-  Redazione P&D  -  24/05/2008

IL CORPO NASCOSTO DEI GIURISTI - Cosimo Marco MAZZONI

(segue)

Vorrei parlare di una vicenda che il giurista conosce bene. Essa fa parte del suo bagaglio culturale: ed è un bagaglio culturale che lo distingue da quello di tutti gli studiosi delle altre scienze cosiddette sociali. Questi ultimi hanno davanti a sé dati della vita reale, perché i dati della vita reale sono per l’appunto l’oggetto del loro studio. I sociologi, gli antropologi, gli economisti studiano elementi o porzioni della realtà, non le sue rappresentazioni, come invece fa il giurista. Vorrei dunque parlare del corpo nascosto, del corpo che non c’è, celato dietro spoglie figurative. Sono spoglie che riproducono l’uomo nello specchio che ne fa il giurista. Egli ragiona per figure rappresentative, per artefatti, ovvero – per usare una terminologia a lui consueta - per fattispecie. E’ uno specchio che rimanda indietro l’immagine di un uomo privo di corpo, di un uomo dimezzato.

Vorrei parlare dunque della decostruzione del corpo e della sua disincarnazione. Esse cominciano dalla rappresentazione e dalla divulgazione della sua forma esteriore: quando si sostituisce - o si rende fungibile - la raffigurazione alla sua essenza materiale; quando si sostituisce la realtà virtuale alla realtà fisica. E’ una vicenda che il giurista conosce bene. I modelli che egli ha costruito in più di duemila anni sono sempre modelli rappresentativi, sono forme di qualcosa, sono dati che rispecchiano solo pallidamente il mondo tangibile, perché sono i simboli di quella realtà materiale. La realtà del diritto è all’opposto una realtà virtuale, fatta di figure, di parole. Ciò che al giurista sta a cuore non è il corpo umano, e neppure l’essere umano fatto anche di corpo, ma solo il suo sembiante. Il quale si esprime in una locuzione tipicamente giuridica, e cioè nell’ossimoro “persona fisica”. Se ci pensiamo bene questa espressione è diventata per il giurista un’unità concettuale, un sintagma. Mentre si tratta dell’accostamento di un’astrazione con un dato della realtà materiale.

Così, l’altra espressione “soggetto del diritto” viene costruita come un artefatto dell’ordine giuridico: è insomma un’ istituzione: vitam instituere, secondo la formula di Marciano. Istituire la vita è creare giuridicamente la vita. E’ su questa istituzione che si possono comporre i modelli. Le sue cause fondanti sono dati di una realtà virtuale. Si chiamano persona, soggetto, parte, socio, erede, eccetera; e nella dimensione costituzionale, cittadino.

I giuristi si sono sempre sforzati di dissociare – secondo l’antico modello romanistico – realtà naturali e artifici giuridici, causalità ed imputazione, fatti sociali e norme. E’ così che nasce la distinzione tra l’essere umano, fatto di carne, di ossa, di realtà corporea, e la sua “persona”: quello che Yan Thomas chiama “l’essere concreto e la sua persona”. Sembra si tratti di due entità diverse, e ciascuna si muova nella propria realtà, una virtuale e una fisica. La personalità (giuridica) non svela quasi niente della realtà fisica, psichica, sociale, perché si riduce ad una funzione, che consiste solamente nella sua capacità di detenere ed esercitare dei diritti. Il giurista ha anche inventato l’espressione “fattispecie” (pessima traduzione del tedesco Tatbestand), che significa “immagine del fatto”. Ha coniato la parola corrispondente a ciò che dei fatti egli vuole si rappresenti: si tratta nientemeno che della trasfigurazione della realtà nel passaggio dalla natura al diritto. E’ il legislatore che riduce gli accadimenti della vita reale in fattispecie.
Egualmente, l’ormai impronunciabile parola persona non è l’essere umano fatto di carne ed ossa, ma la sua raffigurazione, l’immagine filosofica e giuridica di uomo. Perché? Perché è priva di corpo, perché è dematerializzata. Solo il corpo può vantare il contrassegno della tangibilità, della tattilità, della carnalità rispetto alla costruzione complessiva di uomo.

La persona non coincide con l’essere umano neppure riguardo ai tempi della sua esistenza. I due concetti, senza essere indipendenti tra loro, non corrispondono cronologicamente. Tempo dell’uomo e tempo della persona: il tempo naturale dell’essere umano non è il tempo giuridico della persona. Nascita e morte si spostano con le nuove biotecnologie. L’inizio della vita è anticipata rispetto alla nascita, così come il suo termine è posticipato o sospeso dalle tecnologie del vivente e dalle terapie di fine della vita. Per stabilire il tempo dell’esistenza della persona il diritto opera una scelta arbitraria, non confortata da alcuna coincidenza con l’ordine naturale. E l’arbitrio è per sua natura confutabile. Il diritto italiano prevede l’acquisto della capacità giuridica con la nascita del feto vivente, il diritto francese la subordina al requisito della vitalità, cioè al perdurare delle condizioni fisiche vitali. Non solo: è da almeno da due secoli e mezzo che il legislatore civile ha appreso dalle scienze biologiche che la vita umana inizia col concepimento e non con la nascita. Ma la legge civile continua a mantener ferma l’ipotesi che sia la nascita a dar vita all’essere umano nella sua configurazione di persona. E’ questo dunque l’arbitrio giuridico: creare una vita giuridica accanto a una vita naturale dell’uomo, e stabilire in qual momento assegnarle rilevanza giuridica. Uomo e persona si duplicano nei ruoli e si unificano nella corporeità. Vorrei ora cercare di dimostrare che alla fine è proprio il corpo, substrato della persona e elemento carnale dell’uomo, a diventare il dato unificante dell’essere umano.

* * *

A partire dal XVI secolo
i giuristi ritornano a ripensare al lascito del diritto romano e riprendono a considerare gli esseri umani in rapporto ad un’entità giuridica distinta da quello che erano nella realtà e in natura. Si scompone ciò che appartiene alla natura e ciò che riguarda il diritto. Secondo la formula di Ugo Donello: homo naturae, persona iuris civilis vacabulum. Ormai ogni uomo era necessariamente “uomo” dal punto di vista universale (e cioè secondo natura e secondo realtà) e “persona” dal punto di vista del diritto. Tanto da indurre Domat a distinguere lo “stato della persona” che riguardava solamente la vita civile da tutti gli altri vari modi della vita reale, che egli chiamava i “generi di vita”. La distinzione, che con Domat viene poi trasferita nel Code civil, serviva a mascherare l’individualità concreta dietro un’entità astratta: dove la prima è biografica e la seconda è statutaria.
Nel sistema delle codificazioni napoleoniche i soli riferimenti all’esistenza del corpo si trovano nel dovere dei coniugi di “nutrire” i figli, nel dovere dei figli di provvedere ai “bisogni alimentari” dei loro ascendenti, e nel diritto dei figli adulterini e incestuosi di ottenere il mantenimento alimentare da parte dei genitori naturali. Per il resto, sembrava assolutamente sufficiente che l’uomo fosse rappresentato dall’astrazione della persona fisica. E così la protezione del corpo contro aggressioni fisiche si è realizzata a partire dal Code pénal e per tutti i codici che ne sono derivati con la disciplina “Dei delitti contro la persona”. La nozione di persona è così arrivata ad assorbire perfettamente l’individualità umana nel suo insieme, tanto che i giuristi sono giunti alla conclusione che il corpo fosse identificabile con la persona. La specificità della sua disciplina ha offerto al civilista ottocentesco il lusso di uno splendido isolamento nei confronti delle cose corporee, da quelle entità che hanno un’esistenza visibile, che “hanno gravità di polpe e d’ossa” come scriveva alla fine dell’800 Giovanni Lomonaco. Un altro civilista dei primi del secolo scorso scriveva:

Se un diritto, come avveniva in Roma e in parte nei secoli scorsi, non fa coincidere il concetto di uomo con

quello di persona, ne consegue necessariamente che si deve stabilire dapprima se si abbia un uomo.


Il mondo del giurista è – dunque - una realtà metafisica: è per questa ragione che il corpo non è mai entrato a far parte del suo bagaglio culturale. Come la morte. Come la nascita. A riflettere bene, la nascita rileva per il giurista solo come un dato sociale, non biologico. E’ il dato sociale e normativo che fa acquistare al corpo nato vivo la qualità di persona. E’ la nascita che si fa persona per il diritto.
La sua rilevanza sulla scena giuridica ne ha trasformato ruolo ed appellativo nei concetti di persona e di soggetto del diritto. Locuzioni queste che, come tutti i giuristi di ogni luogo e tempo sanno, sono un’astrazione, un artificio formale, una metafora: o ancor meglio un artefatto, una rappresentazione. Ecco un testo che potrebbe tornare utile al discorso giuridico:

“Rappresentare” che equivale letteralmente “portare alla presenza qualcosa” e non semplicemente l’incarnazione di un’astrazione di un oggetto, bensì come presentazione di qualcosa in modo diverso – per esempio un cane in un dipinto. La rappresentazione ha quasi sempre un aspetto visivo rappresentare significa un presentare di nuovo – il presentare qualcosa che non è presente – e può assumere una forma linguistica come visiva Il processo rappresentativo è fondamentale per la vita sociale dell’essere umano. Negli umani, le rappresentazioni sono tracciatesi un linguaggio esternalizzato Il linguaggio ci rende capaci di rappresentare (non in modo figurativo, naturalmente, ma arbitrario) quello che non c’è. Da questo punto di vista il linguaggio stesso è un inganno. La parola ”cavallo” non è un cavallo ma può rappresentare il cavallo in sua assenza.


Tuttavia, il giurista rimane disorientato quando ha a che fare con atti di disposizione del proprio corpo, con parti del corpo staccate e che vivono di vita propria perché possono essere rimosse e trapiantate in altri corpi; quando ha a che fare con entità umane non ancora persone, come il concepito, il quale acquista rilievo per via della sua corporeità, per via della sua esistenza come corpo, come entità incarnata: e non come rappresentazione di qualcosa che la scena giuridica sia in grado di riconoscere: ebbene il giurista è disorientato, è impreparato. Deve dare significato ad entità sconosciute al proprio mondo. Deve dare significato a dimensioni prive di valore nel mondo delle proprie rilevanze giuridiche.

Il momento a partire dal quale il corpo entra nel diritto civile è coll’ irrompere delle biotecnologie contemporanee: le parti del corpo, gli organi, i tessuti. Sono pezzi di corpo che diventano valori in sé, vivono di vita propria. La rilevanza, giuridica, dell’embrione si basa solamente sulla sua corporeità. La simbologia dell’embrione come essere umano, con tutte le speculazioni di carattere “bioetico” che ne vengono fate, deve la sua ragione alla materialità di un composto di cellule, al dato empirico di un ovulo fecondato. Taluno ha tentato di rendere possibile l’impossibile, assegnando soggettività ad entità corporali come l’embrione non ancora personificate. Esse producono conseguenze giuridiche solamente in virtù della loro realtà corporale. Si opera così una era e propria contraddizione in termini concettuali. Concetti astratti che servono alla identificazione di realtà fisiche. E’ così che la sostituzione della persona al corpo è in grado di conferire valore giuridico al suo substrato corporale. E’ la materia che si fa spirito, è il corpo che si fa immagine. Come ha scritto Jean-Pierre Baud,

“la fine del XX secolo resterà nella storia del diritto come l’epoca in cui la riflessione giuridica ha dovuto scoprire il corpo, mentre il sistema di pensiero in cui si muoveva era stato costruito duemila anni prima, perché non se ne parlasse, perché non si dovesse pronunciarsi sulla sua natura giuridica e perché il giurista abbandonando la sacralità di questa cosa al prete e la sua trivialità al medico, potesse ricostruire un’umanità popolata di persone, vale a dire di creature giuridiche, cioè create dal giurista”.

Vorrei leggere un testo del grande giurista francese, Maurice Hauriou che nel 1899 scriveva le Leçons sur le mouvement social:

La personalità giuridica individuale ci appare continua e identica a se stessa; essa nasce con l’individuo ed è subito costituita; essa resta sempre la stessa durante tutta la sua esistenza; nel corso degli anni sorregge senza cedimenti situazioni giuridiche immutabili; veglia mentre l’uomo dorme; resta sana quando egli sragiona; a volte essa si perpetua dopo la morte quando ci sono degli eredi che sono i continuatori della persona. Ora, nella realtà delle cose, le volizioni degli uomini sono intermittenti, mutevoli, contraddittorie, non solo esse non si mantengono ferme sullo stesso oggetto, ma cambiano continuamente. Su questa fisionomia agitata, tumultuosa, sconvolta da tutti i capricci e da tutte le passioni che è l’aspetto volontaristico dell’uomo, il diritto ha applicato una maschera immobile.

Coll’ affermarsi del positivismo si accentua da un lato la separazione tra natura e norma; e dall’altro, in contraddizione a questo primo assunto, si assiste ad una sorta di confusione tra uomo e persona, fino ad oggi ben vivo. Ancora alla fine dell’ 800 i trattatisti italiani si dilungavano in questa separazione:

L’uomo è la potenza intelligente – volente - libera; persona è l’essere capace di diritti. Per legge naturale, confondendosi la persona con l’uomo, la capacità di diritto è attribuita ad ogni uomo, e solo l’uomo è capace di diritto. Viceversa per legge positiva, distinguendosi la persona dall’uomo, la capacità giuridica non è attribuita ad ogni uomo, né il solo uomo è capace giuridicamente. La legge positiva, negando la personalità giuridica a qualche individuo umano, costituirebbe una classe di uomini non persone, riconoscendola ad altri individui, ammetterebbe la classe di uomini-persone concedendola finalmente ad esseri non individui umani, creerebbe la terza classe di persone non uomini … La persona fisica, giuridicamente parlando, è l’uomo riconosciuto soggetto di diritto, o l’uomo al quale è concessa la personalità giuridica.

La vita giuridica, quella che inizia con la nascita, potrebbe certamente subire modifiche. Potrebbe fissarsi al momento del concepimento; oppure al 16° giorno dal concepimento, oppure allo scadere del terzo mese di gravidanza in coincidenza col divieto di interruzione della medesima. La legge naturale fa della vita umana un evento in fieri che connota fin dal suo inizio l’individualità e la personalità dell’essere umano, dal concepimento alla nascita. La legge civile – invece – fa della vita umana un’entità chiamata a svolgere un ruolo a partire da un certo stadio del suo sviluppo biologico. E tutti i codici contemporanei hanno scelto il momento della nascita come momento di inizio della vita (giuridica). Ecco, come già ricordavo sopra, un altro arbitrio giuridico.

* * *


Ma non possiamo fermarci qui. Oggi, l’ambiguità della parola “persona” diventa quasi imbarazzante, la dicotomia tra essere ed apparire lo è ancora di più. La questione non diventerà più chiara se continuiamo a restare al livello delle parole, delle definizioni: va spostata sul piano delle analisi delle relazioni vissute, è necessario tener conto delle relazioni e dei legami reciproci degli individui. “Perché si affermi un’identità, bisogna che essa abbia superato la prova della durata e il confronto con l’altro: l’identità non è ciò che precede l’esperienza vissuta, è ciò che ne risulta”.
Oggi il giurista, se non vuol nascondersi dietro nominalismi, è chiamato, è anzi obbligato ad accogliere vocaboli e concetti che reclamano la sua considerazione. A cominciare dalla parola corpo. La quale è entrata nel lessico giuridico per vie traverse, indirette; per via della scienza e della tecnoscienza. Come accennavo prima, sono state le biotecnologie che hanno fatto entrare il corpo nel diritto civile. E il giurista contemporaneo deve fare i conti non più con una realtà trasfigurata o rappresentata, ma con la realtà fatta di uomini e di donne, di corpi fisicamente percepibili, che si toccano e si avvertono coi sensi. L’essere umano non è composto solo di soggettività, ma reclama una considerazione complessiva più ampia e completa. Umanità è diventata parola simbolo in questo contesto. “Si tratta di scorgere i diritti che si radicano nell’umanità stessa”, scrive Stefano Rodotà. Prima di tutto quello di cittadinanza. Il suo fondamento non consiste nell’appartenenza ad un gruppo sociale o a un territorio. Ciascuno porta con sé i dati fondanti della natura umana come tale, a cominciare dai suoi tratti fisici: si pensi ai diritti connessi alla libertà personale ed alla sicurezza fisica, alla famiglia e alla filiazione, alla salute e al lavoro, al domicilio e alla casa, al tempo libero. La cittadinanza diventa così un’idea unificante che riduce ad unità persona e corpo, fisicità e soggettività.
Questo allargamento del lessico - che sottende un radicale cambiamento di prospettiva, è testimoniato anche dal testo legislativo. I documenti legislativi di oggi glissano su questioni di soggettività o di personalità. Prendo per tutti la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 (suggerisco questo testo, ma ne potrei proporre altri). Essi non parlano, nel senso che non parlano più, di soggetti o di persone. Essi parlano direttamente e correntemente di uomo, di umanità, di individuo. La quasi totalità degli articoli della Carta comincia: “Ogni individuo… Ogni individuo ha diritto alla vita, ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza, ecc.” (Se si prende a paragone la Convenzione di Roma sui diritti dell’uomo del 1955 ci si rende conto della distanza. Qui si inizia invariabilmente con “Ogni persona… Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza, ecc.”).
Ecco questa parola nuova per il giurista, che compare in sostituzione – direi programmata, intenzionale – alle altre consuete. Queste stanno perdendo quella centralità che avevano una volta. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (nella sua traduzione italiana) ha al riguardo operato una vera e propria rivoluzione lessicale: ha sistematicamente sostituito la parola individuo a quella di persona. Persino la parola cittadino, così frequente nelle carte costituzionali, qui cede a quella di individuo. In tutto quel testo la parola persona non ricorre mai: eccetto che in un caso, quello dell’uguaglianza di fronte alla legge (“tutte le persone sono uguali davanti alla legge”). E’ un’eccezione significativa. L’eguaglianza formale è un dato della dimensione giuridica, non rispetta né riflette la realtà fisica.

E allora vorrei concludere con qualche domanda. Dovremmo pensare che il giurista del futuro dovrà rinunciare ai concetti di soggettività e di personalità? E che il posto della persona e del soggetto di diritto verrà preso dall’uomo come tale? Oppure dovremo pensare che le nozioni di soggettività e di personalità possono in fondo e senza tanti complimenti essere allargate? Allargate ad altre entità. Ma quali?
Ma poi questo nuovo individuo, questo nuovo uomo che prende il posto del soggetto è davvero fatto anche di corpo, è davvero un essere visibile e tangibile? E da quali segni esterni lo si riconosce, si palesa quel corpo che finora era nascosto? Oppure si è semplicemente cambiato nome alla medesima figura?




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