Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Elvira Reale  -  27/09/2023

Maltrattamenti, litigi e conflitti: una nuova sentenza sulla differenza - Cass. pen. sez. VI, n. 37978/23, pres. Calvanese, rel. Paola Di Nicola Travaglini

Elvira Reale, Associazione Salute Donna e Centro Studi Protocollo Napoli

Il caso riguarda la Corte di appello del Tribunale di Napoli con il  rigetto della sentenza di condanna in primo grado.

La Corte di appello in sintesi giunge a questa determinazione  in base alla convinzione  non fondata che : “nonostante la certa credibilità della persona offesa circa le violenze, fisiche e psicologiche, patite dal convivente, tali da averla portata all'allontanamento dall'abitazione comune, insieme al figlio piccolo, in realtà non emergesse una condotta di «sistematica sopraffazione» dell'imputato, necessaria per l'integrazione del delitto di maltrattamenti, ma soltanto un «altalenante rapporto» connotato dalla morbosa gelosia della persona offesa”.

In premessa viene esaminato il ruolo centrale della persona offesa e delle sue dichiarazioni (parte centrale della condanna di primo grado)  che possono assurgere anche ad unica prova del reato “ La responsabilità penale  (si presenta, ndr.) anche in base alle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che siano sottoposte a vaglio positivo la sua credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca del suo racconto, in forza di idonea motivazione, senza la necessità di riscontri esterni (ex multis Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214; Sez. 6, n. 39578 del 04/10/2022, V., non mass.; Sez. 3, n. 6710 del 18/12/2020, n. 8342, F., Rv. 281005)”.

Ma la sentenza  precisa anche un altro tassello importante che consolida le dichiarazioni della persona offesa dando ad esse una presunzione di veridicità: “D'altra parte, la testimonianza della persona offesa è sorretta da una presunzione di veridicità, stante l'obbligo giuridico di deporre il vero ai sensi dell'art. 198 cod. proc. pen. per cui il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l'attendibilità, non può assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca consapevolmente il falso. Ciò può avvenire soltanto quando vi siano specifici e concreti elementi in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanta a sua effettiva conoscenza (Sez. 6, n. 39578 del 04/10/2022, V., non mass.; Sez. 3, n. 6710 del 18/12/2020, n. 8342, F., Rv. 281005; Sez. 3, n. 25429 del 13/07/2020, L., non mass.)”.

Accanto al richiamo a queste fonti del diritto, la sentenza richiama anche ai doveri di imparzialità in quanto la Corte di appello  avrebbe “operato anche un'arbitraria ed incompleta descrizione delle prove assunte in primo grado…… la sentenza impugnata ha valorizzato esclusivamente le testimonianze del padre e della sorella dell'imputato che, come da loro stessi ammesso, non avevano mai assistito ad episodi violenti o ingiuriosi del loro congiunto; e non ha esaminato o menzionato né la testimonianza della psicoterapeuta né la sua consulenza, né le ammissioni dell'imputato circa le offese pronunciate nei confronti della convivente ”.

Desumiamo quindi  che vi sia  stato un utilizzo improprio del procedimento che rivisita il quadro probatorio andando però a spostare l’ottica di giudizio, dalle dichiarazioni della parte offesa e testimonianze dirette di terzi ( la madre) positivamente correlate tra loro,  alla parola dell’autore e dei suoi testimoni indiretti, assumendoli come prova regina della presenza di litigi e non di maltrattamenti. Da questo modus procedendi si evince anche un richiamo ai giudici a non sottostare a pregiudizi e stereotipi sessisti  che penalizzano la parola delle donne contro la parola dell’uomo.

La sentenza prima di tutto ci ricorda che il reato di maltrattamenti art. 572 cp. ingloba il comportamento di violenza domestica, e che l’oggetto giuridico di questo reato è costituito: “'dall’integrità fisica e morale, dalla dignità umana e dall'autodeterminazione della persona (Sez. 6, n. 9187 del 15/09/2022, dep. 2023, C., non mass.; Sez.6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.; Sez.6, n. 29542 del 18/09/2020, G., Rv. 279688; Sez. 6 n. 2625 del 12/01/2016, G., Rv. 266243)”.

E inoltre contesta l’interpretazione della Corte di appello che il reato è commesso solo se si rinviene una sistematica sopraffazione visto che si ignora : “l'orientamento, ormai consolidato di questa Corte, secondo il quale il reato di cui all'art. 572 cod. pen. è consumato allorché siano compiuti, anche in un limitato contesto temporale e nonostante periodi pacifici, vista la ciclicità che connota questo delitto (Sez. 2, n. 11290 del 03/02/2023, S., Rv. 284454) più atti delittuosi o meno, di natura vessatoria, finalizzati a determinare sofferenze fisiche o morali  della vittima (Sez. U, n.10959 del 29 gennaio 2016, P.O., Rv. 265893; Sez. 6, n. 3377 del 14/12/2022, dep. 2023, N., non mass.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M., non mass.; Sez. 3, n. 10378 del 08/01/2020, M., non mass.) “.

Vogliamo menzionare  a questo proposito, sulla natura della violenza domestica,  quanto relazionato alla Commissione delle  Nazioni Unite sui diritti umani  nel 1995 dalla relatrice speciale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Ms. Radhika Coomaraswamy, che si spinse a equiparare i contenuti della violenza domesticaa quelli della tortura.

La tortura, come definita nel diritto internazionale dei diritti umani, in genere è costituita da quattro elementi fondamentali:

(a) provoca gravi danni fisici e/o dolore mentale,

(b) è intenzionalmente inflitta,

(c) ha finalità determinate, 

(d) coinvolge, in una qualche forma (attiva o passiva) di partecipazione, le istituzioni statali (gli Stati che al minimo non ostacolano o non prevengono).

La violenza domestica altrettanto:

  • implica una qualche forma di sofferenza fisica e psicologica, compresa la morte, in alcuni casi,
  • è un comportamento mirato, perpetrato intenzionalmente,
  • è generalmente impiegata per scopi specifici miranti a ri durre l’autonomia della donna,
  • si verifica con almeno il tacito coinvolgimento dello Stato, se lo Stato non esercita la dovuta diligenza per prevenire abusi domestici.

Ma il cuore di questa sentenza è nella valutazione della violenza domestica contrapposta a litigi, alias conflitti, con l’esclusione  della ‘sopraffazione sistematica’ dai comportamenti messi in atto dall’autore. 

Le argomentazioni utilizzate costituiscono una linea guida per tutti gli operatori, della giustizia in primis, che si trovano a dover fare le valutazioni discriminanti tra  cosa sia la violenza domestica e cosa sia la conflittualità di coppia espressa  dai cd. litigi.

In particolare può essere assunta anche come criterio dai giudici civili quando nelle separazioni o negli affidi si trovano sempre a dover decidere, nelle prime fasi di giudizio (istruttoria) se il contesto in cui si trovano ad operare è quello di una violenza (che oggi ha una presenza forte nella riforma Cartabia , D.lgs. n. 149/2022 , artt. Art. 473  -bis  .40/46) o di una semplice conflittualità contrassegnata da litigi bipartisan.

Censurando quindi ancora una volta la Corte di appello perché ha parlato di: “«sistematiche» forme di violenza, senza peraltro indicare in cosa esse debbano consistere e con quale cadenza temporale”, si passa poi ad una disamina di tutto quello che può delineare un quadro probatorio corretto di cosa sia la violenza domestica.

“ Ciò che qualifica la condotta come maltrattante, in un quadro di insieme e non parcellizzato, è che i reiterati comportamenti, anche solo minacciati, operanti a diversi livelli (fisico, sessuale, psicologico o economico) nell'ambito di una relazione affettiva, siano volti a ledere la dignità della persona offesa, ad annientarne pensieri ed azioni indipendenti, a limitarne la sfera di liberta ed autodeterminazione, a ferirne l'identità di genere con violenze psicologiche ed umiliazioni (Sez. 6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.), in quanto li disegno discriminatorio che guida gli autori dei reati di violenza contro le donne è costituito dal deliberato intento di possesso, dominazione e controllo della liberta femminile per impedirla (Sez. 6, n. 28217 del 20/12/2022, dep. 2023, G., non mass.; Sez. 6, n. 27166 del 30/05/2022, C., non mass.). Il giudice è, dunque, tenuto a valutare non solo gli episodi che ritiene soggettivamente più gravi, sol perché colpiscono l'integrità fisica o costituiscono specifici reati, ma diversamente da quanto avvenuto nella sentenza impugnata, deve valorizzare e descrivere, in modo puntuale, innanzitutto il contesto diseguale di coppia in cui si consuma la violenza, anche psicologica, praticata dall'autore ed il clima di umiliazione che impone alla vittima per lederne la dignità  ( sez. 6 n. 27171 del 06/06/2922,F., non mass.”) .

La Corte di appello di Napoli viene ancor di più redarguita per non aver descritto la qualità e l’intensità dei singoli episodi violenza, trasformandoli tout court in ‘ liti familiari’  operando così una normalizzazione di condotte-reato e  prospettando come accettabili, fino a renderli giuridicamente legittimi, gli atteggiamenti sopraffattori”.

La sentenza ancora si sofferma sulla confusione tra il reato di maltrattamenti e le ordinarie liti, quando appunto “non è presa in alcuna considerazione l'asimmetria, di potere e di genere, che esiste nel contesto di coppia o familiare oggetto di esame, ritenendola un dato neutro”.

Ecco quindi il punto centrale della sentenza: non tenere conto dell’asimmetria di potere del contesto diseguale, della sproporzione di forze in campo che bisogna essere allenati a valutare. La sentenza propone una lettura degli indicatori  che possono aiutare a differenziare correttamente la violenza da un litigio o da una reciproca conflittualità di coppia: “ Alcuni criteri per cogliere la differenza sono, ad esempio, che vi sia o meno l'ascolto del giudizio e della volontà altrui; che la relazione sia consapevolmente e strutturalmente sbilanciata a favore di uno solo dei due in ragione dell'identità sessuale; che emerga o no un divario di potere fondato su costrutti sociali o culturali connessi ai ruoli di genere tali da creare modelli comportamentali fissi e costanti di prevaricazione; che una parte approfitti di specifiche condizioni soggettive (età, gravidanza, problemi di salute, disabilita) per esercitare anche un controllo coercitivo; che si ripeta o meno, con modalità prestabilite e prevedibili, la soccombenza sempre dello stesso soggetto attraverso offese o umiliazioni o limitazioni della sua libertà personale o di esprimere un proprio autonomo punto di vista; che la sensazione di paura per l'incolumità o di rischio o di controllo riguardi sempre e solo uno dei due anche utilizzando forme ricattatorie o manipolatorie rispetto ai diritti sui figli minorenni della coppia (Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M., non mass.).”

Infine occorre sempre individuare per qualificare correttamente il reato, non solo i singoli fatti parcellizzati e isolati nello spazio/tempo,  ma soprattutto  il contesto e  il clima di terrore psicologico, generato come effetto dai singoli atti, che determina nella donna la percezione stabile e continua  di esposizione alla violenza,  alterandone sia elementi della sua personalità (il suo essere e sentirsi una persona libera e propositiva) sia i comportamenti orientati, dal timore di atti lesivi e minacce credibili, alla sottoposizione a soprusi, abusi e dictat.

E necessario, dice la sentenza, che si valuti  una relazione di potere come quella  presente nella relazione di coppia: “ Per questo il reato di cui all'art. 572 cod. pen., proprio in quanto reato abituale, impone innanzitutto l'accertamento delle condotte dell'autore e del dolo per poi inserirle nella dinamica della relazione tra autore e vittima, al fine di individuare I' eventuale condizione di ordinaria gerarchia in cui si inscrivono i singoli e più gravi episodi che non necessariamente si sostanziano nella violenza fisica, assumendo, quella psicologica spesso una maggiore capacità traumatica in quanto incidente sull'identità e la dignità della persona offesa”.

La sentenza poi censura il tipico comportamento degli operatori della giustizia, ma non solo  il loro, quando indica i modi  in cui la Corte di appello di Napoli,  con una inversione inaccettabile di ruoli tra autore e vittima, fa ricadere in capo alla vittima la responsabilità degli atti violenti dell’autore: “Inoltre, con una inammissibile ed incongrua inversione dell'oggetto dell'accertamento penale, costituito dalle sole condotte maltrattanti dell'imputato, con conseguente irrilevanza dei comportamenti o delle reazioni della vittima ai fini della sussistenza del delitto (Sez. 6, n. 8729 del 18/01/2023, A., non mass.; Sez. 6, n. 11733 del 26/01/2023, F., non mass.; Sez. 6, n. 9187 del 15/09/2022, dep. 2023, C., non mass.; Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, dep. 2023, V. Rv. 284107; Sez. 6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M., non mass.), la Corte di merito ha attribuito alla persona offesa la responsabilità delle violenze subite per avere inteso conoscere se il convivente avesse un altro figlio, qualificando erroneamente detta condotta come gelosia. In tal modo si è operata una vera e propria distorsione logico-giuridica assumendo come legittimo il sistema punitivo del signor X  con vessazioni e umiliazioni, per avere la donna disobbedito alla sua volontà”.

La sentenza rinvia a quanto censurato dall’articolo 18 della convenzione di Istanbul per aver praticato in questo modo una vittimizzazione secondaria della persona offesa;  ricordando anche che per tali comportamenti l’Italia per altro è stata anche censurata dalla Corte EDU. “J.L. contra Italia, 27 maggio 2021, parr. 140 e ss. in cui si ammonisce l'Autorità giudiziaria italiana dall'utilizzo di motivazioni che «espongano le donne alla vittimizzazione secondaria usando parole colpevolizzanti e moralistiche che potrebbero scoraggiare la fiducia della vittima nella giustizia» .

Questa  sentenza si iscrive cosi in un nuovo filone che non è più solo giurisprudenziale ma anche formativo per le nuove generazioni di magistrati e di operatori della giustizia.

Aggiungiamo alla sentenza, che ha toccato il tasto della violenza psicologica e del controllo coercitivo, che essi dal 2015 sono oggetti di una legge specifica in Inghilterra, che ha dovuto definire come il controllo sia quella violenza a distanza che non include necessariamente la violenza fisica. Il controllo coercitivo fa uso essenzialmente di strumenti psicologici come la svalutazione, le accuse verbali, le intimidazioni e le minacce che incutono timore e che oggi, pur essendo stato  nonostante come reato valido per uomini e donne, ha senza ombra dubbio (statistiche inglesi alla mano), una quasi totalità di donne ( il 95%) che lo denuncia. Il controllo  coercitivo poi si sostanza di una serie di comportamenti pratici  che trovano riscontro nella limitazione della libertà delle donne nella vita quotidiana, facilmente rinvenibile in indagini consapevoli e mirate.

Sempre per sostenere al meglio l’attività dei giudici nel configurare il contesto probatorio della violenza domestica e la sua differenziazione dai litigi e conflitti di coppia,  facciamo anche riferimento ad uno strumento semplice utilizzato dalle Corti australiane, nei contesti civilistici dell’affido,  per rappresentare il divario di potere uomo donna; uno strumento di tal genere, questo o altri, può  fare da bussola  anche nelle situazioni, che capitano frequentemente,  di denunce contrapposte, in cui gli uomini contro denunciano le donne per violenze fisiche, verbali e psicologiche. Prima allora di applicare la regola salomonica del pari e patta, che vige di frequente nei nostri tribunali, occorrerebbe misurare con una scala ad hoc il differenziale di potere uomo donna nei vari ambiti, a cominciare dalla sproporzione di forza fisica con la conseguenza di maggiore credibilità delle minacce verbali e maggiore offensività della violenza fisica.

Lo strumento che riportiamo, come un esempio tra gli altri, si chiama PPP- Potency, Pattern of violence and Primary perpetrator  e propone un metodo per valutare il rischio conseguente alla violenza, esaminando la potenza, il modello di comportamento e l'autore principale della violenza. 

Parte A: Potenza della violenza (livello di gravità, pericolosità o rischio di letalità); parte B: Modello di violenza e controllo coercitivo; parte C: Indicatori dell'autore principale: chi è l'aggressore principale tra i due? Si tratta di tre brevi e semplici checklist, alle quali  si possono aggiungere altri indicatori, tratti da altre checklist sullo stesso tema, utili a definire  anche con maggiori dettagli il livello di potere in una coppia in cui ambedue i protagonisti si sono definiti  ‘vittime di violenza domestica’.

Riportiamo solo le parti  B e C particolarmente interessanti perché ipotizzano i comportamenti diversi tra autore e vittima e si focalizzano sul controllo coercitivo tipicamente utilizzato dagli uomini, esercenti un maggiore livello di potere nella coppia.

PARTE B -  Modello di violenza e controllo coercitivo

1. C'è una storia di violenza fisica, tra cui: La distruzione della proprietà? Minacce (di ferire sé o altri )?Violenze ripetute ? la coercizione sessuale o lo stupro?

2. Ci sono stati indifferenza o disprezzo per l'autorità (ad esempio, il rifiuto di rispettare regole genitoriali imposte dal  giudice, o regole che riguardano la protezione del partner )

3. La persona ha paura è intimidita?

4. C'è una storia di abuso emotivo/psicologico e attacchi contro l'autostima?

5. Indicare se una delle parti prende tutte le decisioni (ad esempio, su sociale, lavoro e attività del tempo libero; come viene speso il denaro; come i bambini sono disciplinati)?

6. il partner ha imposto o limitato i contatti esterni (ad esempio, con il lavoro, gli amici e la famiglia)?

7. C'è evidenza di preoccupazione ossessiva, di gelosia  e possessività del partner?

8. Dopo la separazione, ci sono stati ripetuti tentativi indesiderati di contattare il partner (ad esempio stalking )?

9. Vi sono state più richieste  / contenzioso giudiziario ( stalking giudiziario)  che sembrano avere lo scopo di controllare e arrecare molestia?

Parte C: Indicatori autore primario: Chi è l'aggressore primario,

“1. Chi fornisce un resoconto più chiaro, preciso e plausibile dell'evento di violenza ? Chi nega, minimizza, offusca, o razionalizza l'incidente? (La vittima più probabile fa il primo racconto, l'autore quest'ultimo).

2. Quali motivi vengono utilizzati per spiegare perché l'incidente si è verificato? (Le vittime tendono ad usare un linguaggio che suggerisce che stavano cercando di placare, proteggere, evitare, o fermare la violenza, mentre gli autori descrivono il loro intento che è quello di controllare o punire).

3. Qual è la dimensione e la forza fisica di ciascuna parte rispetto alla quantità di danni e lesioni risultanti l'incidente ? entrambe le parti hanno una formazione specifica o abilità in combattimento? (Gli autori che sono meglio attrezzati sono in grado di causare il danno maggiore).

4. i tipi di lesioni o ferite subite potrebbero essere causati da atti aggressivi (l'autore) o atti difensivi (della vittima)?

5. Se l'incidente ha coinvolto ambedue, gli atti di violenza / lesioni  prodotti da una parte sono stati di gran lunga superiori a quelli prodotti dall'altro? (chi resiste alla violenza tende ad affermare solo la forza necessaria per difendersi e proteggersi, gli  autori primari quando reagiscono , sono più propensi ad aumentare l'uso della forza al fine di controllare e punire).

6. una delle parti ha avuto un ordine di protezione, sia in questo o in una precedente relazione?

In allegato la sentenza 37978/23 ed il testo integrale dell'articolo completo di note.


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