-  Valeria Cianciolo  -  26/05/2017

Interesse predominante del minore e art. 388, 2° co. c.p.: quale confine? – di Valeria Cianciolo

Il Tribunale di Livorno ( cfr. provvedimento in calce) ha assolto il padre, co-affidatario dei due figli minori, dal reato di cui all"art. 388, II comma c.p. (mancata esecuzione dolosa dei provvedimenti in materia di affidamento di minori).

La circostanza che ha dato luogo al provvedimento era data dalla mancata riconsegna dei figli al termine delle vacanze estive, secondo le condizioni di divorzio, e l"ordine di immediato rientro presso la madre.

In verità, nel caso specifico non ricorre una volontarietà di inottemperanza all"ordine del giudice, ma una presa d"atto di impossibilità di adempimento. Infatti, i minori in affidamento condiviso, ma con domiciliazione prevalente presso la madre, avevano rifiutato di rientrare presso la stessa al termine delle vacanze estive.

Il padre ricorreva per la modifica delle condizioni di divorzio e la autorizzazione ad iscrivere i minori a scuola nel suo luogo di residenza. L"esame della vicenda giudiziaria portava ad escludere, secondo il Tribunale di Livorno, una valutazione di non correttezza dell"agire del padre, il quale aveva preso atto delle oggettive difficoltà dei minori alla permanenza presso la madre. Non erano riscontrabili strumentalizzazioni o coartazioni dell"altro genitore sui figli che avevano espresso la loro posizione e la loro volontà.

Inevitabilmente, il padre si era giudizialmente attivato di conseguenza e l"epilogo della lite civile, suffragate dalle indagini, dimostravano l"attendibilità del padre.

La ricostruzione giuridica della fattispecie è quindi di esclusione dell"elemento soggettivo nella commissione del reato.

Il reato di "Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice" è stato inserito dal legislatore del 1930 fra i delitti contro l"amministrazione della giustizia, disciplinati dalle norme contenute nel Titolo III del libro II del codice penale (artt. 361 - 393 c.p.).

L'art. 388, 2° co. prevede due ipotesi, una delle quali consiste nell'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, amministrativo o contabile che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci

In relazione alle condotte previste nell'art. 388, 2° co., il dolo generico consiste nella volontà consapevole di eludere la esecuzione di un provvedimento del giudice nelle materie sopra menzionate (nel caso di specie, concernente l"affidamento di minori).

In giurisprudenza si è affermato che il reato di cui all'art. 388, 2° co., è integrato dalla cosciente volontà di eludere il provvedimento, senza che sia richiesto alcun fine specifico (C., Sez. VI, 6.10.1998; similmente, C., Sez. VI, 19.9.1989).

Ai fini dell'esclusione del dolo, quale elemento soggettivo del reato di cui all'art. 388, 2° co. occorre dimostrare che il genitore affidatario, nell'impedire al genitore non affidatario il diritto di visita ricusato dal figlio minore, è stato concretamente mosso dalla necessità di tutelare l'interesse morale e materiale del minore stesso.

Il dolo, richiesto per la configurabilità del delitto di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di un figlio minore (art. 388, 2° co., c.p.), non è integrato nel caso in cui ricorra un plausibile e giustificato motivo che abbia determinato l'azione del genitore affidatario a tutela esclusiva dell'interesse del minore.

La Suprema Corte, infatti, in altre circostanze ha escluso la configurabilità del reato nella condotta del genitore affidatario che aveva rifiutato di consegnare la figlia minore all'altro genitore, non presentatosi all'appuntamento concordato in un luogo ove non era possibile affidare il minore ad altre persone (C. pen., Sez. VI, 28.2.2012, n. 9190. Vedi anche C. pen., 2.8.2006, n. 27613; C. pen., 16.4.2004, n. 17691). Ne consegue che «in tema di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di un figlio minore, ai fini della sussistenza del dolo, occorre stabilire da parte del giudice penale se il genitore affidatario, nell'impedire al genitore non affidatario il diritto di visita nei confronti del minore, sia stato eventualmente mosso dalla necessità di tutelare l'interesse morale e materiale del minore medesimo, soggetto di diritti e non mero oggetto di finalità esecutive perseguite da altri. Infatti, il genitore affidatario, pur obbligato a consentire l'esercizio del diritto di visita da parte dell'altro genitore secondo le prescrizioni stabilite dal giudice, essendo egli nello stesso tempo tenuto a garantire la crescita serena ed equilibrata del minore a norma dell'art. 155, 3° co., c.c., ha in ogni momento il diritto-dovere di assicurare massima tutela all'interesse preminente del minore, ove tale interesse, per la naturale fluidità di ogni situazione umana, non sia stato potuto essere tempestivamente portato alla valutazione del giudice civile: per l'effetto, il rifiuto di visita, specie laddove ricusato dal minore, può trovare giustificazione nell'esigenza prevalente di tutelare l'interesse morale e materiale del minore» (C. pen., Sez. VI, 11.3.2010, n. 10701).

Pertanto il fatto può essere scriminato se l'adempimento dell'agente implicasse un pregiudizio per gli interessi del minore per effetto di situazioni sopravvenute e tali da non consentire il ricorso all'autorità giudiziaria (C. pen., Sez. VI, 9.1.2004, n. 17691; C. pen., Sez. VI, 19.11.2004, n. 4439).

Risulta, inoltre, da escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo nell'inottemperanza all'ordine di consentire all'altro coniuge la visita al figlio in un certo giorno, quando tale inottemperanza sia dovuta a concomitanti impegni del minore, non fissati e non modificabili dal genitore affidatario, quali le lezioni del catechismo (C. pen., Sez. VI, 19.6.2006, n. 27613).

Perché dunque, è apprezzabile il provvedimento toscano in esame?

Perché ha ribadito che se da una parte la condotta non può essere ritenuta esistente con l"esecuzione di un unico comportamento elusivo, sebbene giustificato dal padre e ed unico nel suo genere, dall"altra parte va anche ritenuto che l"esigenza protettiva di tutela degli interessi del minore[1], ove realizzata o anche solo (ma effettivamente) perseguita, diviene elemento scriminante la violazione formale del provvedimento del giudice, per la rilevanza di un dovere costituzionalmente imposto ascrivibile nell"area di operatività dell"art. 51 c.p.[2]

Si può affermare che il principio opera in due direzioni, e si articola in due requisiti.

E" necessario che sussista un plausibile motivo scriminante, che non deve necessariamente integrare gli estremi di uno stato di necessità, ma che ricorre quando l"adempimento implicherebbe un pregiudizio degli interessi del minore per effetto di situazioni sopravvenute al provvedimento stesso: il genitore affidatario è al contempo tenuto, oltre che all"osservanza del provvedimento giudiziale, anche a garantire la crescita serena ed equilibrata del minore.

Non risulta dagli atti che l"imputato si fosse mosso nella direzione di ostacolare volontariamente il rientro dei ragazzi a casa della madre: la situazione, peraltro primo episodio di tal genere, giustificata dal malessere della figli, ha imposto al padre di attivarsi nel bene degli stessi, tutelando la loro posizione.

Corrisponde, pertanto, a massima di comune esperienza l"assunto che, in generale, l"assolutamente occasionale inosservanza delle modalità temporali, logistiche, o afferenti altro aspetto del genere - indicate nei provvedimenti giudiziari afferenti la disciplina di affidamento dei figli minori - non sia idonea, di per sé, a concretizzare l"elusione del provvedimento

 

 

 



[1] Cass. pen., 22 marzo 1993, n. 3363, in Dir. fam. e pers., 1994, 839.

[2] Cass. pen., sez. VI, 10 luglio 2000, in Giur. it., 2001, 341.




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