-  Cendon Paolo  -  01/12/2012

STAMINALI SOMMINISTRATE AI PAZIENTI DI GRAVI MALATTIE NEUROLOGICHE - Paolo CENDON

---------------------------------------------------  Premessa

 

La questione da affrontare può riassumersi come segue:

(i) vi sono bambini i quali soffrono di gravi malattie neurologiche di tipo degenerativo, di cui la sla e la sma costituiscono alcuni fra gli esempi più significativi;

(ii) manca a tutt"oggi, nella scienza ufficiale, non soltanto una terapia idonea a garantire la guarigione di pazienti simili, ma sinanco un efficace protocollo di tipo sintomatico, atto a stabilizzare in maniera sopportabile, nelle varie ipotesi, il decorso delle patologie, così da permettere agli interessati livelli accettabili di vita (per quanto potrà ancora residuare);

(iii) pur con le variabili da riportare alle peculiarità e capacità di resistenza del minore, quali volta per volta si riscontrano, la condizione indotta da sindromi del genere appare tale da generare, nei (piccoli) sofferenti, forme gravi di invalidazione, cadute di tono e movimento, difficoltà di tenersi eretti e girarsi nel letto, spossatezze crescenti, difficoltà respiratorie, forme di abbattimento psicologico, inevitabilità del ricorso alla PEG, dolori fisici più o meno accentuati, sino all"esito finale;

(iv) esiste attualmente in medicina la ragionevole probabilità che, attraverso la somministrazione di "cellule staminali" del tipo qui considerato, alcuni di quei sintomi verranno a regredire, o comunque ad arrestarsi, sia pur per un tempo determinato, comunque con spostamenti anche significativi dei termini nelle diagnosi più infauste, ed effetti di non trascurabile sollievo generale per i degenti (cfr. in generale Zatti, Spunti in tema di libertà di cura: tra sperimentazione e terapia innovativa, in AA.VV., Studi in onore di P.Schlesinger, vol. I, Giuffré, Milano, 2004, 369 ss., § 5: "La terapia innovativa ha … lo scopo di consentire, al singolo paziente nel rapporto col singolo medico, di optare per un trattamento che, nel solo caso specifico, possa ritenersi, in base a una valutazione circoscritta al caso ma fondata su premesse scientificamente argomentabili, capace di offrire un bilancio di rischi e benefici più favorevole rispetto al trattamento standard");

(v) si è in particolare constatato come, in una serie ragguardevole di casi, tendano a diminuire nei bambini, dopo la somministrazione delle staminali, gli ostacoli nei movimenti corporei, a scemare le sofferenze di tipo fisico, ad aumentare i livelli di reattività, a crescere le capacità di bere e mangiare da soli (deglutizione), ad attenuarsi la necessità del ricorso al sondino gastrico, a cambiare nell"insieme il tono psicologico e l"umore dei malati, e così via;

(vi) la scienza ufficiale, se non ha ancora legittimato per tabulas la bontà di siffatti trattamenti (i quali mancano a tutt"oggi di cittadinanza piena, sotto il profilo accademico), non può contestare, secondo quanto risulta da non pochi riscontri, l"esistenza di una casistica "confortevole" come quella menzionata - e non ha neppur mai sostenuto o dimostrato, aggiungiamo, che la somministrazione delle cellule in questione risulterebbe minacciosa, in profondità, e sarebbe destinata a ritorcersi più tardi contro gli interessati:

(vii) alcuni giudici, pure in Italia, dietro suggerimento di altrettanti medici, e con l"approvazione dei rispettivi comitati bioetici, hanno già avuto occasione - reagendo ad opposizioni contingenti - di accogliere le istanze dei genitori e di dare libero corso alla somministrazione delle staminali, in fattispecie come quelle illustrate.

 

-------------------------------------------------------------  Problemi

 

Si tratta allora di stabilire:

 - in che maniera dovrà orientarsi l"interprete chiamato a valutare i pro e i contro della situazione, allorché vengano in evidenza opportunità di trattamenti, da prestarsi alle persone malate, di tipo affettuoso e compassionevole;

 - se una soluzione favorevole hic et nunc alla somministrazione delle staminali sia tale da calpestare, di per sé, qualche principio generale dell"ordinamento, della medicina e del biodiritto;

 - quali siano i soggetti deputati a prendere, sulla carta, le decisioni in materia e a quali di essi dovrà, in caso di conflitto, riconoscersi preminenza formale, in particolare nel caso in cui malati siano dei minori.

 

------------------------------------------------------ Passaggi chiave


Principio del bene

 Va detto allora che il principio-chiave è rappresentato qui, come sempre, dal (motivo del) riguardo per il "beneficio massimo" di colui che soffre, cioè da un"attenzione per il "minor maleficio possibile", ossia da un massimo di impegno operativo, da parte di chi è chiamato a decidere, contro ogni forma di "degrado" del paziente - cui possa in concreto farsi luogo.

 E si tratterà di livelli da determinare, volta per volta, sulla base di un riscontro dei:

 (i) momenti di ordine biologico, valutati nelle componenti fisiche (mangiare, bere, respirare, digerire, muoversi, reagire agli stimoli, etc.), come in quelle psichiche (serenità, soddisfazione, positività di atteggiamento, momenti di letizia, disponibilità agli scambi);

 (ii) profili di carattere morale, inerenti prettamente al dolore, nelle sue varie epifanie (paura, ansie, patimenti, sofferenze per decubito, lacerazioni, piaghe, croste);

 (iii) aspetti di natura esistenziale, relativi alla qualità della vita (micro quotidianità, abitudini correnti, relazioni interpersonali, agenda spicciola, attività realizzatrici ).

 Il tutto da inverarsi quale miglior presidio/equilibrio complessivo, per un bambino in quelle condizioni, ossia come ricerca del "minor grado di negatività", nella combinazione fra le variabili in gioco; secondo le indicazioni che verranno fornite, specificamente, dal medico e approvate dai familiari (in generale Corte cost., sent. 151/2009, secondo cui "va segnalato che la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto l"accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l"arte medica: sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali"; v. anche Zatti, Spunti, cit., § 5, il quale mette in luce "il rischio che una disciplina rigorosa e per certi versi burocratizzata della sperimentazione generi anche una burocratizzazione culturale del rapporto terapeutico, costringendo il medico, anche di fronte a casi che reclamerebbero una risposta innovativa, a limitarsi all"applicazione di protocolli terapeutici standardizzati e collaudati").

 

Cure compassionevoli

Trattasi qui (come nella vicenda che ha visto al centro, pochi mesi orsono in Italia, una bimba di due anni affetta da atrofia muscolare spinale - bimba curata mediante infusione con staminali del midollo osseo, prelevate alla mamma: una terapia che era stata, ricordiamo, interrotta ad un certo punto da un provvedimento dell'Aifa, e più tardi ripristinata, grazie a una decisione del giudice della sezione del lavoro del tribunale di Venezia, Margherita Bertolaso) di cure di tipo compassionevole"; ossia di iniziative con precipue finalità di sollievo, le quali possono venir messe in opera, a norma (fra l"altro) del decreto "Turco-Fazio", in determinate circostanze.

 E" un discorso che concerne - va rimarcato - non già "sperimentazioni" di natura medica, e neppure usi terapeutici di farmaci sottoposti a sperimentazione clinica, bensì trattamenti i quali appaiono dettati (per ricordare il lessico impiegato dal legislatore europeo e italiano, dai giudici, dalla dottrina, in queste materie) da considerazione di pietas, solidarietà, umiltà, spirito caritatevole, mancanza di alternative, disponibilità congetturale, misericordia, realismo terapeutico, pragmatismo comparativo, umana comprensione, in relazione al caso singolo (cfr. in proposito Zatti, Spunti, cit., § 3: "L"applicazione nel singolo caso di un trattamento non ancora sottoposto a verifica esauriente e completa secondo i criteri propri della sperimentazione scientifica, e tuttavia fondata su elementi teorici e d"esperienza attendibili al vaglio della diligenza tecnica, non va considerata una sperimentazione, in quanto non corrisponde a un obiettivo conoscitivo traducibile in termini di nuove acquisizioni scientifiche, né - correlativamente – deve legarsi a una metodologia di controllo sperimentale valida ai fini generali"; v. anche Minghetti, Palmieri, Selmin, La terapia farmacologica in assenza di medicinali registrati per la patologia diagnosticata, in Riv. it. med. Leg., 2007, 993-1010, § 3, secondo cui "il beneficio non deve essere valutato in termini assoluti, ma per comparazione, documentando che l'adozione di una cura non ancora pienamente riconosciuta sotto il profilo regolatorio, potrebbe essere comunque suscettibile di apportare un vantaggio addizionale rispetto alla terapia eventualmente già approvata dal Ministero. Ovviamente, la valutazione operata dal medico non può che avvenire in termini presuntivi, percorrendo quindi un'ipotesi terapeutica che, nel caso specifico ed in ragione di provati elementi di esperienza scientifica, può essere ritenuta preferibile ad una cura tradizionale").

 

 ------------------------------------------------------  Fonti normative


Fonti generali

 Tra i punti di riferimento più significativi, nella normativa generale, possono allora ricordarsi:

 (i) nella nostra Costituzione, l"art. 2 (diritti inviolabili dell"uomo, di cui rilevano qui soprattutto il "diritto alla vita" e il "diritto a non soffrire") l"art. 3 (sia sotto il profilo del principio di uguaglianza, qui come prerogativa del bambino malato, e della sua famiglia, a "non vedersi negata la somministrazione di cure già concesse ad altri"; sia sotto il profilo, in senso lato, di una necessità di "rimozione degli ostacoli" che possono rendere angusta o difficile la vita delle persone), gli artt. 29 e 30 (rilevanti, qui, sia per quanto concerne i doveri propri dei genitori; sia per gli impatti che ogni scelta/non scelta, in ordine alle condizioni di un figlio, produrrà sull"insieme della cerchia domestica), l"art. 32 ("salute come diritto fondamentale degli individui");

 (ii) nella Dichiarazione di Helsinki 1964 (Assoc. Medica Mondiale), l'art. 5, in cui si prevede: "Nel trattamento di un paziente, laddove non esistano comprovati metodi preventivi, diagnostici e terapeutici o questi siano inefficaci, il medico, con il consenso informato del paziente, deve essere libero di usare mezzi preventivi, diagnostici e terapeutici non provati o nuovi, se a giudizio del medico essi offrono speranza di salvare la vita, ristabilire la salute o alleviare la sofferenza";

(iii) nella Convenzione sui Diritti dell'Infanzia, approvata dall"Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall"Italia con l. n. 176 del 27 maggio 1991, l"art. 6 (diritto alla vita di ogni fanciullo, impegno degli Stati ad assicurare nella misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo dello stesso):

 (iv) nella Convenzione di Oviedo, del 4 aprile 1997, ratificata dall"Italia con l. n. 145/2001, l"art. 3 (accesso equo alle cure sanitarie) e l"art. 6 (consenso, per la protezione delle persone senza capacità di dare consenso, da parte del rappresentante; indicazioni fornite dal minore stesso quali elementi influenti, sempre più, in funzione dell"età e del grado di maturità);

 (v) nella Carta dei Diritti fondamentali dell'unione europea (2000/c 364/01, c.d. "Carta di Nizza", approvata l'11 dicembre 2000, firmata il 26 febbraio 2001, entrata in vigore il 1º febbraio 2003,
ratificata dall'Italia con l. 11 maggio 2002, n. 102), l"art. 1 (dignità umana), l"art. 2 (diritto alla vita), l"art. 3 (integrità fisica e psichica, consenso informato), l"art. 20 (uguaglianza), e soprattutto l"art. 24, sul diritto dei bambini "alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere";

 (vi) in generale, la l. 15 marzo 2010, n. 38, sulle cure palliative, ove si garantisce al malato l"accesso alla terapia del dolore, nell"ambito dei livelli essenziali di assistenza, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell"autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l"equità nell"accesso all"assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze (v. anche infra).

 

Fonti specifiche

Il testo in cui sono disciplinate, nel nostro paese, le procedure e le modalità di accesso a terapie farmacologiche sperimentali, per usi al di fuori della sperimentazione clinica, allorché non vi siano a giudizio del medico alternative praticabili per la guarigione del malato, è soprattutto il d.m. 8 maggio 2003, G. U. n. 173, 28 Luglio 2003, "Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica" (solitamente indicato come "uso compassionevole"). Si tratta di un decreto che consente possibilità assistenziali, nonché prospettive di cura, a pazienti i quali non possano contare su vie d"uscita apprezzabili, e si trovino in condizioni di nicchia terapeutica. Rientrano nell"ambito applicativo le terapie oncologiche, i farmaci orfani per il trattamento delle malattie rare e le terapie con farmaci innovativi.

Altre fonti di rilievo sono:

 (i) il d.l. n. 536/1996, nonché l. legge 23 dicembre 1996, n. 648, ove all"art. 4 si stabilisce che "qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale, a partire dal 1 gennaio 1997, i medicinali innovativi la cui commercializzazione e' autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale, i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica, i medicinali da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata inseriti in apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione unica del farmaco conformemente alle procedure ed ai criteri adottati dalla stessa";

(ii) la legge 8 aprile 1998, n. 94 (c.d. "legge Di Bella), recante "Disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altre misure in materia sanitaria", che ha per l"appunto convertito in legge il d.l. 17 febbraio 1998, n.23, ove all"art. 3, comma 2, si dispone: "In singoli casi il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un materiale prodotto industrialmente per un"indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione

diversa da quella autorizzata, ovvero riconosciuta agli effetti dell"applicazione dell"art.1, comma 4, del decreto legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale";

 (iii) il decreto 5 dicembre del 2006 ("Utilizzazione di medicinali per terapia genica e per terapia cellulare somatica al di fuori di sperimentazioni cliniche e norme transitorie per la produzione di detti medicinali": c.d. "decreto Turco-Fazio", che pone in materia una serie di limiti e requisiti).

 

Normativa europea sull"uso compassionevole

 Spicca, a livello europeo, il regolamento 31 marzo 2004, n. 726/04, del Parlamento europeo e del Consiglio, che ha istituito procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali ad uso umano e veterinario, nonché l'agenzia europea per i medicinali, in cui si prevede: "Per uso compassionevole si intende la messa a disposizione, per motivi umanitari, di un medicinale appartenente alle categorie di cui all'articolo 3, paragrafi 1 e 2, ad un gruppo di pazienti affetti da una malattia cronica o gravemente invalidante o la cui malattia è considerata potenzialmente letale, e che non possono essere curati in modo soddisfacente con un medicinale autorizzato. Il medicinale in questione deve essere oggetto di una domanda di autorizzazione all'immissione in commercio a norma dell'articolo 6 del presente regolamento o essere sottoposto a sperimentazione clinica".

L"articolo 83 del detto regolamento attribuisce agli stati membri (ricordiamo) la possibilità di mettere a disposizione - per uso compassionevole - un medicinale avente come indicazione terapeutica il trattamento di una delle seguenti malattie: sindrome da immunodeficienza acquisita; cancro; disordini neurodegenerativi; diabete e, con effetto dal 20 maggio 2008, malattie autoimmuni e altre disfunzioni immunitarie; malattie virali.

Sulla base di questo regolamento, l'EMEA ha formulato delle linee-guida, che forniscono indicazioni di carattere generale, marcano gli scopi ed i principi su cui devono fondarsi i "programmi di uso compassionevole" e illustrano la definizione di paziente e di malattia, rimandando agli stati membri l'attuazione di un sistema di uso compassionevole efficace ed in linea con i principi cardine europei (cfr. "Guideline on compassionate use of medicinal products, persuant to article 83 of regulation (EC) no 726/04", Londra, 20 marzo 2006).

 

Codice italiano di deontologia medica

Significative le indicazioni che fornisce, sui vari punti qui in esame, il codice italiano di deontologia medica. Così in particolare:

 (i) l"art. 13, 7° e 8° comma: "La prescrizione di farmaci, sia per indicazioni non previste dalla scheda tecnica sia non ancora autorizzati al commercio, è consentita purché la loro efficacia e tollerabilità sia scientificamente documentata - In tali casi, acquisito il consenso scritto del paziente debitamente informato, il medico si assume la responsabilità della cura ed è tenuto a monitorarne gli effetti";

 (ii) l"art. 15: "Il ricorso a pratiche non convenzionali non può prescindere dal rispetto del decoro e della dignità della professione e si esprime nell'esclusivo ambito della diretta e non delegabile responsabilità professionale del medico - Il ricorso a pratiche non convenzionali non deve comunque sottrarre il cittadino a trattamenti specifici e scientificamente consolidati e richiede sempre circostanziata informazione e acquisizione del consenso";

 (iii) l"art. 39: "In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve improntare la sua opera ad atti e comportamenti idonei a risparmiare inutili sofferenze psichico-fisiche e fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità di vita e della dignità della persona".

 

----------------------------------------------------  Indicazioni disciplinari


  Evidenze pregresse

 Per nella complessità della casistica, in una fase in cui le ricerche di tipo neurologico appaiono sempre più in espansione (anche se il traguardo finale non appare vicino), va tenuto presente come gli episodi di bambini malati di sla et similia - rispetto ai quali iniziative di tipo compassionevole, simili a quelle oggi in esame, mostrano di aver conseguito relativi successi, non soltanto in Italia - offrano risultanze più che sufficienti a integrare, per qualità e quantità, le condizioni che la normativa di settore, e comunque i dati generali del sistema, richiedono affinché possa/debba farsi luogo, in concreto, alle somministrazioni delle cellule che interessano.

 Ciò, va sottolineato:

 (a) non soltanto per quando concerne il momento del sollievo e del conforto che si riesce ad apportare, concretamente, nella quotidianità dei pazienti;

 (b) ma anche per quel che riguarda il tratto della non nocività, in prospettiva, per chi riceve la somministrazione di staminali.

 

Limiti del legislatore in ambito medico

Posto che la libertà di curare del medico deve ispirarsi a conoscenze scientifiche "attuali", cioè accreditate come valide in quel dato momento storico, questo potrebbe - e definitivamente - implicare l'impossibilità di regolamentare e definire con legge le modalità di tecnica di trattamento di un determinato stato morboso, come con crescente frequenza si tende erroneamente a fare, confondendosi concettualmente la positiva nozione di "linea guida", indicativa ad un intervento diagnostico-terapeutico, e quella di "protocollo", cogente e sclerotizzante, spesso parziale se non addirittura erroneo.

 Se per legge fossero infatti indicati i modi ed i mezzi per diagnosticare e curare, tenendo conto della rapidità del progresso scientifico, tutto ciò che di nuovo fosse acquisito dalla scienza medica resterebbe nella illegalità e non sarebbe applicabile fino a quando non fosse approvata una nuova e sollecita legge; avendosi così definitiva dimostrazione che, non potendosi in tempo reale regolamentare tutte le possibili pratiche mediche esistenti, "la diagnosi e la cura della salute restano e devono restare di competenza di coloro per i quali è stata effettuata una verifica dell'acquisita capacità tecnica, e cioè il medico e la Medicina", dovendosi il legislatore limitare a sovrintendere e controllare, affinché le modalità operative siano costantemente rispondenti al contesto etico, culturale e socio-economico in cui la professione medica si svolge (così testualmente Norelli, Bonelli, Magliona, Papp, Giannelli, Aspetti medico-legali dei trattamenti non convenzionali, in Riv. it. med. leg., 2002, 2, 305; v. anche Prezioso, Gli inevitabili conflitti, non solo giuridici, tra libertà di scienza e certezza del diritto, in Giur. cost., 2004, 4, 2978: " Ma allora, di fronte a certezze relative, giammai assolute, non sarebbe più rispettoso dei diritti costituzionali alla salute del paziente ed alla libertà di scienza del medico rimettere a quest'ultimo la scelta del trattamento clinico più appropriato ed efficace da seguire, purché sia rispettoso della dignità umana, e sussista il necessario consenso del paziente, oppure, in caso di incapacità di questi, il consenso dei suoi parenti più stretti? In definitiva, non sembra opportuno, in tale campo, prescrivere divieti legislativi assoluti di praticare una determinata terapia che, malgrado tutto, presenti gli indicati requisiti").

 

Bambini

Da tempo la letteratura sui bambini malati insiste - a livello sia medico che giuridico - sulla peculiarità dei parametri attraverso cui andrà condotta l"istruttoria, e assunta ogni decisione, nei confronti degli stessi. Ciò in particolare per quanto concerne:

 (I) il fatto che un bambino è un essere assai più fragile di un adulto, meno in grado di rassegnarsi all"avanzare del male, più spaventato da frangenti biologici e corporei, di cui spesso non intende pienamente l"origine e il significato:

 (II) la necessità che si ricorra - sul piano sanitario, tanto più accortamente che altrove - a soluzioni in grado di assicurare momenti pur contingenti (magari non ancora asseverati/consolidati dalla comunità scientifica ufficiale) di sollievo fisico e psichico;

 (II) la rilevanza "esistenziale" che ogni passaggio, positivo o negativo, verificantesi nella realtà di un minore infermo, preannuncia di esercitare sull"orizzonte presente e futuro dei genitori, dei fratelli, degli altri parenti, sul vissuto degli stessi bambini a venire (id est sui doveri dei genitori verso gli stessi).

 

Nozione di salute presso l"OMS

Fondamentale, come sempre, trattando del lemma "salute", il riferimento alla nozione che di quest"ultima fornisce l"Organizzazione Mondiale della sanità - là dove si parla di benessere diffuso e di massima espansione per le chances relazionali/ambientali della persona (viste come un tutto unitario).

 Un concetto che nell"ordinamento italiano risulta applicato - sottolineiamo - in molteplici settori del diritto privato, dalle questioni dell"adozione ai nodi dell"affido condiviso, dall"amministrazione di sostegno alle istanze dei morenti, dall"allocazione provvisoria dei minori in difficoltà alla tutela dei consumatori, dalla malpractice medica ai problemi del trattamento sanitario obbligatorio, dalla responsabilità endofamiliare ai diritti del lavoratore subordinato.

 Salvaguardare la salute di una creatura, anche di pochi anni, significa cercare – in altri termini - non soltanto di guarirla fisicamente, ma altresì presidiare, al di là dei registri clinico/farmacologici, ogni valenza e risorsa dell"interessato:

 (a) anzitutto nei rapporti con il corpo e la mente;

 (b) nell"igiene e assistenza giornaliera - poi - nei contatti con la scuola, per quanto concerne cibo e abitazione, relazioni coi genitori, servizi sociosanitari, lavoro, tramiti ambientali, scambi con l"esterno, tempo libero, mondo dello spirito, margini di creatività;

 (c) tutto ciò - deve sottolinearsi - all"insegna di una "medicina umanizzata", sempre più attenta cioè alle necessità di ascolto, ai bisogni di premura e di garbo comunicazionale (specie trattandosi dei più giovani di età), sensibile alla quotidianità minuta di chi soffre, tesa a salvaguardare linee ben precise nella qualità della vita.

 

Diritto di non soffrire

 Un aspetto importante è il riguardo che dovrà prestarsi, in sede di decisione, ai dolori provenienti da immobilità prolungata, da posture sbagliate, da decubito – inconvenienti di cui è spesso destinato a soffrire chi veda scemare, come nel caso della sla e di sindromi consimili, la propria efficienza muscolare.

 Ciò tanto più risolutamente quanto maggiore figuri, nel (piccolo) malato, il grado di fragilità/spossatezza, con eventuale impossibilità di muoversi nel letto, di girarsi da solo, di cambiare posizioni.

 Nessun dubbio – deve rimarcarsi (a integrazione di quanto già segnalato, infra, ex art.39 Cod. deont. med.) - sulla rinnovata perentorietà, entro il nostro sistema, delle voci di lotta contro il dolore, fisico come psichico: e ciò (i) sia alla luce dell"avvenuta approvazione, in Italia, della legge sulle cure palliative (l. 15 marzo 2010, n. 38, "Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore"); (ii) sia in considerazione:

 - del crescente affermarsi, a livello privatistico, di letture in cui il mancato fronteggiamento del male figura al centro di possibili condanne risarcitorie, allorquando non figurino scongiurati spasmi e fitte che avrebbero potuto, dal convenuto, venire leniti/impediti in via preventiva (cfr, in generale Norelli, Bonelli, Magliona, Papp, Giannelli, Aspetti medico-legali, cit. 2, 305: " In conclusione, si profila sempre più la necessità che, in un futuro ormai prossimo, il medico sappia almeno culturalmente destreggiarsi tra la terapia convenzionale e quella non convenzionale, limitatamente, almeno, ai casi in cui esiste per quest'ultima una dimostrazione di efficacia o per lo meno di maggior tollerabilità. E ciò anche in considerazione dell'orientamento che la recente giurisprudenza ha mostrato sul tema della responsabilità medica, privilegiando nella valutazione della colpa giuridicamente rilevante non già solo la dimostrazione di un nesso scientificamente dimostrato fra il comportamento del medico ed il danno subito dall'assistito, ma anche la semplice sottrazione di chances o l'aumento del rischio connessi all'opzione terapeutica prescelta; ed in questo senso potrebbe esservi una richiesta di risarcimento del danno nel caso in cui a seguito di un trattamento convenzionale si verifichi un danno iatrogeno (…) che avrebbe potuto essere evitato ricorrendo - a parità di efficacia - ad un trattamento non convenzionale").

 - nonché del consolidarsi di indirizzi circa l"addolcimento, hic et nunc, delle modalità di apprestamento dei trattamenti di fine vita: tendenze che appaiono influenzate, per molti versi, proprio dal riscontro delle sofferenze che il malato venga accusando - tenuto conto delle difficoltà, per la medicina antalgica, di neutralizzare o mitigare, in determinate ipotesi e oltre certi livelli di gravità, il dolore fisico.

 

Degrado estremo, sospensione dei trattamenti

Considerazioni non diverse varranno per le espressioni umane del "degrado", dovendo intendersi con tale locuzione - al di là del riguardo per i dolori in senso stretto – ogni compromissione della quotidianità spicciola del malato, tali da oltrepassare determinate soglie di "dignità", sul piano esteriore come interiore.

 Ciò, in particolare, sotto i profili dell"autonomia di movimento, delle capacità respiratorie, delle possibilità di ambulazione, della nutrizione, dell"igiene e pulizia personale, della digestione, dei margini di isolamento, della gradevolezza di aspetto, delle facoltà di comunicazione.

 Vale pur qui il rilievo secondo cui tutto ciò che, a livello medico, venga trascurato nel rallentamento dei processi di debilitazione, abbasserà il tono del paziente sotto il limite oltre il quale – specie nei casi di ospedalizzazione – potrebbero mettersi in moto dinamiche di dismissione, più o meno dichiarata, dei sostegni di fine vita.

 L"interrogativo è se non debba intraprendersi, allora, quanto varrà ad attenuare il peso di una serie di contraccolpi/risvolti - gli stessi che la prassi potrebbe considerare, più tardi, idonei a giustificare il ricorso a forme di "eutanasia passiva": stante la propensione di non pochi reparti sanitari, all"insegna del no all"accanimento terapeutico, a diminuire o sospendere il ricorso a trattamenti di tipo salvifico, di questo o quel genere, via via che lo stato del paziente mostri di aggravarsi.

 

Fattori psicologici

Non è il caso di rimarcare poi – ai fini delle modalità di fronteggiamento del male - l"importanza che i fattori psicologici sono destinati a spiegare nell"esperienza di chi soffre, e della sua famiglia.

 Altro è sapere che nulla verrà intrapreso, da chi di dovere, per combattere i sintomi che sono fonte per l"infermo di avvilimento e desolazione; altro è, nella consapevolezza dei vari interessati, che abbia inizio o che prosegua un percorso di cura (non miracoloso né onnipotente, ma) tale da far intravedere esiti di minor disagio.

 

Criterio della "sfiducia costruttiva"

Si potrebbe postulare (come indicazione di default terapeutico) il ricorso a una sorta di "sfiducia costruttiva", quale criterio atto a circoscrivere il potere, e il diritto di parola, di chiunque contrasti in astratto l"esecuzione di determinate cure - quelle che preannunciano, magari senza credenziali di ortodossia, di apportare comunque benefici.

 Detto altrimenti:

 (i) occorrerà evitare di fatto ogni soluzione - comunque argomentata sul piano tecnico - passibile di tradursi nel sostanziale "abbandono" di un bambino alla sua attuale patologia, e alle relative sofferenze;

 (ii) in qualsiasi frangente, ci si dovrà chiedere a quale sorte andrebbe incontro quel sofferente, nell"immediato, laddove la somministrazione di staminali venisse sospesa;

 (iii) nessun ascolto meriterà l"opinione di chi, avversando quella certa via d"uscita, non sia in grado di proporre contemporaneamente (interventi tali da assicurare) benefici simili o maggiori rispetto a quelli che la stessa fa sperare (cfr. in generale Zatti, Spunti, cit., § 5 : "Il trattamento medico completo …, come si realizza nell"attività clinica, non può essere sempre e in ogni caso vincolato alla applicazione di protocolli consolidati, quasi che il singolo paziente fosse da considerare solo come una unità all"interno delle grandezze statistiche di cui fa uso la conoscenza scientifica, e quasi che la decisione terapeutica procedesse come una deduzione sillogistica da conoscenze scientifiche espresse in forma di premessa maggiore").

 

----------------------------------------------------------  Conclusioni


 Diritto al minor male

 Per dirla con le parole di una diffusa giurisprudenza:

 "Il diritto alla tutela della propria salute non è soltanto da intendersi come diritto a fruire di terapie ufficialmente riconosciute ed approvate, e non va visto soltanto in funzione della possibilità di guarigione finale dell'ammalato, perché altrimenti, così ragionando, dovrebbero assurdamente negarsi le cure (anche di solo contenimento e antidolorifiche) a tutti coloro che si trovano in situazioni patologiche per le quali non è, allo stato delle conoscenze mediche, prevedibile una guarigione.

 In realtà, la norma costituzionale sul diritto alla salute non può non essere letta in armonia con gli altri principi costituzionali che tutelano l'individuo, quali: l'obbligo di rispettare la dignità della persona, quale che ne siano le condizioni economiche e sociali; l'obbligo di adempiere ai doveri di solidarietà; l'obbligo di assicurare l'eguaglianza di trattamento di tutti gli individui; ed infine, il fondamentale obbligo di rispettare la libertà individuale, che la stessa Costituzione definisce inviolabile, e che si esplica anche nel diritto di scegliere, in tutti i casi in cui la medicina ufficiale non solo non offre garanzie di guarigione, ma neppure speranze di arrestare l'avanzata del male, quelle soluzioni terapeutiche che, a parità di incertezze sui risultati, consentano almeno di mantenere un livello di vita decoroso e meno devastato dagli effetti secondari delle terapie.

 Il diritto alla salute è, in altri termini, non soltanto il diritto a poter curare il proprio male per guarirne (che è pur sempre la normale aspettativa di chiunque), ma anche il diritto a ridurre al minimo, ovvero a non dover subire necessariamente, gli effetti collaterali di terapie anche di semplice "mantenimento", e di poter scegliere il quadro terapeutico che (a parità di incertezza, ovvero anche in caso di pari certezza "negativa", sull'esito finale) assicura il minor danno emergente ulteriore per l'equilibrio psico-fisico e biologico dell"ammalato.

 E', del resto, pacifico ed innegabile che il medico sia libero, e "debba essere libero" a garanzia del progresso stesso delle scienze mediche, di prescrivere all'ammalato quei farmaci che egli ritenga, nella sua scienza e coscienza, ed ovviamente sotto la sua responsabilità (che trova regolazione sul piano dei rapporti con il paziente, anche attraverso la figura del c.d. consenso informato, richiamata anche dalle norme innanzi menzionate), utili a produrre effetti terapeutici per il paziente.

 (…) I diritti di libertà individuale devono far ritenere che l'ammalato è il dominus della propria situazione, ed ha diritto di scegliere, pur se sulla scorta dei necessari pareri dei medici, le soluzioni terapeutiche che intende seguire. Ciò basta a radicare la prova della necessità della terapia, non potendosi certo pretendere di addossare al malato l'onere di provare la validità scientifica della terapia, sulla quale non sono concordi neppure le più alte autorità scientifiche dello Stato, perché in tal caso si porrebbe a carico del malato una vera e propria probatio diabolica, impossibile da raggiungere e da allegare sulla base dei suoi ristretti mezzi di conoscenza" (così, da ultimo, Trib. Trani, 28 marzo 2008).

 

Libertà di cura

 La libertà di curare, presupposto irrinunciabile dell'attività medico-chirurgica, si estrinseca nella "facoltà che ha il medico di scegliere il trattamento più idoneo", attenendosi comunque alle conoscenze scientifiche al momento più accreditate ed ai valori etici fondamentali (art. 5 Codice di Deontologia Medica) e nel rispetto, al contempo, della scienza e della coscienza professionale, oltre che delle scelte del paziente.

 Il medico è "libero di prospettare e proporre all'assistito i metodi di indagine diagnostica ed i trattamenti terapeutici (farmacologici, fisici, chirurgici ecc.) che ritenga più appropriati a seconda delle circostanze, in relazione anche e soprattutto alla tipologia di paziente; ma la libertà di cura va intesa non tanto come diritto del medico, quanto come garanzia e strumento indispensabile per l'assolvimento degli obblighi, contrattuali e non, che egli ha verso l'assistito e verso la società" (così testualmente Norelli, Bonelli, Magliona, Papp, Giannelli, Aspetti medico-legali, cit, 305; v. anche, con riguardo al sopracitato art. 1, comma 4, d.l. n. 536/96, in tema di medicinali innovativi, Trib. Bari Sez. lav., 14 febbraio 2012, secondo cui "la predetta disposizione normativa, nel consentire il ricorso a terapie alternative rispetto a quelle positivamente disciplinate e consentite nel nostro ordinamento, ha riconosciuto e valorizzato il diritto di scelta del malato ad orientarsi nella cura da perseguire, quando le strade ordinarie sono state già tutte percorse senza esito, acconsentendo a che il SSN si accolli le spese necessarie a consentire la piena tutela del diritto alla salute di ciascuno, attraverso la concreta realizzazione della libertà di cura, nella sua più lata accezione di libertà di scelta della cura").

 

Funzionalità

 I principî da seguire, nella fattispecie che qui interessa, appaiono in definitiva:

 (a) Logiche di mera ossequiosità/subalternità alla tradizione, laddove questa non sia in grado di promuovere il sollievo dei bambini, rischiano di trasformare il summum ius in una summa iniuria (cfr. da ultimo Trib. Bari, sez. lav., 14 febbraio 2012: "Il diritto alla tutela della salute, quale diritto soggettivo individuale assoluto e fondamentale della persona umana, appartiene ai diritti sociali naturali che trovano la loro fonte normativa anche nell'art. 3 comma 2 Cost. il quale, in base al principio della pari opportunità terapeutica, deve garantire ai cittadini una uguaglianza di base di risultato nel settore sanitario a prescindere dalle singole condizioni economiche e sociali; pertanto, vanno riconosciute le stesse opportunità di cura ai cittadini affetti da gravi patologie (…) i quali, come nel caso di specie, non abbiano ottenuto alcun miglioramento dalla cura tradizionale chemioterapica o radioattiva, e reagiscano invece positivamente, quand'anche non sotto il profilo della guarigione, ma sotto quello limitato, ma sempre di rilievo, della qualità della vita, non potendo disconoscersi il loro diritto di farsi curare dal proprio medico di fiducia con una terapia o pratica medica innovativa, purché regolarmente prescritta in quanto ritenuta utile ed indispensabile").

 (b) Se è vero, come tanti ormai pensano, che:

- in tutta una serie di ipotesi la volontà dell"interessato é/deve essere decisiva, allorché l"obiettivo sia quello di non vivere più;

- orbene, lo stesso dovrà a fortiori ritenersi allorquando, come nel nostro caso, si tratti invece di volontà proiettate verso la continuazione della vita, miranti quantomeno a risultati di minor sofferenza quotidiana, comunque a margini di miglior conforto generale (cfr., con riguardo al caso Di Bella, e alla sentenza Corte cost. 185/1998, le indicazioni offerte di R.Bin, Libertà della ricerca scientifica in campo genetico, in Alle frontiere del diritto. Scritti in onore di Valerio Onida, a cura di M. D'Amico e B. Randazzo, Milano 2011, § 6: "La Corte costituzionale non rifiuta di qualificare come "diritto fondamentale" le aspettative rivolte ai risultati della ricerca sperimentale, collocandole nel contenuto essenziale del diritto alla salute. E questo ragionamento sembra poter portare un po" più lontano. La storia dell"evoluzione che la protezione dei diritti fondamentali ha tracciato nella giurisprudenza costituzionale mostra che in diverse circostanze la tutela della libertà "negativa" del cittadino privato si è progressivamente estesa sino alla protezione degli interessi della collettività che dell"esercizio di quel diritto avrebbe potuto beneficiare, e che gli interessi della collettività ben possono concretarsi alla fine nel diritto di ogni suo membro").

 (c) Quanto più grave appare lo stato clinico, tanto più meriterà seguito - al di là dei margini di conoscenza e padroneggiamento, a livello scientifico, circa i meccanismi ultimi del sollievo - un approccio di tipo sintomatico/misericordioso (v. anche Trib. Trani 29 marzo 1999; Trib. Bari 14 febbraio 2012, secondo i quali "il diritto alla salute è in altri termini non soltanto il diritto a poter curare il proprio male ma anche il diritto a ridurre al minimo, ovvero a non dover subire necessariamente, gli effetti collaterali anche di semplice mantenimento, e di poter scegliere il quadro terapeutico che assicura il minor danno emergente per l'equilibrio psico-fisico e biologico dell'ammalato", con l"ulteriore chiarimento che " la norma costituzionale sul diritto alla salute non può non essere letta in armonia con altri principi costituzionali che tutelano l'individuo, quali l'obbligo di tutelare la dignità della persona e adempiere ai doveri di solidarietà").

(d) Pure in ambito compassionevole, alcune regole circa la plausibilità del modello utilizzato resteranno comunque imprescindibili, tecnicamente, per il singolo medico (Zatti, Spunti, cit.. § 4: "Nell"ambito della pratica clinica la libertà di utilizzo di terapie innovative, anche non convalidate da un processo compiuto di sperimentazione, trova un vero limite invalicabile solo nel rispetto delle leges artis che governano la responsabilità professionale, e dunque nella plausibilità del modello metodologico utilizzato in rapporto al caso clinico individuale, oltre che nell"adeguata formazione del consenso del paziente").

 (e) Nessuna decisione potrà aver luogo se non "dal basso" della sequenza, soppesandosi accortamente i pro e i contro di ogni combinazione terapeutica, con un forte risalto per le linee volte a un miglioramento nella salute e nella qualità della vita, soprattutto. quanto a efficienza corporea, fragranza antropologica, interscambi, attitudini muscolari, lieviti esistenziali (Zatti, Spunti, cit., § 5: "Il campo in cui si apre la liceità della terapia innovativa è esclusivamente quello del rapporto individuale: essa si legittima come il risultato di una valutazione che germina sulla comprensione della domanda che viene dal caso individuale, e che si fonda sulla possibilità di esperire una via terapeutica tale da offrire al singolo paziente un bilancio di costi e benefici possibili più favorevole o anche soltanto più rispondente alla risposta che il paziente stesso, adeguatamente informato, dà a se stesso esercitando il diritto all"autodeterminazione per scegliere la propria salute: quella che corrisponde alla sua concezione di vita e all"immagine che egli ha di sé").

 

Potere decisionale dei genitori

La decisione ultima non potrà che spettare, in ogni caso, ai genitori (titolari della potestà sui figli) – e ciò non soltanto in forza di considerazioni formali. Occorre infatti tenere conto che:

 (i) esiste una rosa di variabili storiche, più o meno ampia secondo le circostanze, che i genitori sono gli unici a poter conoscere e valutare: elementi relativi ad es. ai gusti peculiari del figlio, ai suoi tratti interiori, ai suoi bisogni e coefficienti di vulnerabilità, alle sue abitudini di vita, al suo mondo prospettico;

 (ii) né si tratta soltanto del figlio malato; lo stesso varrà per (quanto concerne l"apprezzamento circa) gli impatti che ogni scelta preannuncia, di regola, sull"universo complessivo della famiglia: con riguardo sia alle capacità "metaboliche" dei genitori – destinati a vivere più o meno a lungo con quel figlio - sia alle reazioni degli eventuali fratelli o dei nonni

 (iii) il padre e la madre dovranno poter rispondere a se stessi – allorché si domandino, dopo l"eventuale morte del figlio, se hanno fatto in vita "tutto il possibile" – di non avere omesso alcun tentativo: essendo evidente, fra l"altro, il peso di tutto ciò sul modo in cui entrambi si rapporteranno in futuro con i fratelli del bambino malato, con i parenti, con gli eventuali figli a venire (v. pure Pret. Lecce 4 febbraio 1998; Trib. Catanzaro 26 gennaio 1998; Trib. Macerata 12 gennaio 1998, Trib. Roma 4 febbraio 1998, tutte sulla necessità che vengano riconosciute "le stesse opportunità di cura ai cittadini affetti da gravi patologie tumorali, i quali, come nel caso di specie, non abbiano ottenuto alcun miglioramento dalla cura tradizionale chemioterapica o radioattiva, e reagiscano invece positivamente, quand'anche non sotto il profilo della guarigione, ma sotto quello limitato, ma sempre di rilievo, della qualità della vita, non potendo disconoscersi il loro diritto di farsi curare dal proprio medico di fiducia con una terapia o pratica medica innovativa, purché regolarmente prescritta in quanto ritenuta utile ed indispensabile").




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