-  Fabbricatore Alfonso  -  18/10/2014

DANNO ESISTENZIALE: CONSIDERAZIONI PER UNA EFFETTIVA RIPARAZIONE INTEGRALE DEL PREGIUDIZIO - A.F.

L"analisi che mi propongo di effettuare prende le mosse da una interessante pronuncia della Suprema corte (Cass. sez. III civ., 27 giugno – 25 settembre 2014, n. 20192, pres. Amatucci, rel. Rubino)  ove, indirettamente, vengono proposti all"interprete attento tutti gli elementi per una (ri)valutazione dell"imprescindibilità del danno esistenziale all"interno del nostro sistema di responsabilità civile.

Un banale scherzo di cattivo gusto, ai danni di una giovane studentessa, tanto è bastato a che la povera disgraziata vedesse dissolversi la possibilità di condurre una vita tranquilla, come ciascuno di noi si augura; una vita fatta di affetti, di amicizie, di svago, di interessi eterogenei e particolari, personalissimi.

Eccolo, nella sua semplicità devastante, il motivo di tante sofferenze: un post-it affisso alla bacheca dell"istituto scolastico frequentato dalla ragazza, messo lì per scherno da tre compagni liceali, in cui, con tanto di numero del cellulare, si offrivano prestazioni sessuali di vario genere.

E di lì telefonate ad ogni ora del giorno, imbarazzo, la notizia che fa il giro del liceo, sofferenza, gli sguardi maliziosi nei corridoi, dolori, la graduale perdita della sicurezza in sé stessa, isolamento, paura, lacrime, tante lacrime.

La giovane studentessa, sfiancata, si decide a denunciare il fatto alle autorità. È l"inizio del vero incubo.

Minacce, scritte oscene sui muri fuori casa, intimidazioni a vario titolo e di vario genere, altre sofferenze, altre ansie, ancora lacrime, la vita che cambia repentinamente e bruscamente direzione, che all"improvviso si accanisce contro chi inerme cerca di proseguire nel buio pesto a tentoni.

Quelle tre simpatiche canaglie non saranno condannate in sede penale, la Corte d"appello di Bologna infatti emetterà nei loro confronti sentenza di non doversi procedere per intervenuta concessione del perdono giudiziale, che, operando come causa estintiva della pena, presuppone comunque l'accertamento della responsabilità penale degli imputati: insomma "siete stati un pò cattivi ma stavolta vi perdono".

Alla vittima invece viene corrisposto in primo grado un risarcimento per il solo danno morale, di modestissima entità ad avviso del giudicante, liquidato in complessivi settecento euro circa, pochi spiccioli. In secondo grado viene liquidato un importo ben superiore a seguito di un"analisi più approfondita dei fatti di causa. Circa trentamila euro; questo, secondo i giudici, il quantum del pretium doloris.

I presupposti per una riflessione su temi che nell"ultimo trentennio hanno colorato le più interessanti vicende in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, ci sono tutti.

Innanzitutto il principio di integrale riparazione del danno, finemente decantato dalle Sezioni Unite nel novembre del 2008, per alcuni un dato di fatto, una certezza, per altri ancora una chimera.

Tale principio, la cui comprensione invero può sembrare immediata almeno sul piano teorico, è sul campo, negli aspetti applicativi, che comporta numerose perplessità e svela la propria natura estremamente complessa. Integrale, almeno in astratto, dovrebbe essere il risarcimento che miri a riparare per intero il pregiudizio subito, né più né meno. È con riguardo al danno non patrimoniale, agli elementi che lo compongono, che il principio in esame sembra mostrare i propri limiti strutturali.

Talvolta è quasi del tutto impossibile, o semplicemente impossibile, far sì che la vittima possa tornare a giovarsi delle circostanze compromesse dall"illecito, tam quam non esset. Le conseguenze dannose, soprattutto in determinati casi (la perdita del congiunto, le gravi lesioni personali subite, la compromissione della sfera volitiva del soggetto, ancorchè azzerata dal propagarsi degli effetti negativi del torto) non potranno essere eliminate, ponendo il danneggiato nella stessa situazione in cui si trovava precedentemente. Il denaro non è strumento idoneo a ripristinare in toto le situazioni soggettive lese, ma oggigiorno, nessuno si sognerebbe di non riconoscergli una sicura utilità economico-sociale che possa almeno in parte, e comunque in via del tutto mediata, riparare al danno subito dalla vittima.

Nonostante l"importanza e la centralità che riveste nel moderno universo in continua espansione  della responsabilità civile, il principio di integrale riparazione, ad una attenta analisi, appare essere riduttivo soprattutto qualora ci si accosti ad alcune particolari fattispecie di danno non patrimoniale: quest"ultimo sembrerebbe infatti costituire oltre che un limite, addirittura un ostacolo al tentativo di attribuire al risarcimento del danno funzioni diverse da quella di mera compensazione del pregiudizio subito: qui sta il limite.

Lo stretto rapporto di proporzionalità diretta tra entità del danno subito e il quantum risarcitorio fa si che non vi sia spazio per valutazioni, in sede di liquidazione, che attengano, diversamente, anche alla gravità della condotta del danneggiante.

Come dare torto, del resto, a quanti hanno evidenziato la paradossale differenza tra chi riceve un"automobile completamente nuova a seguito del sinistro che aveva comportato la totale distruzione della prima, mentre alla giovinetta stuprata viene corrisposto un risarcimento del danno morale che va da un terzo alla metà di quello biologico.

Ricordo inoltre, senza soffermarci nuovamente sui problemi che ne sono derivati, che le sentenze di San Martino partendo proprio dalla necessità di addivenire mediante gli strumenti della responsabilità civile all"integrale riparazione del danno, hanno introdotto un carente concetto unitario ( fortunatamente disatteso) di danno non patrimoniale, negandone la necessaria natura composita e sfaccettata.

I giudici della Suprema Corte hanno escluso che possano essere autonomamente liquidate le varie figure della dimensione non patrimoniale, mirando ad evitare duplicazioni risarcitorie in sede di valutazione, ma incappando, viceversa nello stesso problema che si cercava di eliminare. Il paradosso è evidente: riportare ad un unicum una dimensione tanto eterogenea, fatta di una fitta schiera di pregiudizi diversi ontologicamente, nonché sul piano fenomenico, l"uno dall"altro, costituisce, questo si, un serio pericolo per gli equilibri fragili dell"attuale sistema di responsabilità civile.

E non viene risolto il problema della moltiplicazione delle poste. Si osserva, viceversa, che è lo stesso rischio di cui si discute ad essere duplicato. Dubbi sorgono anche sul piano meramente logico e concettuale in merito ad alcuni passaggi su cui la più autorevole dottrina negli anni ha manifestato le proprie perplessità: del resto affermare che le diverse componenti del non patrimoniale abbiano esclusivamente valore descrittivo, significa ammettere che queste siano profondamente diverse le une dalle altre, ma si finisce poi per pretendere di fare di tutta l"erba un sol fascio.

Ma la pronuncia da cui prende le mosse la presente analisi è parsa fin da subito l"ideale per affinare ancor più le considerazioni svolte finora, in particolare per confermare, casomai ce ne fosse ancora bisogno, l"importanza di una autonoma valutazione del danno esistenziale ai fini di una liquidazione del danno che possa apparire congrua in relazione alle compromissioni in concreto originatesi nella sfera personale del danneggiato.

La giovane studentessa, alla fine, si è vista oltretutto costretta a dover cambiare istituto, a trasferirsi, per sfuggire ad un circolo vizioso di sofferenze ed umiliazioni che rendeva impossibile la prosecuzione di un"esistenza oggettivamente normale, come tante altre.

Dolori, afflizioni, angosce, inquietudini, ma al tempo stesso un repentino scombussolamento delle abitudini di vita, la necessità di dover far fronte alle vicissitudini inventandosi una nuova quotidianità, per forza di cose diversa e lontana dalla realtà precedente. Da una parte dunque i patimenti, gli affanni, i tormenti, dall"altra la modificazione delle condizioni di vita. Danni diversi, che comportano conseguenze diverse: a rilevare, sul versante del danno esistenziale, è la compromissione di tutte le attività che concorrono all"estrinsecazione e realizzazione della persona, inducendo il danneggiato a compiere scelte di vita diametralmente opposte alle reali aspettative; dall"altra il patema d"animo che attiene alla sfera psico-emotiva della vittima. Del resto, nonostante nel pensiero di alcuni dottori il limite più evidente del danno esistenziale sia rappresentato proprio dal non essersi affrancato da una semplicistica identificazione col danno morale, la prova contraria si rinviene appunto nella esperienza empirica della vita umana di tutti i giorni. Affermare frettolosamente che ad ogni appiattimento di una attività realizzatrice della persona segua necessariamente una qualche forma di sofferenza interiore sposta l"attenzione dell"interprete su un campo che non ha riguardo delle differenze ontologiche dei pregiudizi lamentati, ma che diversamente pone due entità distinte in un mero rapporto di causazione.

Più complesso è il rapporto tra danno esistenziale e danno biologico. Ma anche in questo caso una pur breve considerazione và fatta.

Il concetto di persona è ampio e complesso, composto di una serie di valori necessariamente legati l"uno all"altro. La tutela della persona, nella sua globalità, si attua dunque attraverso la salvaguardia di ogni singolo valore che la compone.

La compromissione del singolo valore (la salute, l"uguaglianza, la libertà) può comportare talvolta un effetto domino che si sostanzia nella violazione di altri diritti della persona, senza però scalfire l"autonomia che contraddistingue l"uno dall"altro.

Il danno biologico, la lesione dell"integrità psico-fisica del soggetto, talvolta finisce per riverberarsi sulla sfera dinamico-relazionale del danneggiato in considerazione degli immensi orizzonti cui si riferisce l" astrazione di tutela della salute umana. Ma invero, non è impossibile discernere, neanche in un sistema sostanzialmente biologicocentrico, quelle conseguenze negative che, seppur originatesi dalla lesione del bene salute, presentino sul piano fenomenico differenze tali da farne dedurre un"autonoma rilevanza.

Pacificamente allora il danno esistenziale dovrà essere liquidato, anche qualora sia stato risarcito integralmente il danno biologico, quando le conseguenze ut supra appaiano essere ulteriori ed autonome rispetto al secondo, più vasto, pregiudizio.

Basti pensare a quanto possa essere riduttivo liquidare il danno esistenziale in ragione della patologia sofferta dalla vittima: un parallelismo pericoloso, laddove una modesta lesione psico-fisica comporti, invero, risvolti sul piano esistenziale dalle notevoli conseguenze negative.

Nonostante permangano ancora alcuni dubbi nel pensiero di alcuni studiosi, è innegabile che negli ultimi anni il danno esistenziale abbia ricevuto diversi consensi: siamo in attesa di conoscere l"ennesimo nuovo intervento delle Sezioni Unite su un tema importante qual è il danno da perdita della vita, argomento finemente affrontato, e con coraggio, da una pronuncia di gennaio di quest"anno, la 1361, che ha offerto, tra l"altro, nuovi spunti per una riconsiderazione attuale del pregiudizio esistenziale come elemento imprescindibile ed autonomo all"interno dell"universo del non patrimoniale.

Nel caso di specie da cui si origina questo pensiero, ancora, risulta chiara l"importanza del danno esistenziale negli asseti moderni della responsabilità civile, proprio qualora si tenti di addivenire al risarcimento a favore della vittima di ogni conseguenza in negativo, oggettivamente apprezzabile.




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