Famiglia, relazioni affettive  -  Redazione P&D  -  07/11/2023

Cumulo delle domande di separazione consensuale e divorzio congiunto - Cass. Civ., Sez. I, Ord., n. 28727 del 16 ottobre 2023 - Mariantonietta Bandiera

Con l’entrata in vigore del d. lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022 (c.d. Riforma Cartabia) il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità per i coniugi di chiedere al giudice, contestualmente, la separazione e il divorzio per l’ipotesi in cui non vi sia accordo tra le parti e i procedimenti debbano essere, di conseguenza, giudiziali.

Il nuovo art. 473 bis. 49 c.p.c. prevede, infatti, la possibilità della contemporanea proposizione del giudizio di separazione giudiziale e di divorzio contenzioso: ne consegue che le parti, nell’atto introduttivo del procedimento di separazione personale dei coniugi, possono formulare anche la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

In questa ipotesi dovranno, in ogni caso, decorrere i termini previsti dalla legge, con la conseguenza che decorso un anno dal passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale giudiziale dei coniugi, sarà possibile ottenere la sentenza di divorzio contenzioso.

In conseguenza dell’entrata in vigore della suddetta norma, si è creata una contraddizione nella prassi - sanata recentemente dall’intervento della Suprema Corte - poiché per le ipotesi di separazione consensuale non è prevista espressamente la possibilità di racchiudere in un unico atto anche le conclusioni inerenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e, dunque, alle parti sembrava negata la possibilità di procedere alla separazione e al divorzio consensuale con un unico atto.

Sulla scorta di tali contraddizioni il Tribunale di Treviso, con rinvio pregiudiziale del 31 maggio 2023, ha investito la Corte di Cassazione della questione di rito relativa all’ammissibilità del cumulo oggettivo delle domande congiunte di separazione e divorzio.

IL CASO. I coniugi proponevano ricorso congiunto al Tribunale di Treviso chiedendo al giudice di merito di pronunciare - decorsi sei mesi e previo passaggio in giudicato della sentenza di separazione - lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio alle stesse condizioni richieste per la separazione personale.

Il giudice del Tribunale di Treviso, in sede di prima udienza, ravvisava l’esistenza di una questione pregiudiziale di diritto relativa, appunto, all’ammissibilità del cumulo oggettivo della domanda di separazione consensuale e di cessazione degli effetti civili del matrimonio - posto che il dato letterale dell’art. 473 bis. 49 c.p.c. conferisce tale possibilità alla sola ipotesi di divorzio contenzioso - e investiva, pertanto, la Suprema Corte della questione.

GLI ORIENTAMENTI PRECEDENTI. Il Giudice del Tribunale di Treviso, a fondamento del rinvio pregiudiziale, evidenziava la sussistenza nella giurisprudenza di merito di orientamenti contrapposti sulla possibilità di cumulare le domande di separazione e divorzio nell’ipotesi in cui i coniugi siano d’accordo.

Un primo orientamento negativo, sostenuto dai Tribunali di Bari, Padova e Firenze, si fonda sul criterio letterale: posto che l’art. 473 bis.51 c.p.c. non prevede espressamente, in ipotesi di procedimenti consensuali, quella disciplina del cumulo delle domande di separazione e divorzio che l’art. 473 bis.49 c.p.c. stabilisce, invece, per i procedimenti contenziosi, deve ritenersi che nel primo caso non sia possibile cumulare le due domande con un unico atto (poiché “ubi lex non dixit, non voluit”).

Con la conseguenza che i coniugi, seguendo tale orientamento, decorso il termine di sei mesi dalla sentenza di separazione, dovranno instaurare un nuovo procedimento avente ad oggetto la domanda di divorzio congiunto.

Tale impossibilità, secondo l’orientamento negativo, è motivata dalla natura del procedimento di volontaria giurisdizione che scaturisce dalla domanda congiunta di separazione, che porterebbe inevitabilmente ad un allungamento dei tempi processuali poiché il procedimento - che in una prima fase si concluderebbe nel giro di pochissimi mesi - dovrebbe rimanere pendente fino alla maturazione del termine per procedere con il divorzio (sei mesi).

Inoltre, secondo tale orientamento, i diritti oggetto del successivo accordo di divorzio hanno natura di diritti indisponibili e, inoltre, non sono ancora sorti al momento della domanda, con la conseguenza che si configurerebbero quali “patti prematrimoniali” volti a incidere sugli effetti dell’eventuale successivo divorzio e in quanto tali nulli ai sensi dell’art. 160 c.c. (alla stregua del quale “Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”).

Tale differenza strutturale tra i procedimenti contenziosi e quelli consensuali deriva dal fatto che nei primi le parti, in sede di ricorso cumulativo delle domande di separazione e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, si limitano a chiedere al giudice di merito di procedere congiuntamente alla trattazione e all’istruttoria delle due domande, e non stabiliscono invece gli effetti scaturenti dalle domande stesse.

Infine, motivano i giudici di merito contrari al cumulo nelle ipotesi consensuali che nella disciplina del procedimento contenzioso è prevista la possibilità per le parti, al mutare delle circostanze, di proporre nuove domande e nuovi mezzi di prova relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minori ai sensi dell’art. 473 bis. 19, secondo comma, c.p.c.

Un secondo orientamento, invece, sostenuto dai Tribunali di Genova, Milano Vercelli, Lamezia Terme, ha obiettato che la compatibilità strutturale del cumulo con un determinato procedimento va valutata in concreto e non sulla base della qualificazione astratta della natura del procedimento, con la conseguenza che è compatibile alla struttura del procedimento di volontaria giurisdizione il cumulo delle domande di separazione e divorzio nei giudizi consensuali.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione con ordinanza n. 28727 del 16 ottobre 2023 ha espresso il seguente principio di diritto: “in tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473 bis. 51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio” (Cass. Civ., Sez. I, Ord., 16 ottobre 2023, n. 28727).

Più precisamente, i giudici di legittimità - dopo aver chiarito il concetto di rinvio pregiudiziale - hanno ritenuto ammissibile il cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti consensuali, sulla scorta di un argomento letterale: motiva, infatti, la Suprema Corte che l’uso del plurale nella formulazione dell’art. 473 bis.51 c.p.c. (il quale, per il procedimento consensuale prevede che “la domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis. 47”) lascia aperta la possibilità del cumulo della domanda di separazione consensuale e della domanda di divorzio congiunto.

Non solo. Il cumulo è ammissibile anche in virtù alla ratio sottesa alla modifica legislativa, ossia quella di consentire il risparmio di energie processuali. Infine, motiva il giudice di legittimità che in ipotesi di procedimento consensuale le parti non violerebbero l’inciso di cui all’art. 160 c.c. in quanto gli effetti del successivo divorzio non verrebbero disciplinati in modo tale da comprimere la volontà di un coniuge o i suoi diritti indisponibili, posto che le domande sono modificabili anche in tale ipotesi.

Pertanto, secondo la Corte di Cassazione non sussistono ragioni idonee a giustificare una disparità di trattamento tra i procedimenti contenziosi e quelli consensuali.

La pronuncia in commento è fondamentale perché sancisce l’ammissibilità della domanda congiunta di separazione e di cessazione degli effetti civili del matrimonio. In questo caso la trattazione della domanda congiunta di divorzio sarà condizionata all’omologazione, con sentenza passata in giudicato, della separazione consensuale, oltre al decorso del termine minimo di separazione previsto dalla legge ai sensi dell’art. 3, n. 2 lett. b) della l. 898/1970, ossia sei mesi. La domanda di divorzio, infatti, deve considerarsi improcedibile finché non è trascorso il suddetto termine di sei mesi. Pertanto, decorsi i termini di legge, il giudice rimetterà la causa, con separata ordinanza, dinanzi al giudice relatore affinché questi acquisisca la dichiarazione delle parti di non volersi riconciliare, nonché la conferma delle condizioni racchiuse nell’accordo di separazione.




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