Biodiritto, bioetica  -  Redazione P&D  -  17/11/2023

Il Friuli Venezia Giulia non può legiferare sul fine vita

Costituzionalisti, avvocatura ed esperti ascoltati in commissione: l’iniziativa spetta al Parlamento. La mozione della maggioranza punta sulle cure palliative

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UDINE. Il Friuli Venezia Giulia non può legiferare sul suicidio assistito, deve farlo il Parlamento. Lo scrive l’Avvocatura dello Stato a cui il Consiglio regionale ha chiesto un parere. Ieri l’hanno ribadito pure i costituzionalisti e i professori universitari ascoltati dalla terza commissione, presieduta da Carlo Bolzonello.

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Sul tavolo ci sono la proposta di iniziativa popolare, supportata da migliaia di firme raccolte dalle associazioni Luca Coscioni e Liberi subito, e la mozione presentata dal consigliere del Patto, Enrico Bullian, per «garantire a ogni persona la libertà di scegliere senza condizionamenti esterni se esercitare o meno il diritto di ricorrere al suicidio medicalmente assistiti quando le condizioni di sofferenza diventano estreme o irreversibili». Si tratta di azioni conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale intervenuta sul fine vita dopo aver concesso un anno di tempo al Parlamento per normare la materia.

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Questo il contesto in cui si è sviluppato il dibattito animato dalle audizioni degli esperti pro e contro il suicidio assistito. Tra una settimana il tema sarà all’ordine del giorno del Consiglio regionale e la maggioranza prepara l’offensiva: dopo aver schierato fior di costituzionalisti, punta sul potenziamento delle cure palliative. Questo è l’oggetto della mozione presentata dal centro-destra che dovrebbe scalzare quella di Bullian e favorire la bocciatura della legge di iniziativa popolare. «Chiederemo il voto segreto» anticipa Bullian, mentre i promotori della legge sono convinti che in Veneto il voto sarà positivo, nonostante anche il Consiglio regionale di quella regione abbia posto il quesito di costituzionalità.

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Ieri è stata la giornata degli esperiti che, a eccezione del direttore della Sores, Amato De Monte, hanno suggerito alla Regione di non legiferare per non rischiare la figuraccia fatta nel 2016 dalla maggioranza di centro-sinistra sul testamento biologico. Il primo a dirsi convinto «che la legge regionale, nel vuoto nazionale, non sia la risposta a tematiche di questo tipo» è stato il professor Gianfranco Sinagra, ordinario di Malattie dell’apparato cardiovascolare all’università di Trieste.

Secondo il docente la proposta di legge trascura le cure palliative: «Il suicidio assistito – ha sottolineato – non può essere una scorciatoia in assenza di cure palliative non attivate». E dopo aver chiesto il riconoscimento dell’obiettore di coscienza, Sinagra ha ricordato che «il suicidio assistito non è un diritto come la vita, la libertà e il lavoro». Dello stesso avviso l’ex assessore alla Sanità della giunta Tondo, Vladimir Kosic, oggi rappresentante della Consulta regionale delle associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie, secondo il quale «il percorso fatto finora sul fine vita dalla Regione va nella direzione opposta al suicidio medicalmente assistito. Peccato interrompere un percorso che non porta a soluzioni drastiche, mi spaventa la deriva che può prendere una strada di questo tipo».

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Kosic non ha dimenticato di citare il caso Englaro e di ricordare che «Eluana è morta in casa di riposo non in ospedale». Unanimi gli interventi dei costituzionalisti Ludovico Mazzarolli, Mario Esposito, Marco Olivetti e Filippo Vari, rispettivamente, delle università di Udine, del Salento, Lumsa e degli studi Europa di Roma, tutti hanno insistito sul fatto che la sentenza della Corte costituzionale non legittima il suicidio assistito, le Regioni non hanno le competenze per legiferare in materia e se lo faranno l’annullamento da parte della stessa Corte sarà certo. «La Regione è bloccata dall’esclusiva competenza statale» ha ribadito Mazzarolli, mentre la professoressa Giovanna Razzano dell’università La Sapienza di Roma, nonché componente del Comitato nazionale di bioetica, riteneva «scandaloso il fatto che in Italia solo il 10 per cento dei pazienti riescano ad avere risposte dalle cure palliative.

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È bene che il presidente e la Giunta di questa regione siano dalla parte di queste persone» anche perché, ha fatto notare, le cure palliative rientrano nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), mentre il suicidio assistito si trasformerebbe in un ulteriore costo per la sanità. Ultimo, ma non per importanza, il professor Gian Luigi Gigli, senior professor all’ateneo friulano, il quale, dopo aver ripercorso la sua attività parlamentare risultata, a suo avviso, fondamentale, per bloccare la legge regionale sul Testamento biologico, nel 2015, ha esortato la commissione a «fermare questa deriva prima che corrompa la vocazione e la missione delle istituzioni e delle professioni sanitarie».

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L’eventuale approvazione della proposta di legge di iniziativa popolare «potrebbe esporsi a rilievi di non conformità al quadro costituzionale di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni». L’Avvocatura dello Stato motiva così il parere nel quale ricorda che «data l’incidenza su aspetti essenziali dell’identità e integrità della persona, la normativa necessità di uniformità di trattamento sul territorio nazionale». A legiferare deve essere lo Stato e non la Regione. L’Avvocatura ricorda infine che la stessa sentenza della Corte costituzionale ribadisce la necessità «di garantire condizioni di eguaglianza in tutto il paese, attraverso una legislazione generale dello Stato, basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale»

 

 




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