-  Mazzon Riccardo  -  02/02/2017

L'antigiuridicità nel diritto civile e in quello penale: l'esempio del consenso dell'avente diritto - Riccardo Mazzon

L"antigiuridicità obiettiva comporta la verifica del ruolo assunto, rispetto al fatto occorso, dall"ordinamento giuridico complessivamente inteso, ivi comprese, naturalmente, le c.d. cause di giustificazione: infatti, se l"ingiustizia del danno qualifica il fatto in termini di antigiuridicità, talvolta, tuttavia, particolari situazioni soggettive e oggettive possono giustificare in concreto una data azione, di per sé atta a causare un danno ingiusto, nel senso di ledere una posizione soggettiva astrattamente tutelata.

Tali cause sono regolamentate anche nel diritto penale con riferimento a fatti che, altrimenti, costituirebbero reato, ma esse sono rilevanti anche nel diritto privato; in effetti, come spesso osservato (cfr., amplius, da ultimo, "Le cause di giustificazione nella responsabilità per illecito", Riccardo Mazzon, Giuffré 2017), l"illecito civile e l"illecito penale risultano trasversalmente percorsi da istituti giuridici per lo minimo similari ed aventi comunque in comune il nomen che, in entrambi gli ambiti, li contraddistingue (dolo, colpa, responsabilità oggettiva, ecc.); tale trasversalità ben può definirsi necessitata, con ciò indicando almeno due fenomeni caratteristici che la contraddistinguono: trasversalità necessitata in quanto la struttura dell"illecito penale e quella dell"illecito civile ontologicamente risultano pressoché sovrapponibili; trasversalità necessitata con la finalità di dare definizione e disciplina unitaria ad istituti normati nel codice penale (dolo, colpa, responsabilità oggettiva) ma non anche nel codice civile, nonché di dare completezza e dimensione tendenzialmente paritetiche ad istituti (responsabilità oggettiva, antigiuridicità obiettiva, condotta, evento, offesa) se non altro affini, ma trattati con differente intensità nei due diversi settori (quello penale e quello civile).

Emblematico, per dare contezza alle affermazioni effettuate, quanto osserva (così T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 16 dicembre 2005, n. 5004, FA, 2005, 12 3820) il giudice amministrativo lombardo in tema di carenza di antigiuridicità obiettiva determinata dal sussistere, nel caso concreto, della causa di giustificazione del consenso dell"avente diritto: se è innegabile, afferma la pronuncia de qua, la responsabilità verso i terzi per i danni provocati da un"opera illegittimamente realizzata dall"operatore e illegittimamente assentita dalla p.a., non è tuttavia configurabile una responsabilità risarcitoria della p.a., per le conseguenze dannose derivanti dall"annullamento di un titolo ad aedificandum, nei confronti di chi ne abbia chiesto il rilascio, presentando un progetto non conforme alla normativa edilizia e urbanistica; a ciò osta, infatti, il principio di autoresponsabilità, che informa tanto l"art. 1227 c.c. - che esclude il risarcimento dei danni riconducibili al concorso del fatto colposo del creditore -, quanto proprio l"art. 50 c.p., il quale, se nel campo penale esclude la punibilità di chi lede un diritto col consenso della persona che può validamente disporne, nella sfera dei diritti privati – ed in materia di responsabilità aquiliana – comporta l"esclusione della antigiuridicità dell"atto lesivo per effetto del consenso del titolare, ove il consenso sia stato validamente prestato ed abbia avuto ad oggetto un diritto disponibile.

In effetti, la norma contenuta nell'art. 50 c.p., secondo la quale non è punibile chi lede un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne, è espressione di un principio generale di autoresponsabilità, operante anche nella sfera dei diritti privati, che comporta in materia di responsabilità aquiliana la esclusione della antigiuridicità dell'atto lesivo per effetto del consenso del titolare, purché il consenso sia stato validamente prestato ed abbia avuto ad oggetto un diritto disponibile; così, ad ulteriore esempio (Cassazione civile, sez. III, 24/02/1997, n. 1682, Sauro c. Tamellini e altro, Giust. civ. Mass. 1997, 303), in una fattispecie concreta dove la parte aveva agito per ottenere il risarcimento del danno, derivatogli dalla deviazione sul suo fondo di un corso d'acqua ad opera di un altro soggetto privato, alla quale aveva consentito con una convenzione, la Suprema Corte ha ritenuto che, pur essendo nullo l'accordo ai sensi dell'art. 825 c.c., per la natura demaniale del corso d'acqua, il consenso valesse ad escludere l'illiceità del danno, inteso come lesione del diritto disponibile della proprietà del fondo - spettante al soggetto privato - e non del diritto demaniale, la cui titolarità non apparteneva all'attore, ma ad un soggetto pubblico estraneo alla lite ed unico legittimato alla sua tutela.




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