Pubblica amministrazione  -  Gabriele Gentilini  -  12/03/2023

Documento della Corte dei Conti sullo schema di legge delegata sul nuovo codice dei contratti pubblici, con entrata in vigore prevista il 1^ aprile 2023

Ricordiamo che, dopo le direttive europee 17 e 18 del 2004 era stato innovato il quadro normativo in materia di contratti pubblici attraverso la pubblicazione di tre nuove direttive, del 26.2.2014, distanti da oggi oltre otto anni.

Più precisamente si tratta della direttiva 23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (essa riguarda sia le concessioni di lavori già disciplinate dalle previgenti disposizioni europee, sia le concessioni di servizi, prima non disciplinate), della dir. 24 che abroga la dir. 18/2004 (è la disciplina riferibile ai cd. settori ordinari) e  della dir. 25 sulle procedure di appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali che abroga la dir. 17/2004 (settori speciali). Le nuove direttive furono pubblicate sulla GUE del 28.3.2014, ed entrarono in vigore il 17 aprile del medesimo anno, con la fissazione di un termine comune per il loro recepimento (18.4.2016).

Sono qui di seguito riportati i testi delle direttive;

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014L0024&from=it

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014L0023&from=IT

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014L0025&from=FR

In relazione alla legge delegata di cui al titolo si è pronunciata la Corte dei Conti con una sua relazione, che si allega e di cui si riportano alcuni significativi passaggi evidenziati in grassetto corsivo, in cui viene rilevato che attualmente, oltre che dalle direttive europee del 26 febbraio 2014 (le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE), la materia dei contratti pubblici è disciplinata dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante il “Codice dei contratti pubblici”, attuativo anche dei riferiti atti di normazione sovranazionale.
Anche se continua a regolare la materia, il citato codice nel corso degli anni è stato oggetto di ripetute modifiche, di talché non solo oggi risponde ad un’impostazione a volte molto distante da quella originaria ma, soprattutto, costituisce una fonte di difficile interpretazione ed attuazione, finendo così con l’essere un fattore di rallentamento – anziché di snellimento – dell’azione pubblica nel settore dei contratti pubblici.

Continua la relazione:  Da tempo questa Corte evidenzia come le dimensioni del relativo contenzioso mostrino come la complessa legislazione in materia di contratti pubblici faciliti il
ricorso all’azione giudiziaria con significative ricadute negative sia sull’efficienza dell’azione amministrativa (con conseguente incremento delle risorse dedicate agli aspetti giuridici piuttosto che a quelli gestionali) sia sul complessivo mercato di lavori, servizi e forniture.

In tal senso, l’opera di riordino e semplificazione appare auspicabile ed indifferibile.

La Corte dei Conti non manca di rendere manifeste le sue perplessità dal momento che  nonostante tale sforzo, il testo complessivo dello schema di decreto – composto da 5 libri che raccolgono complessivamente 229 articoli, nonché 36 allegati - si presenta ancora ponderoso e di non facile accessibilità.

In proposito, la relazione illustrativa segnala che lo schema in esame “ha un numero di articoli analogo a quelli del codice vigente, ma ne riduce di molto i commi, riduce di quasi un terzo le parole e i caratteri utilizzati e, con i suoi allegati, abbatte in modo rilevante il numero di norme e linee guida di attuazione”.

Quanto ai 36 allegati, la stessa relazione fa notare che “si tratta di un numero comunque contenuto, specie se si considera che solo le tre direttive da attuare hanno, in totale, 47 annessi e che nel nuovo codice gli allegati sostituiranno ogni altra fonte attuativa: oltre ai 25 allegati al codice attuale, essi assorbiranno 17 linee guida ANAC e 15 regolamenti ancora vigenti, alcuni dei quali di dimensioni molto ampie”.

La Corte dei Conti in ogni caso non dimentica e correttamente ricorda che  del resto, il criterio di delega di cui alla lettera a) imponeva il “perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse”.

Come sappiamo in sede di recepimento delle direttive europee, si fa riferimento al Gold Plating come a “quella tecnica che va al di là di quanto richiesto dalla normativa europea pur mantenendosi entro la legalità”.
Entro ovviamente in gioco la discrezionalità di ogni Stato membro, in sede di attuazione delle direttive europee. Se non è illegale, il gold plating è di solito presentata come una cattiva pratica, perché impone costi che avrebbero potuto essere evitati.

Sotto quel rilevo appare interessante la sentenza della nostra Corte Costituzionale sul c.d. gold plating nel recepimento di direttive europee nr 100/2020 del 5/5/2020, con pubblicazione in G. U. 03/06/2020.

In quella si legge che             l’art. 1, comma 1 lettera a della legge delega Legge 28 gennaio 2016, n. 11– prosegue il rimettente – ha infatti fissato, tra gli altri, i seguenti princìpi e criteri direttivi: 1) alla lettera a), il cosiddetto divieto di gold plating, ossia di introduzione o mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, come definiti dall’art. 14, commi 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005); 2) alla lettera eee), la garanzia di adeguati livelli di pubblicità e trasparenza
delle procedure anche per gli appalti pubblici e i contratti di concessione tra enti nell’ambito del settore pubblico (cosiddetti affidamenti in house), prevedendo, anche per questi enti, l’obbligo di pubblicazione di tutti gli atti connessi all’affidamento, la valutazione sulla congruità economica delle offerte, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, e l’istituzione, a cura dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), di un elenco di enti aggiudicatori di affidamenti in house (ovvero che esercitano funzioni di controllo o di collegamento rispetto ad altri enti, tali da consentire affidamenti diretti).

2.2. Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva, poi, quanto alla dedotta violazione dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge delega, che essa prescrive «il divieto di introduzione o mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, come definiti dell’art. 14, commi 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246». Secondo il comma 24-ter, «[c]ostituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie:

a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle
direttive;

b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;

c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive»

Lo scopo del criterio direttivo sarebbe quello di scongiurare il gold plating, delineato dalla Commissione europea nella comunicazione dell’8 ottobre 2010 «Smart regulation in the European Union», ossia la pratica delle istituzioni nazionali di andare oltre quanto richiesto dall’Unione nel recepimento della legislazione europea.
L’esatta individuazione di tale fenomeno andrebbe operata tenendo conto della finalità di omogeneità che la legislazione europea mira a realizzare nell’ambito dell’Unione, per garantire parità concorrenziale tra i suoi cittadini. Ove la legislazione europea riconosca ai singoli Stati facoltà di autonoma disciplina, in relazione alla individuazione di più stringenti sistemi di tutela, non potrebbe ravvisarsi una ipotesi di gold plating.

Nel tornare alla relazione della Corte dei Conti si rileva come        la relazione illustrativa evidenzia che “si è scelto di redigere un codice che non rinvii a ulteriori provvedimenti attuativi e sia immediatamente “autoesecutivo”, consentendo da subito una piena conoscenza dell’intera disciplina da attuare. 
Ciò è stato possibile grazie a un innovativo meccanismo di delegificazione che opera sugli allegati al codice (legislativi in prima applicazione, regolamentari a regime).
Ovviamente, poiché la previsione in esame autorizza l’abrogazione e la sostituzione integrale degli allegati a decorrere dall’entrata in vigore dei corrispondenti regolamenti ministeriali, occorre vigilare affinché gli emanandi regolamenti normino l’intera materia disciplinata dall’allegato e non si limitino ad
intervenire esclusivamente su singole parti dei contenuti degli allegati, comportando così una non augurabile delegificazione solo parziale della materia (la quale darebbe vita ad atti in cui convivrebbero norme di valore legislativo e norme di rango regolamentare).

Prosegue sulla responsabilità erariale per cui               nel contesto delineato dallo schema del nuovo codice, peraltro, solo il mantenimento di una responsabilità erariale anche per colpa grave, sia pure nella definizione data, risulta compatibile non solo con il principio del risultato, come già evidenziato, ma anche con lo stesso principio della fiducia.
Va al riguardo ribadita la centralità dei principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato. Non solo, infatti, gli stessi devono essere utilizzati per sciogliere le questioni interpretative che le singole disposizioni del codice possono sollevare, ma, come chiarisce la stessa relazione illustrativa, viene in rilievo la loro “natura fondante”, tanto da dover ritenere che l’intera disciplina del codice debba risultare coerente con gli stessi.
Nella specie, dunque, l’art. 2 dello schema precisa come il principio della fiducia favorisca e valorizzi l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato. Dispone, quindi, che l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici deve fondarsi sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici. 

Infine, si richiama quanto previsto al comma 4 dello stesso art. 2 dello schema di codice, ovvero l’adozione di azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale (oltre all’adozione di azioni per riqualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti, compresi i piani di formazione di cui all’art. 15, comma 7). Anche quest’ultima previsione appare, infatti, coerente con il corretto mantenimento di una piena responsabilità per colpa grave.


Allegati



Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film


Articoli correlati