-  Farina Massimo  -  14/10/2008

UN NUOVO INPUT PER IL TRATTAMENTO DATI EFFETTUATO MEDIANTE SISTEMI DI VIDEOSORVEGLIANZA - Massimo FARINA

Con un comunicato stampa del 25 settembre 2008 [1], l’Autorità Garante per la Privacy ha reso noto che “sono in corso in tutta Italia ispezioni su 40 sistemi di videosorveglianza installati da comuni, scuole, ospedali, società private, istituti di vigilanza che trattano dati personali anche per conto terzi al fine di verificare quanto le prescrizioni di cui al Provvedimento 24 aprile 2004” [2].
La scelta, spiega il documento, è caduta su quelle realtà che si sono distinte per la dimensione dei sistemi installati, per la loro incidenza in aree con una elevata presenza di persone e di minori, nonché per l' utilizzo di tecnologie particolarmente sofisticate o di telecamere non facilmente rilevabili. L’obbiettivo che si vuole perseguire con le ispezioni in atto, da una parte, è di ottenere un quadro aggiornato sull’attuale impiego dei sistemi di videosorveglianza in ambito pubblico e privato; dall’altra, si vogliono far “emergere eventuali aspetti non ancora specificamente disciplinati dalla normativa”.
L’Authority ha osservato che “sempre più frequente risulta la condivisione, soprattutto in ambito locale, di sistemi di videosorveglianza tra soggetti privati e pubblici (ad es., tutela di beni aziendali e prevenzione e repressione dei reati), senza una adeguata regolamentazione dei casi in cui le immagini raccolte possono essere utilizzate. In forte sviluppo anche l'uso di Internet per la trasmissione di dati ripresi dalle telecamere, con conseguenti problemi di sicurezza nella comunicazione telematica qualora i dati non siano protetti da efficaci sistemi di codifica. In continuo aumento anche l'impiego di dispositivi miniaturizzati o camuffati che, non essendo immediatamente percepibili come le tradizionali telecamere, richiedono un'informativa agli utenti ben visibile e completa. Sempre più spesso, poi, sono istituti di vigilanza privatii a gestire sistemi di ripresa di soggetti diversi presso un'unica centrale operativa, con una rilevante concentrazione di immagini”.
Prendendo spunto dalle dichiarazioni suddette, in questa sede si cercherà di fornire un breve quadro riassuntivo per tutti coloro che intendono installare impianti stabili per la videosorveglianza.

Le regole generali per la videosorveglianza.

Con un provvedimento generale del 29 novembre 2000 [3], e con uno successivo (integrativo) del 29 aprile 2004 [2], il Garante per la protezione dei dati personali ha esplicitato le regole per i titolari del trattamento per mezzo di sistemi di videosorveglianza.
Si è voluto, in tal modo, bilanciare l’interesse del singolo (videoripreso), alla riservatezza dei propri dati personali (immagini), e la necessità, per i soggetti privati e pubblici, di monitorare ambienti esposti a rischi di sicurezza.
Può affermarsi, quindi, che già sotto la vigenza della Legge n. 675/96, il problema delle immagini era ben sentito.
Con l’integrazione, resasi necessaria, del 2004 si sono voluti precisare ulteriori aspetti alla luce delle nuove regole codificate nel d.lgs. n. 196/03, nonché per la massiccia diffusione dell’uso di sistemi, sempre più sofisticati, per la videosorveglianza.
Il Provvedimento generale del 2004, citato dall’Autorità Garante anche nel recente comunicato stampa, è dedicata ai principi generali, ossia a tutte le regole di base che devono essere rispettate durante l’esercizio di attività di videosorveglianza.
La prima, tra queste, è il principio di liceità, secondo il quale: i soggetti pubblici possono effettuare riprese quando siano necessarie allo svolgimento di funzioni istituzionali; i titolari privati, invece, quando siano necessarie per adempiere ad obblighi di legge o effettuate per tutelare un legittimo interesse.
Il successivo articolo 2.2. evoca il principio di necessità , già presente nel Codice della Privacy, che applicato al contesto della videoripresa, consente di filmare le persone solo se, per raggiungere gli scopi prefissati, non possono essere utilizzati dati anonimi. Qui è chiarala funzione residuale del sistema di videosorveglianza, consentito soltanto nelle ipotesi in cui non possano essere utilizzati dei mezzi alternativi. Il tutto, trova conforto anche nel principio di proporzionalità. Occorre, infatti, evitare la rilevazione in aree o attività che non sono soggette a concreti pericoli o per le quali non ricorre un’effettiva esigenza di deterrenza, come quando, ad esempio, le telecamere vengono installate solo per meri fini di apparenza o di "prestigio".
In tal senso, non risulta, di regola, giustificata un’attività di sorveglianza rivolta anzichè al controllo di eventi (situazioni e avvenimenti), rivolta a finalità promozionali-turistiche o pubblicitarie, attraverso web cam o cameras-on-line che rendano identificabili i soggetti ripresi. Si consideri, a titolo d’esempio, la prassi seguita in talune località di mare, nelle quali, per esclusivi fini promozionali, si riprendevano con web cam le spiagge e si pubblicava il tutto su siti internet.
Va, infine, ricordato il principio di finalità, secondo il quale chi installa telecamere deve perseguire finalità determinate e di propria pertinenza. Il Garante, a tal proposito, precisa che da parte di alcune amministrazioni comunali, vengono “indicate indebitamente come scopo della sorveglianza, finalità di sicurezza pubblica, prevenzione e accertamento dei reati che competono invece solo ad organi giudiziari o a forze armate o di polizia”. Sono, invece, diversi i “casi in cui i sistemi di videosorveglianza costituiscono una misura complementare volta a migliorare la sicurezza all’interno o all’esterno di edifici o impianti ove si svolgono attività produttive, industriali, commerciali o di servizi, o che hanno lo scopo di agevolare l’eventuale esercizio, in sede di giudizio civile o penale, del diritto di difesa del titolare del trattamento o di terzi sulla base di immagini utili in caso di fatti illeciti”.
Fermo, pertanto, il rispetto dei principi sopra ricordati, qualora il titolare del trattamento riscontri l’oggettiva necessità di installare impianti di monitoraggio (ed eventuale archiviazione) attraverso sistemi di videosorveglianza, egli dovrà, necessariamente, informare gli interessati della presenza di telecamere attraverso l’affissione di appositi cartelli ben visibili con sopra riportata (in modo sintetico e senza ambiguità) l’indicazione di chi effettua la rilevazione delle immagini e per quali scopi. L’adempimento va rispettato anche in occasione di spettacoli pubblici (concerti, manifestazioni sportive) o di attività pubblicitarie (attraverso web cam). Si tratta, in altri termini, dell’obbligo di informativa previsto all’articolo 13 del Codice della Privacy, che in questo specifico caso assume la veste della cosiddetta informativa "minima" (comma 3).
Il ricorso a quest’ultima, però, non è sempre consentito, infatti, nel Provvedimento generale del 2004 si legge che “il modello semplificato non può essere utilizzato nei casi di raccolta delle immagini collegata e/o incrociata e/o confrontata con altri particolari dati personali (ad es. biometrici), oppure con codici identificativi di carte elettroniche o con dispositivi che rendono identificabile la voce”. In queste ipotesi è, inoltre, necessario sottoporre i sistemi di videosorveglianza alla verifica preliminare dell’Autorità Garante (art. 143, comma 1, lett. c, D.lgs. n. 196/03). La medesima procedura è necessaria anche in caso di digitalizzazione o indicizzazione delle immagini (che rendono possibile una ricerca automatizzata o nominativa) e in caso di videosorveglianza c.d. dinamico-preventiva che non si limiti a riprendere staticamente un luogo, ma rilevi percorsi o caratteristiche fisionomiche (es. riconoscimento facciale) o eventi improvvisi, oppure comportamenti anche non previamente classificati.
Infine, in caso di registrazione delle immagini, che deve avvenire nel pieno rispetto del principio di proporzionalità, l’eventuale conservazione dei dati va commisurata al grado di indispensabilità e per il solo tempo necessario a raggiungere la finalità perseguita. In tal senso è stato previsto un tempo massimo di 24 ore, fatte salve le ipotesi speciali di conservazione prolungata in relazione a festività o chiusura di uffici o esercizi, nonché nel caso in cui si deve aderire ad una specifica richiesta investigativa dell’autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria. In alcuni specifici casi , ad esempio per le banche le quali possono avere l’esigenza di identificare gli autori di un sopralluogo nei giorni precedenti una rapina, è ammesso un tempo più ampio di conservazione dei dati, che non può comunque superare la settimana.
Il titolare che detiene le registrazioni dei dati ha l’obbligo di proteggerle da appropriazioni non autorizzate e di non diffondere i dati medesimi né comunicarli a terzi.

Settori specifici.

All’articolo 4, del Provvedimento Generale del 2004, sono dettate le regole per settori specifici: rapporti di lavoro, ospedali e luoghi di cura, istituti scolastici, luoghi di culto e di sepoltura.
Per i rapporti di lavoro, la disciplina quivi esaminata funge da complemento a quanto già previsto nello Statuto dei lavoratori [4]; in esso è contenuto, infatti, l’assoluto divieto di utilizzo di mezzi di sorveglianza a distanza per finalità di mero controllo del lavoratore.
Gli impianti e le apparecchiature di controllo sono tollerati soltanto se condizionati ad esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro. Sussistendo tali necessità, è possibile installare sistemi di videocontrollo previo il necessario accordo con le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in assenza di queste ultime, mediante richiesta alla competente Direzione Provinciale del Lavoro. In ogni caso, e senza alcuna deroga, vige il divieto di ripresa negli ambienti non destinati al lavoro, quali spogliatoi, docce armadietti e luoghi ricreativi.
Potrebbe, altresì, capitare che il datore di lavoro intenda promuovere la propria attività imprenditoriale con riprese televisive sui luoghi di lavoro, che vedano coinvolto il personale dipendente: in tali casi rimane fermo il diritto del lavoratore di opporsi alle riprese.
Per quanto concerne le riprese negli ospedali e nei luoghi di cura, stante la natura sensibile di molti dati che possono essere in tal modo raccolti, le riprese devono essere limitate ai casi di stretta indispensabilità. Sono autorizzati ad accedere alle immagini solo i soggetti appartenenti al personale medico ed infermieristico. Possono, inoltre, accedervi i familiari di ricoverati in reparti dove non sia consentito agli stessi di recarsi personalmente (per esempio, rianimazione). È fatto divieto assoluto di visione delle immagini ai soggetti estranei.
Chiunque diffonde le immagini idonee a rivelare lo stato di salute incorre nelle sanzioni penali previste all’articolo 167 del D.lgs. 196/03 per il trattamento illecito di dati.
Il rispetto del diritto dello studente alla riservatezza impone limiti anche all’installazione di sistemi di videosorveglianza presso istituti scolastici. Si tenga conto del fatto che spesso in tali contesti il trattamento riguarderebbe soggetti minori. Ebbene, le riprese devono essere circoscritte alle sole aree interessate ed attivate negli orari di chiusura degli istituti. Va rigorosamente regolato l’eventuale accesso ai dati.
Il carattere sensibile delle informazioni relative all’appartenenza ad una determinata confessione religiosa sorregge le cautele poste alla base delle limitazioni previste per l’installazione di telecamere presso chiese o altri luoghi di culto o di ritrovo di fedeli. Più precisamente, per i luoghi di sepoltura, è ammissibile l’installazione di sistemi di videosorveglianza solo quando si intenda tutelarli dal concreto rischio di atti vandalici.


Soggetti pubblici e soggetti privati

Un soggetto pubblico può effettuare attività di videosorveglianza al solo scopo di svolgere funzioni istituzionali. Di norma, nel bilanciamento tra interesse privato e pubblico prevale quest’ultimo ma è, certamente, fuor di dubbio che, pur perseguendo interessi di natura pubblica, il trattamento dati tramite videosorveglianza deve rispettare tutti i principi sopra richiamati.
In tal senso, le Amministrazioni Pubbliche, titolari di compiti in materia di pubblica sicurezza o prevenzione dei reati, per installare telecamere, devono essere motivate da effettive esigenze di prevenzione o di repressione di pericoli concreti.
Detto ciò, è possibile affermare che sono considerate illecite le attività di videosorveglianza capillare di intere aree cittadine, riprese integralmente e costantemente in assenza di precise esigenze; e, altresì vietata, l’installazione degli impianti suddetti al mero fine di controllo del rispetto del divieto di fumare o di gettare mozziconi, di calpestare aiuole, di affiggere o di fotografare, o di altri divieti relativi alle modalità nel depositare i sacchetti di immondizia entro gli appositi contenitori.
A differenza dei soggetti pubblici, i privati possono trattare dati personali solo se vi è il consenso preventivo espresso dall’interessato. Un’idonea alternativa all’esplicito consenso va ravvisata nell’istituto del bilanciamento di interessi. Si possono installare, infatti, telecamere senza il consenso degli interessati quando si persegue un legittimo interesse del titolare o di un terzo attraverso mezzi di prova o perseguendo fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro.
Qualora le aree interessate siano di proprietà comune a più soggetti, come ad esempio quelle condominiali, le installazioni di videoimpianti sono ammesse esclusivamente per preservare da concrete situazioni di pericolo la sicurezza di persone e la tutela dei beni.
Il singolo condomino che voglia monitorare il proprio ingresso deve adottare opportune cautele quali, tra le altre, posizionamento con angolo visuale limitato ai soli spazi di propria pertinenza e nessuna ripresa di aree comuni o antistanti le abitazioni di altri condomini.
I videocitofoni sono ammessi al solo scopo di identificare i visitatori.


[1] Comunicato stampa del 25 settembre 2008, consultabile all’indirizzo http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1550089.
[2] Provvedimento generale del 29 aprile 2004, in Bollettino del n. 49/aprile 2004, pag. 0, reperibile all’indirizzo http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1003482
[3] Provvedimento generale del 29 novembre 2000, (cosiddetto “decalogo sulla videosorveglianza”) in Bollettino del n. 14/settembre 2000, pag. 28, reperibile all’indirizzo http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=31019.
[4] Legge 20 maggio 1970, n. 300, Norme sulla tutela della libertà e dignità del lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nel luoghi di lavoro e norme sul collocamento, in G.U. n. 131 del 27 maggio 1970;




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