-  Redazione P&D  -  15/10/2009

LE DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO- Antonio RACCA

C’è disagio a parlare della fine vita e l’angoscia aumenta a dismisura quando si tratta del proprio fine vita. La società non ha ancora raggiunta una maturità in tal senso. Il fine vita evoca l’idea che non vi sia più alcuna speranza di guarigione, che l’unica alternativa sia la morte. Riguardano il fine vita anche le cure palliative, alimentazione e idratazione forzata, che facilmente sfociano nell’accanimento te¬rapeutico. Il confine tra cure dovute e accanimento terapeutico è molto sottile. Che condizione disumana quando si è costretti a stare in un letto di sofferenza, continuare a vivere per un tempo indefinito, sotto il continuo controllo medico, in dipendenza da macchine, prodotti farmaceutici ed essere continuamente assistiti da altre persone!
Sicuramente l’amore e la solidarietà del prossimo sono valori importanti che aiutano tanto. Ciò nondimeno vivere senza la speranza della guarigione è come essere già morti.
In tali condizioni le funzioni più naturali e normali della persona sono svanite e si continua a vivere soltanto grazie alla biotecnologia. Oggi, più che mai, si sente un grido di dolore e una forte richiesta di chiarezza sul tema riguardante le scelte di fine vita. Da più parti si im¬plora pietà e tanti malati, se ne avessero la forza e le capacità, griderebbero “basta” per non vivere nella sofferenza.
Ad onor del vero va anche detto che alcuni non esprimono affatto un grido del genere.
C’è chi si erige a paladino della richiesta di rifiutare le cure e chi vi si oppone.
Talvolta può apparire facile pensare di “staccare la spina” ma, in realtà, non è così.
Le cure non sempre recano guarigione e rifiutarle può portare alla morte. Cosa è
preferibile l’accanimento terapeutico o la morte? La morte può essere pre¬feribile quando assume il carattere liberatorio quando appare come la sola alternativa ad un’esistenza di sofferenza, di dolore, di umiliazione, perché vi è la perdita della dignità umana e della qualità della vita.
Talvolta si parla di posizioni per la vita e di quelle a favore della morte che, a loro volta, alcuni farebbero corrispondere alla bioetica cattolica e bioetica laica. Queste contrapposizioni, grossolane e caricaturali, dipendono dai presupposti ideologici o filosofici che si adottano, va riconosciuto ed ammesso che vi sono ideologie diverse che consentono di formulare varie visioni del mondo, che sviluppano varie antropologie e che vi sono più modi per orientarsi. C’è chi ricorre alla metafisica e chi alla razionalità ed ognuno formula il proprio orientamento secondo paradigma che ritiene più validi.
Per tali motivi le cose risultano complesse e il dialogo appare difficile. E’ indub¬bio che sia stata una conquista di civiltà consentire alle persone di esprimere il proprio consenso prima di essere sottoposti a cure mediche. Il problema sorge quando una persona non è in grado di poterlo fare. Attualmente esiste una sorta di omertà perché quando il paziente non può esprimere la sua volontà, è qualche altro soggetto che sceglie per lui imponendo la sua decisione. Solitamente è il medico o qualche familiare.

Le bio¬tecnologie, e non solo, hanno portato alla disumanizzazione della medicina ed hanno aperto scenari agghiaccianti: una persona, da soggetto attivo, diventata og¬getto passivo perchè subisce le decisioni di altri. La normativa attuale impone l’obbligatorietà delle cure quando la persona non le può rifiutare. Per tali motivi la bioetica e le norme esistenti hanno determinato problemi esistenziali di rilevante entità. La vita si è allungata e si verifica sempre più spesso che pur non essendoci alcuna speranza di guarigione, si continua a intervenire in maniera sproporzionata rispetto ai risultati che si otterrebbero, ovvero si continuano a praticare cure senza che vi sia la possibilità di guarigione. In questo caso ci si trova dinanzi all’accanimento terapeutico.
La scienza medica ha aperto nuovi spiragli di speranza ma genera anche molte perplessità, se non addirittura delle tragedie vere e proprie. La speranza attiene all'eventuale possibilità di guarigione e al prolungamento della vita. Le perples¬sità scaturiscono dal fatto che, sempre con maggiore frequenza, al prolungamento della vita corrisponda un’esistenza disumanizzata. L’evenienza di vivere più a lungo preoccupa quando c’è la reale ed assurda possibilità di vivere con indomita sofferenza per lunghi anni, senza che ci sia più alcuna relazione con la realtà che circonda.
La cronaca ci informa che quest’ultima condizione si verifica sempre più frequen¬temente. Come risolvere queste anomalie e rispondere alle grida di dolore?
Una tale situazione potrebbe essere risolta con le “dichiarazioni anticipate di trat¬tamento” che, per essere efficaci, hanno necessità di una legge dello Stato.
Si tratta di un nuovo diritto personale da riconoscere.
Il dibattito in atto sussiste da vari anni e continua ad essere molto acceso perché le implicazioni etiche, religiose, filosofiche, scientifiche, emotive, sociologiche, cul¬turali, ed economiche sono molteplici e spesso contrapposte tra loro.
I presupposti ideologici che orientano i vari schieramenti condizionano a tal punto il confronto che esso non risulta affatto piano e fruttuoso. Per tali motivi non è af¬fatto facile giungere a conclusioni e definizioni condivise, perché anche un com¬promesso appare irraggiungibile. 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film