Varie  -  Comand Carol  -  25/10/2014

IN ORDINE AL GIUDIZIO DI PERICOLOSITA' - Carol COMAND

La valutazione che è chiamato ad effettuare il giudice amministrativo in relazione ad una corretta applicazione dell'art. 1 del d.lgs 6 settembre 2011, - norma che individua i soggetti destinatari in coloro che si debbano ritenere, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi, coloro che per la condotta ed il tenore di vita, debba ritenersi, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose e, sempre sulla base di elementi di fatto, in coloro che, per il loro comportamento debba ritenersi, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minori, la sanità, la sicurezza pubblica -, non dovrebbe comportare una valutazione di merito dell'atto (di norma ampiamente discrezionale) se non sotto i profili dell'abnormità dell'iter logico, dell'incongruità della motivazione e del travisamento della realtà fattuale.

Così si esprime il giudice amministrativo in una recente pronuncia emessa a seguito di un giudizio in primo grado (T.a.r. Bolzano, 14.2.2014, n. 45) precisando, inoltre, che una misura di prevenzione si ritiene legittimamente applicata indipendentemente dall'esistenza di pendenze penali a carico dell'interessato poichè caratterizzata dal fatto che la valutazione dell'autorità di pubblica sicurezza può fondarsi su "una valutazione indiziaria basata su circostanze di portata generale e di significato tendenziale, o su contesti significativi nel loro complesso".

La conformità al dettato legislativo non richiederebbe, dunque, la sussistenza di specifiche prove in ordine alla commissione di reati bensì la sussistenza di elementi di fatto che "secondo le regole della logica e della ragionevolezza, conducono a riscontrare condizioni di pericolosità sociale" (T.a.r. Roma, 10.2.2014, n. 1583).

Ai fini del giudizio di pericolosità, si sono pertanto ritenuti sufficienti "meri sospetti su elementi di fatto tali da indurre la l'autorità di polizia a ritenere sussistenti le condizioni di pericolosità sociale" contemplate dalla legge (T.a.r. Bari 10.9.2014, n. 1108, T.a.r. Firenze 13.10.2014, n. 1526) mentre, la proclività al reato, si è ritenuta alla luce dello stile di vita "storicamente manifestato attraverso una pluralità di comportamenti oggettivamente verificabili ed apprezzabili" (T.a.r. Torino, 20.6.2014, n. 1087).

Con riferimento alla pericolosità sociale di cui all'art. 203 c.p., si è infine sostenuto che "l'applicazione delle misure di prevenzione superi le premesse della pericolosità sociale di natura squisitamente penalistica, poiché prescinde dall'esistenza o commissione di un reato" per fondare la sua ratio in una "situazione di pericolosità intesa come probabilità" che vengano commessi reati.

La violazione di legge sostanziale parrebbe dunque sindacabile dall'autorità amministrativa adita sotto il profilo della sussistenza dei presupposti mentre, il rispetto delle disposizioni relative al procedimento, parrebbe richiedere una logica, sufficiente e congrua motivazione "la quale in sintesi deve rivelarsi convincente" (così T.a.r. Firenze, 13.10.2014, n. 1526), oltre che una adeguata istruttoria.

Adeguata istruttoria e motivazione parrebbe richiedersi anche ai fini di una corretta applicazione, nella peculiare ipotesi disciplinata dall'art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 a seguito di denuncia per uno dei reati ivi contemplati, del potere di disporre, da parte del questore, il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive (T.a.r. Genova 14.10.2014, n. 1434).

Premesso che la norma da ultimo menzionata ha subito delle recenti modifiche volte a "rafforzarne l'istituto" (così nel disegno di legge n. 2626) mediante l'ampliamento delle ipotesi in cui il c.d. daspo può essere applicato - anche a prescindere dalla condanna o denuncia per specifici reati, ed in relazione ad una condotta definita (art. 6 co. 1 ultima parte) - e che anche le misure disposte ai sensi di tale disposizione debbano essere ricondotte al "genus delle misure di prevenzione o di polizia", con riguardo alla motivazione, il giudice amministrativo ha affermato che, connotandosi il potere del questore di una elevata discrezionalità,"in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto in vista della tutela dell'ordine pubblico" ed essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento "di tenere una condotta scevra da episodi di violenza", il relativo accertamento resta incensurabile nel momento in cui risulta congruamente motivato (così T.a.r. Firenze, 16.10.2014, n. 1568).

Pronuncia in cui si ritiene, anche alla luce della legislazione in vigore, che l'esame dell'atto impugnato e delle relazioni di servizio depositate non abbia posto in evidenza "comportamenti individuali caratterizzati dalla violenza".

Quest'ultima sentenza, pare inoltre degna di essere menzionata (quanto ad iniziativa) per quello che appare il peculiare richiamo alla pronuncia della Corte di Giustizia nella causa C-584 relativa ad un congelamento di capitali in seguito all'applicazione, al soggetto interessato, del regolamento CE 881/2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a soggetti ritenuti pericolosi.

Se di primo acchito l'accostamento parrebbe suggerito dal fatto che le recenti modifiche normative hanno interessato anche il d.lgs n. 159 del 6 settembre 2011 - si è ampliata la sfera soggettiva di coloro cui possono essere applicate misure di prevenzione personali applicate dall'autorità giudiziaria e quelle patrimoniali (artt. 4 e 16) - è invece in ordine al giudizio (rectius alla motivazione) che si riferisce l'organo giudicante.

Si ritiene, in particolare, che la Corte di Giustizia abbia affermato un principio "sicuramente generalizzabile ed applicabile a tutte le misure di prevenzione" quando ha affermato che, "senza spingersi ad imporre di rispondere in dettaglio alle osservazioni presentate dalla persona coinvolta (…) l'obbligo di motivazione previsto dall'art. 296 TFUE" implicherebbe in tutte le circostanze che "tale motivazione identifichi le ragioni individuali, specifiche e concrete per cui le autorità competenti ritengono che alla persona interessata debbano essere applicate misure restrittive" (CdG cause riunite C-584, C-593, C-595).

Tali pronunce attengono, fra l'altro, al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva in riferimento all'obbligo di comunicazione delle ragioni individuali e specifiche relative alle decisioni adottate in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l'eventuale sindacato giurisdizionale sulla legittimità degli atti delle istituzioni (nel caso di specie la Commissione).

In particolare, per quanto qui rileva, con riguardo al controllo giurisdizionale che le compete ai sensi dell'art. 275 TFUE, la Corte di Giustizia ha inoltre affermato che qualora la persona interessata contesti la legittimità della decisione assunta dalla Commissione, il controllo del giudice dell'Unione deve riguardare l'osservanza delle norme attinenti alla forma e alla competenza, inclusa l'adeguatezza del fondamento giuridico.

L'accostamento effettuato - ci si riferisce da un lato alle sentenze della Corte di Giustizia e dall'altro alle misure di prevenzione patrimoniale, piuttosto che quelle adottabili in ambito sportivo -, se può apparire paradossale, considerato in ragione degli ordinari limiti di applicazione delle misure di prevenzione, parrebbe in conclusione condurre ad un'ampliamento di prospettiva che induce qualche riflessione in termini puramente garantistici, nei quali la motivazione giunge a svolgere un ruolo decisivo. (c.c.)




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