-  Trisolino Luigi  -  05/06/2015

REATO OMISSIVO E IUS TECNICO – Luigi TRISOLINO

-Il diritto penale quale "extrema ratio" del sistema giuridico

-La fenomenica del reale e la forma omissiva di manifestazione del reato

-Il reato di omissione dinanzi alla legalità formale e alla legalità sostanziale del sistema penale

 

Il diritto penale si caratterizza, all"interno della compagine ordinamentale giuridica dell"organizzazione sociale, quale "extrema ratio", ossia quale ultima spiaggia nel cui entroterra, normativamente predeterminato in senso rigoroso (principio di irretroattività quale corollario formale della legalità), vengono sussuntivamente qualificate delle condotte – attive in primo luogo e per antonomasia culturale, ma anche omissive – che si pongono in una relazione antinomica con l"integrità, la conservazione, la tutela, o l"evoluzione di determinati beni della vita, rintracciabili nello spirito dei principi costituzionali fondamentali.

Se l"anzidetta ontologia generale e, conseguentemente, la teleologia dell"ordinamento punitivo-rieducativo, tradizionalmente denominato "penale" (per via delle ricongiunzioni storiche della forza pubblica punitiva al carattere afflittivo della penalità), nutrono il terreno dei singoli formanti dispositivi di carattere normativo che costituiscono un complesso sistematico ed organico retto dal carattere logico della coerenza ed unitarietà, attraverso il vaglio ermeneutico inferenzializzato, assume particolare importanza il bene della vita della certezza del diritto; bene fattosi dato scientifico, da un lato, e oggetto gnoseologico di trattazione scientifica dall"altro lato.

Il perseguimento della certezza del diritto, se nei versanti nomo-dispositivi civilistici ed amministrativisti può talvolta apparire come un"entità logica in verità edenica o, meglio, tendenziale, e non un"essenza rilevabile in una versione pura nella realtà applicativa della "praxis", nell"apparato giuridico della c.d. "extrema ratio" del "ius", a rigore, e anche in virtù del diritto penale minimo (lontano, invero, dalle semplicistiche auspicazioni illuministiche del diritto quale insieme di poche leggi scritte, chiare, precise e semplici, alla portata anche del laico del diritto), non può essere caratterizzata da un così basso grado di pregnanza. Come nel diritto penale deve risultare al di là di ogni ragionevole dubbio (art. 533 c.p.p.) il grado di certezza ai fini della ascrivibilità di un fatto storico determinato e certamente ricostruito ad un soggetto, anch"esso fisicamente determinato, e in presenza dei presupposti tutti normativamente richiesti ai fini imputativi, al contrario del diritto civile ove basterebbe la pregnanza dell"evidenza ed ove il livello di auspicabile probabilità prossima alla certezza può essere configurabile nel senso del più probabile che non, così nel sistema normativo di stampo penalistico il fondamento e il presupposto della punibilità, e quindi dell"azionabilità della macchina-giustizia per l"accertamento del fatto e per l"attribuzione di questo ad un soggetto determinato, non può manifestarsi alla generalità dei consociati quale costrutto prescrittivo di divieto o di imposizione scarso dal punto di vista della determinatezza e della offensività, anche nel suo corollario della materialità.

Il sistema codicistico penale è costruito intorno alla punibilità del cattivo "agere" antropico. Una azione umana che si manifesti quale percepibile nel mondo naturalfenomenico, ed anche in quello sintetico derivante dai costrutti tecnicistici, risulta ordinariamente connettibile ad una dimensione energetico-cinetica in senso attivo, dove nel contegno del soggetto agente è fisicamente rintracciabile il fondamento eziologico-meccanicistico causativo, appunto, del meccanismo di produzione dell"evento della realtà.

Le concezioni in passato imperanti nel panorama scientifico basico della teoretica del reato, però, erano ispirate da visioni di stampo meramente meccanicistico-naturale, o di stampo prettamente psichico. Una sistemazione dogmatica che volga i propri passi verso una tenuta giuspositivistica dell"ordinamento, tuttavia, non può punire comportamenti meramente inerti soltanto perché effettivamente causativi di una lesione di un bene della vita protetto in generale e in astratto da norme di carattere superiore (nel caso del sistema italiano, i principi fondamentali della Carta costituzionale, a partire dal 1948). Una siffatta patente punitiva implicherebbe un inaccettabile sorpasso degli stessi specifici fondamenti costitutivi dell"ordinamento giuridico penale, nel versante del principio di legalità in senso sostanziale, in particolare nel suo corollario del principio di determinatezza.

E ancora, si è posto il problema di tenuta logica del reato omissivo dinanzi alla constatazione che una mera inerzia di un centro imputativo antropico non può generare un"offesa ad un"altra sfera antropica, giuridico-esistenzialmente o giuridico-patrimonialmente rilevante. Una inerzia, in senso fisico-classico, non può generare uno spostamento fenomenico della realtà naturale, in astratto. Si comprende bene, allora, come si sia da più parti auspicato un ripensamento del fondamento scientifico dell"ammissibilità della forma manifestativa del reato in senso omissivo: si è pervenuti così alla concezione normativa del reato omissivo.

Più che di reato omissivo, come autorevole e rigorosa dottrina ha rilevato, dovrebbe parlarsi di reato di omissione. Ciò (potrebbe essere spiegato a parer di chi scrive) poiché fenomenologicamente è la omissione ad essere concettualmente isolata nella propria onticità reale, non la categoria del reato omissivo.

A parlare di omissione, accanto alla tipica forma commissiva di manifestazione del fatto di reato, è lo stesso legislatore.

In generale, si ritrova il termine in questione nel primo comma dell"art. 40 c.p., secondo cui nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l"evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l"esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Questo primo comma, in realtà, si riconnette alla problematica scientifica del nesso di causalità, oltre che alla questione della struttura del reato. Sempre in seno alle disposizioni attinenti alla sfera del legame logico di "causa ad effectum", poi, si rileva il dato linguistico e valoriale-politologico della menzione della omissione anche nel comma 1 nel comma 2 dell"art. 41, sul concorso di cause. Pure i commi 1, 3 e 4 (quest"ultimo per le contravvenzioni) si riferiscono alla omissione, qualificandola in forma disgiuntivo-alternativa come "alter ego" – simmetrico in senso negativo – del contegno attivo proprio dell"azione. Così pure l"art. 43, sull"elemento psicologico-soggettivo del reato, menziona l"elemento oggettivo della condotta nella sua forma attiva ed omissiva.

Ma il vero nodo pregnante della teorica del reato di omissione, in verità, è il capoverso dell"art. 40 c.p., il quale sancisce espressamente una equivalenza tra il mancato impedimento di un evento, da parte di chi ha giuridicamente l"obbligo di evitarlo, e  il cagionamento in senso attivo dell"evento.

È il diritto stesso, quindi, che attraverso una regola tecnica nel tessuto dispositivo penalistico prevede l"ammissibilità di una punizione per omissione qualificata, causativa di un evento lesivo di beni della vita protetti dall"ordinamento giuridico della "extrema ratio".

Il reato di omissione, poi, è tradizionalmente stato suddiviso in due tipologie: da un lato si hanno i reati omissivi propri (o omissivi puri), i quali si associano ai cc.dd. reati di pura condotta, in cui l"integrazione della fattispecie criminosa si ha semplicemente con la pura omissione di un obbligo. Il classico esempio è quello della omissione di atti d"ufficio, previsto e punito ai sensi dell"art. 328, comma 2, c.p., il quale dispone che il pubblico ufficiale o l"incaricato di un pubblico servizio che entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta scritta di chi vi abbia interesse non compie l"atto del suo ufficio o non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino ad euro 1.032.

Per i reati omissivi nella loro forma pura, o propria, invero, non sussistono particolari problemi di tenuta sistemico-costituzionale. Ciò in quanto essi sono tassativamente previsti dal legislatore, il quale, nella sua discrezionalità ispirata a criteri di politica criminale, adotta delle risposte sanzionatorie di tipo penale ed amministrativo a fronte di condotte che manifestano "sic et simpliciter" una specifica disobbedienza alle prescrizioni imposte, così come imposte. Il principio ispiratore non deve essere rintracciato, per i reati omissivi propri, nella concezione retrograda – e illogica dal punto di vista teleologico punitivo-rieducativo – del diritto penale quale diritto penale (repressivo) della disobbedienza in quanto tale; bensì nell"esigenza di efficienza garantistica (e di risultato all"insegna del buon andamento e della stessa imparzialità, ai sensi dell"art. 97 Cost.) del sistema di amministrazione dei pubblici uffici e dei pubblici servizi, per quanto concerne il delitto di omissione di atti d"ufficio. Per quanto riguarda, ad esempio, il reato di cui all"art. 593 c.p., omissione di soccorso, il fondamento è sicuramente da rintracciare nel bene giuridico della vita e della salute, oltre che in un certo solidarismo che corrobora la visione obbligatoriamente cooperativistica dei soggetti consociati. Solitamente sono reati propri quelli di tipo omissivo-puro. Tuttavia, se si accedesse alla lettura della figura criminosa di cui all"art. 593 che qualifica l"omissione lì in questione come connessa alla dimensione di un reato non (soggettivamente, quindi dal punto di vista dell"agente) proprio, si avrebbe un reato omissivo proprio soggettivamente comune. Nulla, infatti, dispone in senso contrario.

Il reato omissivo proprio, quindi, essendo precisamente tipizzato e determinato (a differenza di qualche caso di reato omissivo proprio dichiarato incostituzionale per deficienza determinativa della condotta all"interno del precetto), non presenta fallacie dal punto di vista della coerenza sistemica con il principio della riserva di legge, quindi con un imprescindibile corollario in senso formale del principio penalistico di legalità (art. 25, comma 2, Cost.).

La coerenza col principio di determinatezza, e con la dimensione sostanziale della legalità penalistica, a rigore, non può ontologicamente essere connessa alla logica tipizzante e tipizzata tassativamente che concerne "ex se" la figura del reato omissivo proprio, poiché la tenuta logico-fenomenica della determinatezza, che connette comparativamente la realtà al diritto, va vagliata e verificata di volta in volta, leggendo analiticamente la parte precettiva nel punto in cui descrive la condotta dell"agente in generale e in astratto.

Problemi presenta, invece, la forma impropria del reato di omissione (i cc.dd. reati commissivi mediante omissione). La forma impura "de qua", appunto, si ricaverebbe dal combinato disposto del capoverso dell"art. 40 c.p., vero perno sistemico-dispositivo tra la parte generale (cui appartiene) e la parte c.d. speciale dell"apparato codicistico, con ogni singola figura criminosa della parte speciale medesima, appunto.

L"obbligo giuridico di agire apre la porta d"ingresso nel nostro ordinamento alle cc.dd. posizioni di garanzia, connesse a figure peculiari di soggetti agenti, in connessione a sfere socio-antropiche ove si opera, e si coopera, manovrando interessi sensibili, costituzionalmente protetti, e in particolare, legislativamente protetti in senso specifico dal legislatore ordinario.

Una proliferazione delle posizioni di garanzia può avvenire, invero, soltanto attraverso lo strumento della legislazione speciale, la quale, unendosi logicamente in combinato disposto con l"anzidetto capoverso dell"art. 40 della parte generale del codice penale, costituisce momento genetico di figure di reato che, ordinariamente ed "expressis verbis", vengono descritte in senso attivo, ma che divengono simmetricamente negative nella loro conformazione di inerzia, dinanzi ad una situazione specificamente investita da interessi e beni coperti dall"obbligo giuridico del titolare di posizioni di garanzia, altrettanto specifiche.

Qualora l"entità giuridica dell"obbligo previsto dal cpv. dell"art. 40 c.p. fosse da intendere quale elemento normativo di tipo extrapenale, potrebbero essere sollevati problemi di costituzionalità, a fronte del principio di legalità in senso sostanziale. Tuttavia, non ci sarebbero problemi a configurare, quali leggi di copertura dei siffatti obblighi, delle norme evincibili da disposizioni rintracciabili in altre zone dell"ordinamento giuridico. La menzione legislativa generale sugli obblighi giuridici impeditivi, contrapposti ad un contegno omissivo quindi vietato, sarebbe comunque isolabile ontologicamente quale elemento di una fattispecie di tipo penale.

Per quanto concerne il problema ulteriore del rispetto del principio di offensività in senso di potenzialità lesiva di danno e di pericolo effettivamente verificabile, "in rerum natura" e nelle sfere di realtà tecno-determinate, e in particolare nel versante della offensività-materialità, la questione non si complica se si ha a che fare con le odierne concezioni della complessità della dimensione reale.

Una società che viaggia a più dimensioni e a più piani fenomenologici, anche smaterializzati e rimaterializzati finzionisticamente nelle operazioni cibernetiche, comunque capaci tecnocraticamente di porre in pericolo o di ledere un bene della vita giuridicizzato dei consociati, non può più porsi il limite delle conseguenze della mancanza di energia cinetica in senso meccanicistico-naturalistico. Una omissione, poi, se normativamente tipizzata nell"apparato dispositivo di stampo penalistico, assume la propria copertura all"insegna del rispetto del principio di offensività-materialità nella stessa qualità dispositiva "ope legislatoris": dal grado di pregnanza e di rispondenza alla dimensione aggiornata del reale, invero, può pure ricavarsi il superamento del vaglio di intrinseca aggressività oggettiva potenziale e in concreto di una data condotta.

 




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