Deboli, svantaggiati  -  Alceste Santuari  -  13/09/2023

Gli istituti giuridici cooperativi di cui al Codice del Terzo settore: potenzialità e difficoltà.

A distanza di 6 anni dall’approvazione del Codice del Terzo settore (d. lgs. n. 117/2017), la comprensione e l’utilizzo degli istituti giuridici di cooperazione tra pubbliche amministrazioni ed Enti del Terzo possono considerarsi ancora “in progress”. Molte le potenzialità degli istituti, ma non mancano, certamente, come in tutti i processi riformatori, le difficoltà interpretative ed applicative.

Di questi temi si è discusso nel corso della lezione magistrale su “Co-programmazione e co-progettazione: opportunità e criticità degli strumenti”, organizzata nell’ambito del Corso Magistrale 2023 della Scuola Achille Ardigò, sostenuta, tra gli altri, dal Comune di Bologna e dall’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Alla lezione in parola sono intervenuti, oltre a chi scrive, la dott.ssa Erika Capasso, delegata del Sindaco di Bologna per i rapporti con il Terzo settore e Presidente della Fondazione Innovazione Urbana, il prof. Tomaso Giupponi dell’Università di Bologna, il prof. Luca Gori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’avvocato Luciano Gallo, Referente innovazione amministrativa, contratti pubblici, diritto del terzo settore.

Nel corso della lezione, è stato riconosciuto il valore “strategico” della riforma del Terzo settore del 2017, che ha, da un lato, individuato una categoria di enti (ETS), ai quali è stata assegnata una funzione pubblica, che ne legittima la “speciale” partnership con gli enti pubblici e, dall’altro, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano un “paradigma” diverso rispetto a quello più tradizionale degli appalti pubblici, come ribadito nella nota sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020.

Allo scopo di sostenere un efficace ed effettivo coinvolgimento degli ETS nei processi dell’amministrazione condivisa – termine che più volte è stato richiamato quale “parametro” di riferimento per indicare una pubblica amministrazione che non solo ascolta, ma che “interiorizza” quanto proposto e formulato dagli ETS – è stata rimarcata la necessità di rafforzare la formazione congiunta di pubblici amministratori ed enti del terzo settore. In quest’ottica, è stato altresì segnalata l’importanza di dotare le pubbliche amministrazioni di risorse, umane e finanziarie, adeguate per attivare i percorsi di collaborazione strutturata con gli ETS.

Questi ultimi, inseriti nelle categorie giuridiche di cui al Codice del Terzo settore, tuttavia, non esauriscono la platea delle “formazione sociali” che operano nell’ambito delle comunità locali. In questo senso, è stato più volte sottolineata la potenzialità degli strumenti di autodisciplina regolamentare che gli enti pubblici possono adottare proprio per dare “piena cittadinanza” anche a quei soggetti che, per scelta o per mancanza di requisiti, non risultano iscritti al Runts. Autodisciplina che può risultare contemplata finanche negli Statuti comunali: in quest’ottica, Erika Capasso ha richiamato l’art. 4-bis del Comune di Bologna, il quale, da un lato, individua nella sussidiarietà un “principio programmatico” e, dall’altro, individua l’amministrazione condivisa quale “metodo di lavoro” della pubblica amministrazione.

A riguardo degli strumenti dell’amministrazione condivisa, si è ribadita la loro “originalità” rispetto alle procedure competitive, delle quali i primi non possono pertanto essere considerati quali “deroghe”. Non si tratta, pertanto, di verificare se e in quale misura gli istituti giuridici cooperativi si adattano ovvero possono essere adattati alle procedure competitive o, ancora, possono essere “integrati” con le previsioni tipiche di queste ultime. Al contrario, gli strumenti da implementare da parte del decisore pubblico richiedono una scelta, motivata, che riguarda gli obiettivi da perseguire, i soggetti da coinvolgere, l’orizzonte temporale (medio-lungo) in cui operare, le risorse da mettere in campo, nonché una valutazione di impatto sui risultati e le attività svolte. Su quest’ultimo punto, strategico e fondamentale per una efficace azione nell’ambito delle co-progettazioni in senso lato, sia i relatori sia gli interventi dal pubblico hanno messo in luce l’importanza di non avere fretta. Gli istituti giuridici collaborativi non solo non possono essere equiparati o assimilati alle procedure di natura competitiva, ma richiedono tempo, pazienza, studio, programmazione e, pertanto, valutazione. Possono richiedere anche contaminazioni tra esperienze e competenze diverse, maturate nell’ambito della medesima pubblica amministrazione. Ne è un esempio, la costituzione di una “unità di missione”, contemplata nel Regolamento per la disciplina dei rapporti giuridici con gli enti del terzo settore approvato dall’Azienda Sanitaria di Bologna nelle scorse settimane. Si tratta di una “cabina di regia” nella quale potranno collaborare sia i referenti/responsabili degli acquisti e delle gare sia quanti, a diverso titolo, si devono occupare di convenzioni con gli enti non profit. Lo scopo ultimo di questa collaborazione è quella di sostenere i processi decisionali relativi alle procedure da adottare, affinché esse risultino quanto più possibile aderenti e coerenti agli obiettivi da perseguire. In questo senso, ciascun ente locale, per esempio, potrebbe individuare un assessorato specifico al Terzo settore, al fine di razionalizzare gli interventi, le attività e i progetti a favore e con gli ETS. E ciò in quanto si riconosce che i modelli tradizionali di organizzazione e governance interna agli enti pubblici non sono più rispondenti alla realtà contemporanea.

Poiché la co-programmazione e la co-progettazione non sono identificabili ovvero riconducibili alle “gare”, occorre che esse siano adeguatamente preparate, comunicate e gestite, affinché possano rappresentare una genuina esperienza di amministrazione condivisa. Quest’ultima, è stato opportunamente evidenziato, può essere anche il frutto di iniziative intraprese dagli ETS, fenomeno, ad oggi, ancora poco utilizzato e sviluppato, forse anche per una difficoltà ad immaginare la condivisione quale reale “corresponsabilità” tra pubbliche amministrazioni e soggetti non profit.

In ultima analisi, la lezione ha confermato, da un lato, la “rivoluzione copernicana” innescata dalla Riforma del Terzo settore e, dall’altro, la necessità che quest’ultima – come già avvenuto, per esempio, per il Codice dei Contratti pubblici – possa contemplare qualche revisione, finalizzata a potenziare ulteriormente il coinvolgimento attivo dei cittadini e delle loro aggregazioni, che, come dimostrato dalla reazione alle recenti emergenze climatiche, travalicano i confini civilistici delle soggettività giuridiche consolidate.




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