Si è cominciato, timidamente, a parlare di trascrizione di matrimoni omosex celebrati all'estero, questa primavera: prima in una cittadina di provincia, Fano, poi ad Empoli, poi via via a valanga a Napoli, Bologna, Reggio Emilia, Firenze e in una sorta di crescendo wagneriano Milano, fino a Roma.
Nel volgere di qualche mese si è registrato un sostanziale cambio di rotta nell'approcciare tale tematica, da parte di giornali e TV.
Fermo restando che alcuni "siparietti" come quello della Pascale ospite al Gay Village in settembre hanno continuato a riproporre i soliti stereotipi del gay tutto piume di struzzo e paillettes ed eccessivo per definizione, hanno d'altro canto avuto l'innegabile conseguenza di portare l'argomento per giorni sotto i riflettori sia sui giornali che in televisione (Luxuria e Gasparri insieme da Mentana..sembrava una delle "interviste impossibili"..).
L'ultimo (al momento) fotogramma di questo racconto è quello sapientemente proposto da Ignazio Marino a Roma: mentre il suo collega milanese Pisapia ha trascritto il matrimonio di 7 coppie omosex -certo con coraggio ma anche con molta sobrietà-Marino ha costruito una scenografia cinematografica, direi volutamente cinematografica..credo che i telespettatori ricorderanno a lungo le immagini delle coppie sorridenti, molte delle quali con in braccio i propri figli....ecco, nell'immaginario collettivo sono sparite d'incanto le immagini roboanti del gay Village, dei boa di struzzo, dei carri coloratissimi e festosamente rumorosi del Gay Pride, lasciando il posto all'immagine sostanzialmente rassicurante di sedici famiglie (perchè questo sono).
Se i telegiornali potessero trasmettere oltre che delle sequenze visive anche una colonna "olfattiva", queste scene odorerebbero di confetti, di pasta di Fissan, di pannolini...di normalità.
Marino, più o meno scientemente, è stato più efficace di tanti dibattiti giurisprudenziali, ignoti ai più, e, come un drammaturgo di platoniana memoria, ha contribuito a plasmare l'immaginario collettivo.