-  Redazione P&D  -  26/08/2009

LA RESPONSABILITA' DEI SANITARI: DILIGENZA E NON ADEGUATEZZA DEGLI STRUMENTI MATERIALI– Nicola TODESCHINI

Lo sforzo tecnico caratterizzante la perizia, non può non interessare, oltre ai profili soggettivi poc'anzi descritti, anche gli strumenti materiali (1) impiegati per adempiere alla prestazione.

La perizia necessaria alla prestazione risulterebbe, per così dire, mutilata ove si volessero disgiungere i due aspetti, quello soggettivo e quello materiale, prevedendo regole diverse nell'uno e nell'altro caso. Invero, la scelta del mezzo attraverso il quale la prestazione trova la sua esecuzione, nonché preparazione, incide grandemente sulla prestazione stessa, potendone pregiudicare anche del tutto l'esito, ove non adeguata al tipo di prestazione sulla scorta dello standard qualitativo richiesto.

Non potrebbe pertanto il professionista limitare la propria responsabilità alla diligenza richiestagli, dal punto di vista professionale delle conoscenze tecniche adeguate -profilo soggettivo-, qualora si avvalesse di strumenti (2) inadeguati, in quanto risulterebbe spezzata la continuità e coerenza, nel corso della preparazione ed esecuzione della prestazione, della diligenza richiestagli.

Potrebbe argomentarsi altrimenti, in un ottica generale, solo ove si verificasse il caso in cui il "creditore della prestazione" fosse a conoscenza dell'inadeguatezza degli strumenti prescelti, analogamente a quanto disposto per il caso della cosa gravata da oneri, diritto di godimento o vizi, nel contratto di compravendita, ai sensi degli artt. 1489, 1491 cod. civ.

Tuttavia, sembra a chi scrive che, nel caso della particolare prestazione oggetto della presente disamina, un'argomentazione analogica di tale larghezza potrebbe considerarsi in contrasto con la delicatezza dei diritti in gioco, potendo comunque ritenersi che, nell'esatto -rectius diligente- adempimento della prestazione professionale da parte del medico, non possa trovare spazio un margine di rinuncia consapevole ai canoni della diligenza professionale che comportino un rischio per la salute del paziente, anche a fronte della consapevolezza -tutta da provare- di quest'ultimo.

Pertanto, potrebbe sostenersi che il medico, essendo tenuto ad esprimere una diligenza che coinvolga, come detto, anche la fase strumentale dei mezzi apprestati, sia tenuto (3) a servirsi di strumenti che garantiscano uno standard qualitativo e tecnico adeguato al tipo di prestazione richiesta e al livello tecnico medio, configurandosi come una violazione della diligenza professionale anche il solo utilizzo di strumenti non corrispondenti ad un criterio di adeguatezza tecnicamente apprezzabile, a prescindere dall'eventuale conoscenza che, di tale inadeguatezza, abbia il paziente: si sarebbe così di fronte anche ad una violazione dei principi deontologici. Infatti l'art. 12 del cod. deontol., nel capo relativo agli accertamenti diagnostici e terapeutici, ricorda che il medico è tenuto ad una «adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e delle prevedibili reazioni individuali nonché delle caratteristiche di impiego dei mezzi diagnostici e terapeutici che prescrive e utilizza» .

Certo che bisognerebbe anche riflettere sulle condizione di gestione e di dotazione strumentale di molti Ospedali italiani, ma questo è argomento che esula dalla presente trattazione.

E ancora, osta ad una possibile liberatoria di responsabilità, caratterizzata dalla conoscenza che il paziente possa avere circa l'inadeguatezza della strumentazione utilizzata, la circostanza che quasi sempre la prestazione è svolta nei confronti di chi non è in possesso dei mezzi culturali per apprezzarne appieno la qualità da un punto di vista tecnico.

Piuttosto, potrebbe verificarsi il caso che il medico, essendo a conoscenza, o dovendo esserlo, dell'inadeguatezza degli strumenti in suo possesso, possa comunque liberarsi da responsabilità qualora dimostri di aver coscienziosamente informato il paziente della circostanza, invitandolo a recarsi presso strutture meglio attrezzate -ovvero organizzandone il trasporto- e rifiutandosi pertanto di eseguire la prestazione sulla base dei mezzi in suo possesso, o comunque eseguendola, laddove possibile, in modo parziale -svolgendo ad esempio solo alcune indagini diagnostiche per le quali si trovi attrezzato- e indirizzando poi il paziente verso presidi ospedalieri o cliniche attrezzate ove proseguire la terapia o le indagini diagnostiche necessarie.

Se, effettivamente, accade molto spesso che la prestazione medica sia svolta all'interno di strutture organizzate, che mettono a disposizione del medico certa strumentazione, senza consentirgli di operare scelte qualitative per mancanza di alternative interne alla struttura, non è possibile adagiarsi su tale dato di fatto evitando comunque di confrontarsi con la realtà dei bisogni tecnici che la patologia del paziente richiede. Venendo ad un esempio pratico, se un particolare strumento diagnostico di non recentissima costruzione consente, nella maggioranza delle ipotesi, di effettuare esami accurati ed obiettivi, ma non è in grado di fornire allo specialista risposte adeguate al trattamento di casi che nascondono potenziali insidie nella valutazione specialistica, il prudente atteggiamento del medico non può non estendersi, come già anticipato nell'analisi di un caso inedito, a scelte che comportino l'invio del paziente presso strutture che posseggano strumenti di diagnosi avanzati e che possano fornire un supporto alla diagnosi ben più attendibile.

Concludendo, e considerando la dotazione della maggior parte degli ospedali, non si può certo far carico al medico dell'inadeguatezza della strumentazione rispetto ai migliori standard tecnologici disponibili, ma nemmeno si può pensare di considerare esente da responsabilità il sanitario che, ben potendo avvedersi di tale inadeguatezza nel caso specifico, ometta di indirizzare il paziente bisognoso di un'indagine più approfondita presso strutture che siano all'altezza di fornirla.

E ancora, considerando l'ulteriore evenienza rappresentata dall'impossibilità di trasportare il paziente, ovvero dall'urgenza del trattamento, onde evitare il prodursi di un probabile grave danno, potrebbe soccorrere al medico, dal punto di vista dell'inquadramento giuridico, la prova dell'impossibilità di cui all'art. 1218 cod. civ. al fine di andare esente da responsabilità.



1. C. MASSIMO BIANCA, op. cit., art. 1218-1219, Bologna-Roma, 1993, 40 e segg.

2. Cfr. Cass. civ. sez. III, 3 marzo 1995, n. 2466: «il comportamento dello specialista ortopedico che adotti pratiche terapeutiche diverse da quelle raccomandate dalla letteratura medica non e' conforme al canone della perizia del medico professionista e determina responsabilità per inadempimento indipendentemente dalla circostanza che il sanitario non disponesse, presso la sua struttura ospedaliera, dei mezzi necessari per far ricorso alla migliore tecnica.» Mascali c. Cristaudo e altro, in Giur. it., 1996, I, 1, 91 nota (CARUSI).

3. “Il criterio della normalità va allora valutato con riferimento alla diligenza media richiesta, avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata, e la condotta del medico specialista va esaminata avendosi riguardo alla peculiare specializzazione e alla necessità di adeguarla alla natura e al livello di pericolosità della prestazione, implicante scrupolosa attenzione e adeguata preparazione professionale (cfr. Cass., 13/1/2005, n. 583), essendogli richiesta la diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria.”. Così Cassazione civile , sez. III, 08 ottobre 2008, n. 24791, Univ. Studi Roma Tor Vergata c. Univ. Cattolica Sacro Cuore e altro, in Red. Giust. civ. Mass. 2008, 10




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