, n. 3, 2007, p. 641 ss; G. Floris, Mal di merito. L"epidemia di raccomandazioni che paralizza l"Italia, Rizzoli, Milano, 2007; R. Abravanel, Meritocrazia. Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro Paese più ricco e più giusto, Garzanti, Milano, 2008; M. Ainis, La cura. Contro il potere degli inetti per una Repubblica degli eguali, Chiarelettere, Padova, 2010; B.G. Mattarella, Il principio del merito, in M. Renna – F. Saitta, (a cura di) Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2012, p. 149 ss.

[2] Cfr. amplius M. D. Young, The Rise of Meritocracy, Penguin Books, London, 1961.

[3] Aristotele, Politica, Laterza, Bari, IX ed., 2007, p. 41.

[4] Ancora Aristotele, Politica, cit., p. 49.

[5] Secondo Aristotele, le tre forme di governo sono: 1) monarchia: il potere in mano ad una sola persona; 2) aristocrazia: il governo dei nobili (letteralmente "dei migliori"); 3) democrazia: il governo del popolo; esse sono passibili di degenerazione rispettivamente in: 1) tirannide: il potere è acquisito e mantenuto da una persona tramite l"uso della violenza; 2) oligarchia: il potere è costituito per favorire pochi; 3) oclocrazia: i poteri sono in mano alla massa ("popolo" inteso in senso dispregiativo).

[6] Cfr. Aristotele, Politica, Laterza, Bari, IX ed., 2007, il quale, dopo aver trattato dei tre sistemi di governo (monarchia, aristocrazia e democrazia) di una polis, osserva p. 112: "tre sono le costituzioni rette e che di queste migliore è di necessità quella controllata dai migliori" (III, 18); di talché, p. 125: "negli stati democratici conformi alla legge non sorge il demagogo ma i cittadini migliori hanno una posizione preminente" (IV, 4).

[7] Così Aristotele, Etica Nicomachea (IV sec. A.C.), Laterza, Bari, VIII ed., 2012, p. 143.

[8] Platone, La Repubblica, Bur-Rizzoli, Milano, IV ed., 2013, in part. cfr. p. 921-923.

[9] M.T. Cicerone, De officiis (44 a.C.), Einaudi, Torino, 2012, p. 63-65.

[10] Sul punto, cfr. S. Cassese, Meno Stato e più Stato. Qualche idea per la modernizzazione amministrativa, in Giorn. dir. amm., Ipsoa, Milano, n. 7, 2013, p. 685 ss.

[11] In argomento, cfr. S. Cassese, L"ideale di una buona amministrazione. Il principio del merito e la stabilità degli impiegati, Edit. Scientifica, Napoli, 2007, in part. p. 22, il quale ci riferisce come nel contesto della Rivoluzione francese del XVIII sec.: "la Dichiarazione dei diritti dell"uomo e del cittadino del 1789 proclama che tutti i cittadini possono essere ammessi a tutti gli impieghi pubblici secondo le loro capacità e senza altra distinzione che quella della loro virtù e dei loro talenti"; ugualmente sul punto, cfr. M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, il Mulino, Bologna, 2013, p. 389, il quale, a proposito dell"art. 97 Cost., dopo un"accurata analisi storica delle "oscillazioni" della disciplina giuridica del rapporto pubblico impiego tra il modello pubblicistico ed il modello privatistico, più volte invero ritenuti sia l"uno che l"altro alquanto insufficienti, ci ha ricordato come, durante la Rivoluzione francese: "[…] la Dichiarazione dei diritti dell"uomo e del cittadino del 1789 stabiliva che il concorso consente a tutti i cittadini di accedere ai pubblici uffici "senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei propri talenti" e ciò in contrasto con le prassi precedenti che riservavano invece questo tipo di incarichi alla nobiltà".

[12] Per un buon testo della Costituzione italiana, con un sintetico commento di guida alla lettura, cfr. G. Ambrosini, Costituzione italiana, Einaudi, Torino, 2005.

[13] Secondo l"art. 3 Cost. "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E" compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

[14] Cfr, amplius, S. Cassese, L"ideale di una buona amministrazione. Il principio del merito e la stabilità degli impiegati, Editoriale scientifica, Napoli, 2007, il quale, dopo aver richiamato i fondamenti storici che stanno alla base di una burocrazia imparziale ed efficiente, ha individuato nel concorso pubblico per il reclutamento e nella meritocrazia per lo svolgimento della carriera dei pubblici funzionari i principi basilari per la costruzione di una P. A. all"altezza dei suoi compiti.

[15] S. Cassese, L"ideale di una buona amministrazione, cit., p. 34-35.

[16] V"é da dire che le leggi vigenti non si preoccupano affatto di stabilire i requisiti culturali minimi e sufficienti per la nomina agli uffici pubblici di caratura politica.   Solo in passato, il R. D. 3 marzo 1934 n. 383, contenente il testo unico della legge comunale e provinciale, si era preoccupato di stabilire, all"art. 7, che: "Per essere nominati ad uno degli uffici o impieghi previsti nella presente legge, salvo i particolari requisiti richiesti nei singoli casi, è necessario […] saper leggere e scrivere" ed, all"art. 43, che: "Oltre ai requisiti di cui all"art. 7, per essere nominato podestà o vice-podestà occorre aver conseguito almeno il diploma di maturità classica o scientifica o di abilitazione tecnica o magistrale, ovvero altro titolo, del quale sia riconosciuta a tal fine l"equipollenza dal ministro della educazione nazionale".

[17] Sulle criticità della cd. classe dirigente in Italia, sia consentito rimandare amplius al nostro studio: L. Ieva, Sulla crisi della classe dirigente in Italia, in Pol. dir., il Mulino, Bologna, n. 1-2, 2013, p. 151 ss.   Inoltre, vedi: C. Carboni (a cura di), Elite e classi dirigenti in Italia, Laterza, Bari, 2007; C. Carboni, La società cinica. Le classi dirigenti italiane nell"epoca dell"antipolitica, Laterza, Bari, 2008.

[18] In tema, vedi: L. Ieva, Un"architettura amministrativa razionale come base per una sana finanza pubblica, in Amministrazione in cammino, LUISS, Roma, 4 nov. 2011 [www.amministrazionein cammino.luiss.it]; L. Ieva Una "eterodossa" proposta: aboliamo le Regioni, in LexItalia.it, Riv. Internet dir. pubbl., Giuriconsult, Palermo, n. 7/8, 2013 [www.lexitalia.it]; M. Oricchio, Entia non sunt moltiplicanda, in LexItalia.it, Giuriconsult, Palermo, n. 9, 2013 [www.lexitalia.it]; L. Ieva, "Ritorno al futuro". Ritorno allo Stato, in Amministrazione in cammino, LUISS, Roma, 28 feb. 2014 [www.amministrazioneincammino.luiss.it].

[19] In particolare, cfr. A. Romano, Un (eterodosso) auspicio di una almeno parziale controriforma, in Lav. pubbl. amm., Giuffrè, Milano, n. 2, 2003, p. 265 ss il quale ha auspicato la riconduzione nell"alveo pubblico del personale dirigenziale e di quello direttivo (in particolare, quello già IX ed VIII q. f.), che esplica propriamente le funzioni pubbliche; mentre resta possibile il regime privatistico soltanto per il residuale personale, che non esercita funzioni pubbliche, bensì soltanto mansioni lavorative di collaborazione e di supporto.

[20] Si tratta del solo personale abilitato ad esplicare all"esterno la volontà dei pubblici uffici.

[21] Si tratta del personale che deve svolgere solo compiti interni di collaborazione ed ausilio ai dirigenti ed ai funzionari.

[22] In tal senso è M.S. Giannini, Rapporto sui principali problemi dell"amministrazione dello Stato, in Foro amm., Giuffrè, Milano, 1979, sez. II, p. 2667 ss e, in part., p. 2682-2683, per il quale: "alcuni dei dipendenti pubblici aggiungono al rapporto di servizio un rapporto d"ufficio, quando divengono titolari di un organo dello Stato, e in tale qualità agiscono con atti autoritativi di pubblico potere: sono le persone attraverso le quali si esprimono le potestà pubbliche. Vi è dunque una fascia di pubblici dipendenti che hanno uno status speciale, per essere, in atto o in potenza, i portatori delle potestà pubbliche", dunque: "C"è allora da chiedersi se un"altra strada percorribile non sia quella di privatizzare i rapporti di lavoro con lo Stato non collegati all"esercizio della potestà pubblica, conservando come rapporto di diritto pubblico solo quello di coloro ai quali tale esercizio è affidato o affidabile, cioè gli attuali direttivi e dirigenti".   Lo stesso Giannini, in altra sede, rilevò la negatività di una concezione pan-pubblicistica del rapporto di pubblico impiego esteso anche a coloro che svolgono mansioni materiali, esprimendosi a favore della privatizzazione solo di questa parte del personale pubblico, con esclusione dei dirigenti e dei funzionari.   Inoltre, cfr. M. S. Giannini, (voce) Impiego pubblico. a) Profili storici e teorici, in Enc. dir., vol. XX, Giuffrè, Milano, 1970, p. 293 ss e, in part., p. 305, il quale, a conclusione della sua profonda analisi, rileva come la assimilazione del pubblico impiego al lavoro privato, possa contribuire a far: "emergere in tutta la sua chiarezza il problema dei funzionari direttivi, per i quali indubbiamente occorrerà una normativa del tutto particolare".

[23] Così N. Machiavelli, Il Principe (1513), Einaudi, Torino, 1995, p. 156-157.

[24] Così I. Kant, Lezioni di etica (1775-1780), Laterza, Bari, IV ed., 2004, in part. p. 216.

[25] Cfr. expressis verbis A. de Tocqueville, La democrazia in America (1835-1840), Einaudi, Torino, 2006, p. 7, il quale invero nel raccontarci di un suo lungo viaggio negli Stati Uniti, fatto con lo sguardo del profondo ricercatore scientifico, ci illustra quali fossero e, in gran parte, ancora siano i peculiari caratteri fondamentali del popolo americano e di quello europeo, analizzati in un costante confronto parallelo, alla luce di una meticolosa analisi empirica e storica.

[26] Cfr. V. Pareto, Manuale di economia politica (1906), Egea - Univ. Bocconi ed., Milano, 2006, p. 226.

[27] Cfr. ancora V. Pareto, Manuale di economia politica, cit., 305-306.




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