Il riformismo è un lavoro, che serve per la buona vita di tutti i lavori, sinergicamente.
Cos’è il riformismo e cosa vogliono i riformisti: questioni teoriche? No, il buon riformismo serve come serve il lievito per fare buono il pane. Serve come il fuoco per forgiare scudi metallici di difesa dalle crisi, e spade affilate per spezzare le catene della stagnazione economica. Il riformismo serio parte da una visione, sì, una visione pragmatica retta da valori radicati, preferibilmente mai troppo giacobini. Ad una forza riformista occorre un buon piano di lavoro, legale e sociale, per l’efficiente funzionamento degli apparati produttivi che operano nella cornice essenziale del nostro Stato di diritto. Una legalità che promuova l’efficientamento (e la cultura del risultato) rappresenta un perno fondamentale, per congiungere i paradigmi costituzionali e neo-costituzionalizzanti alle esigenze delle crescite felici, contro ed oltre le retoriche terrapiattiste delle decrescite e del massimalismo 0.0.
Un riformista liberalgarantista, tuttavia, non si riconosce mai come il vero pilota, poiché i veri piloti sono i soggetti in carne, ossa e spirito che con quelle riforme portano avanti l’ossatura socioeconomica del Paese, campando e facendo campare i singoli, le famiglie, le aziende, gli enti, onestamente. Il riformista non egoriferito è come quel sarto a cui occorre lavorare bene con ago e filo per tenere insieme tutti i tessuti, sapendo fissare bene occhielli e bottoni, con buona coscienza sulla sostanza delle fibre, sulla metodologia tecnica idonea a realizzare abiti che vestano bene, a regola d’arte. Sulle soddisfazioni e sulle concretezze – all’interno delle esistenze libere d’individui e comunità – si misura la capacità di un motore sociale, che innova e produce. La forza viva, motrice, la vivida spinta alla crescita del Paese, è quell’Italia viva che vive bene la presenza attiva di una Repubblica amica, garante dello spirito impresario dei cittadini, dove i livelli territoriali fra Comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato sono impegnati nella risoluzione quotidiana dei problemi.
Il riformista pianifica i grossi piani industriali, per esempio: irrobustisce i pavimenti del mercato e la forza di ogni individuo senza distinzioni, dotando ognuno delle garanzie di libertà, diritti e doveri. Ama il PIL e i consumi nella misura in cui questi possano rispecchiarsi, con trasparenza, nella felicità di una vita associativa d’interscambi e capitali umani. Di riformismo ci si “ammala” quando ci s’innamora del benessere organizzativo delle cose, tutt’intorno. Le riforme divengono così movente, oggetto e obiettivo delle politiche governative, e c’è chi sulle riforme nonché sulla semplificazione normativa lavora instancabilmente, concretizzando nelle ore di pubblica forza-lavoro della propria esistenza i sacrosanti princìpi di efficacia, economicità ed efficienza. Mi onoro di lavorare a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel Dipartimento per le riforme istituzionali, dove ho potuto constatare l’instancabile lavoro di missione del Pres. Maria Elisabetta Alberti Casellati, ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa del governo Meloni. Moltissimi anacronistici orpelli normativi di un Ottocento che fu, e di un primo Novecento ormai grazie al cielo andato, sono stati espunti dal nostro ordinamento giuridico. Sono stati abrogati infatti tantissimi regi decreti: 2.535 risalenti al periodo 1861-1870, 6.479 risalenti al periodo 1871-1890, 9.924 risalenti al periodo 1891-1920, 3.637 risalenti al periodo 1921-1946, per un totale di 22.574 atti di età pre-repubblicana abrogati. I dati sono stati pubblicati anche durante il convegno “Le buone leggi. Semplificare per far ripartire l’Italia”, organizzato dal nostro Dipartimento e tenutosi il 19 settembre presso la Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano della Camera di Commercio di Roma, a Piazza di Pietra, in cui dopo i saluti istituzionali di Gianni Letta il ministro Casellati ha risposto alle domande di Massimo Giannini, direttore del quotidiano La Stampa. All’evento hanno partecipato come relatori vari ministri, come Nordio, Salvini, Zangrillo, Giorgetti, Fratin, Urso, Locatelli, oltre a vari giornalisti come il direttore de Il Riformista Andrea Ruggieri, ed esponenti del mondo produttivo, come la Marcegaglia, ma anche Fedriga, Mantovano e altri personaggi pubblici.
Qualche giorno prima del maxi-evento di cui sopra, il mio animo corsaro e riformista mi ha portato a parlare di riformismo – tanto per cambiare! – durante un’intervista, ad opera degli instancabili operatori dell’informazione di Radio Leopolda.
Sabato 16 settembre, in diretta su Radio Leopolda da Santa Severa (vicino Roma), dove era in corso la prima festa nazionale di Italia Viva a cui anche la stessa Casellati ha preso parte come relatore sul palco, ho rilasciato una mia dichiarazione in cui ho provato a tracciare una definizione di “riformismo”, senza pretesa alcuna di esaustività, dato che il tutto è sempre in divenire storico e dialettico. Il problema non è tanto definirlo – il benedetto riformismo! – bensì riempire quella definizione di contenuti fattivi idonei al progresso: fatti paradigmatici, sistematici, applicabili, concretabili nelle vite di cittadini e imprese. Fatti utili!
Alla domanda su cosa ne penso di quei giorni alla festa, ho risposto che sono stato invitato e non potevo mancare, “perché è un progetto trasversale, anche se c’è un simbolo di partito, trasversale nell’identità liberale e, come a me piace dire, demolibertaria”, specificando che “nei miei articoli e nei miei saggi parlo di questa visione demolibertaria che occorre sviluppare, implementare e strutturare riformisticamente, perché bisogna parlare di riformismo”, e aggiungendo che le riforme istituzionali e costituzionali e la stessa missione di semplificazione normativa sono “anche il mio lavoro nel Dipartimento per le riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e il riformismo deve essere la valvola per riattivare tutto il sistema”.
Allora Gallozzi di Radio Leopolda che mi ha intervistato mi ha chiesto: “bene, il riformismo non ha simbolo di partito, questa festa ce l’ha, ma che cos’è secondo te in due parole il riformismo?”.
“Il riformismo è la possibilità che un Paese all’interno della scacchiera internazionale ha di emergere, e di far emergere le persone nelle comunità a cui ciascuna persona trasversalmente, poliedricamente appartiene. Il riformismo è il motore dello sviluppo e il futuro, inevitabilmente il futuro, non poniamo limiti a questo riformismo, anzi implementiamolo”: ho risposto io, semplicemente, con cuore demolibertario.