Insieme a Franco Basaglia è stato massimo fautore della deistituzionalizzazione nell’approccio al disagio mentale. Aveva 80 anni
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È morto giovedì 16 marzo lo psichiatra Franco Rotelli, colonna portante della rivoluzione basagliana. L’ex dirigente medico è mancato alle 9 di mattina nella sua casa di Trieste: un male scoperto soltanto un mese fa non gli ha dato scampo. Aveva 80 anni.
La notizia della sua morte è circolata subito in città, appena un post, pubblicato sulla pagina Facebook di Rotelli stesso, ne ha reso l’ufficialità: “Un caro saluto a tutti voi e un momento per ricordare il pezzo di strada fatto insieme. Una vita così lunga e intensa come quella appena trascorsa non si dimentica facilmente”.
Uomo lungimirante e dagli ampi orizzonti, “viene descritto da chi ha lavorato e vissuto con lui – riporta l’Ansa – come determinato e in grado di associare innovazioni perfino visionarie a particolari capacità di coordinamento in grado di realizzarle”.
“Nel suo interrogarsi sul senso stesso di fare psichiatria, Rotelli, insieme a Franco Basaglia, è stato massimo fautore della deistituzionalizzazione, intesa come passaggio imprenscindibile nel superamento di un approccio semplicistico al disagio mentale basato sulla violenza e sull’esclusione sociale”, si legge in “Quale psichiatria?” di Franco Rotelli, edito Alphabeta e a cura di Agnese Baini.
Nato a Casalmaggiore, in provincia di Cremona, fu proprio Basaglia, quando Rotelli si trasferì a Trieste, ad affidargli la responsabilità di una parte importante dell'Ospedale Psichiatrico di questa provincia. Rotelli aveva vinto il concorso di primario nel 1973 a soli trent'anni.
Così si è espresso a caldo il suo inseparabile collega e amico Peppe Dell’Acqua: “Perdiamo un professionista e un amico che non ha eguali per il suo impegno e la sua generosità. Franco ha dato come nessun altro alla Psichiatria e a questa città, e questa perdita avviene proprio in un momento in ci sentiamo tutti ancora più scoperti e fragili nel portare avanti il nostro lavoro. Negli ultimi anni siamo stati costretti ad andare avanti facendo leva sulla memoria di fronte a governatori insensibili. Come collega lo stimavo tantissimo e come amico gli volevo tanto, ma tanto bene”.