Biodiritto, bioetica  -  Redazione P&D  -  14/11/2023

Intervista sul caso Indi - Paolo Cendon

Professore, facciamo chiarezza dal punto di vista giuridico: l’opinione pubblica italiana è indignata perché le autorità inglesi hanno bloccato le terapie salvavita,

«Premetto che non conosco perfettamente i dettagli della vicenda inglese, ho solo letto i giornali. Capisco le emozioni, la materia del fine vita è fatta apposta per scatenarle. Ma se la piccolina era senza speranza e se già oggi accusava degradi e sofferenze significative, intollerabili, che altro si poteva fare? in questi casi vorremmo tutti avere la bacchetta magica.  E mi pare che più di uno scienziato italiano abbia detto che la medicina non è affatto, da noi, su questi terreni, più avanzata di quella inglese».

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Si sostiene che il sistema giuridico anglosassone consideri le malattie apparentemente irreversibili come dispendiose, per cui è meglio accompagnare il paziente verso la morte

«Dai miei studi non ho mai tratto l’impressione che, tra Italia e Inghilterra, ci siano orientamenti addirittura opposti.  Nè ho mai letto, in vere e proprie sentenze, riferimenti all’argomento di tipo economico. Anche nel famoso libro di Calabresi e Bobbitt, Tragic Choices, quel motivo è prospettato come una delle variabili di cui tener conto, in un’ampia prospettiva però di politica del diritto. Siamo noi italiani casomai che, in questa chiave, non lo facciamo abbastanza».

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Ma questa può essere considerata una forma di giustizia?

«Non lasciare in vita chi sia senza speranza e già oggi soffra parecchio, è quanto – se l’interessato è d’accordo - bisogna poter fare. Le sentenze americane e inglesi degli ultimi 50 anni sono quelle che ci hanno aiutato, noi italiani, ad aprire gli occhi. Del resto tanti medici nostrani, anche quando l’orientamento ufficiale era vicino all’accanimento terapeutico, si comportavano concretamente in modo assai diverso, ad esempio nel ricorso alla terminal sedation».

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Al contrario la nostra cultura giuridica è legata ai principi della solidarietà, dell’assistenza, dell’accudimento: da noi non esiste la persona “incurabile”, semmai solo quella “inguaribile” … 

«Ripeto che immaginare medici e giuristi inglesi come degli opportunisti, pragmatici assassini a cuor leggero, è una caricatura. Il vero spettro da cui liberarci in Italia, e ci siamo riusciti solo a metà, è quello della vita come realtà da preservare a qualsiasi costo, anche quando il dolore e il degrado siano insopportabili. Obblighiamo così, per salvarci l’anima, un disgraziato a restare al mondo anche se soffre molto e se ci supplica di lasciarlo andare».

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Tra le pieghe della terminologia giuridica inglese è affiorato il concetto di best interest, l’interesse del bambino, il meglio per quella creatura. Ma è davvero così?

« Il best interest, anche da noi,  è un  concetto chiave per  qualsiasi strategia di politica del diritto, in ambito di fragilità umana. Deve anzi diventarlo sempre di più. Non è mai l’unico parametro, beninteso, cui guardare. Ad esempio i testimoni di Geova rifiutano le trasfusioni anche se ciò li farà morire, e da noi la Cassazione ha deciso che bisogna fare come loro chiedono.  Nel caso dei bambini quel riferimento acquista particolare importanza, si pensi alle adozioni».

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Abbiamo l’impressione che in questa drammatica vicenda sia riemerso l’errore etico e giuridico di una sentenza diventata arbitro di vita e di morte.

«Sì, se immaginiamo un diritto prepotente, altezzoso, che non ascolta nessuno. No, se il giudice è semplicemente il regista che mette insieme tutti gli elementi rilevanti nel contesto: un giudice che parla cioè all’interessato, al rappresentante legale, al medico, ai familiari, allo psicologo, e poi trae le conclusioni. Certo se il legislatore, cosa che non sta avvenendo in Italia, si prendesse anche lui le sue responsabilità sarebbe meglio. Ma da noi il Parlamento ha spesso il passo del gambero e non è molto coraggioso».

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Anche contro la volontà dei genitori che a quella bambina hanno dato la vita?

«Il parere dei genitori è sempre importantissimo, e prima di disattenderlo il giudice dovrà pensarci cinque volte. Ma, ripeto, ci sono altre variabili di cui tener conto.  Tutto dipende dalle circostanze. Anche il legislatore italiano, penso alle normative sul consenso informato e sull’amministrazione di sostegno, se n’è ormai accorto: a volte i familiari possono essere accecati dal troppo amore, vittime di illusioni, superstiziosi, ideologizzati, prigionieri del vissuto e del sogno ».

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Sembra che i genitori siano stati usurpati di ogni competenza sulla vita e sulla morte della loro figlia...

« I bambini non appartengono ai genitori, un po’ sì certo, ma non del tutto, per il resto sono di se stessi, dell’umanità in senso ampio.  il bambino ha diritto anzitutto a una vita che sia la migliore possibile, come qualità, un’agenda che meriti di essere vissuta.  Nella misura del possibile dobbiamo chiedere a lui cosa vuole, poi faremo riferimento a un sistema universale di indici: è bello vivere accanto a chi amiamo, non soffrire, essere effusivi e fragranti, veder rispettati i nostri valori».

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La vicenda ci ha toccato perché il nostro governo era arrivato anche a concedere la cittadinanza italiana pur di permettere alla piccola Indi di essere trasportata al Bambino Gesù di Roma e tentare l’impossibile…

«Mossa un po’ propagandistica, direi, se l’aggettivo che la domanda stessa ha usato <<impossibile>> è quello che più si adatta al caso di Indi. Se fossi stato Presidente del consiglio anch’io avrei fatto probabilmente la stessa cosa. Faccio più bella figura se dico di sì, se dico di no, se non faccio niente? Ma forse sono un po’ troppo cinico …».

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Quale sarà l’eredità di questa vicenda?

«Ci si domanderà, come al solito, se Dio esiste. Si cercherà poi qualche capro espiatorio. I nostalgici brontoleranno che al tempo loro questo non succedeva, Si tirerà fuori qualche nuovo slogan. Qualche furbastro starà pensando di farci un film. Qualcun altro ha già in stampa un milione di spillette, da tre euro l’una, con su scritto <<la nostra Indi>>. Qualche magnate speriamo investirà un po’ più soldi nella ricerca scientifica. A parte questo, in Italia non succederà assolutamente niente».

 

 




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