Letteratura  -  Paolo Cendon  -  26/12/2021

Al momento della tesi varie cose sarebbero cambiate

Alcune fra le materie del primo anno, quelle romanistiche ad esempio, avevano finito per piacermi. E dopo aver dato – con Pietro Rescigno come docente, avendo studiato sul Trabucchi - l’esame di Diritto privato, avevo preso a identificare in quella la mia possibile materia d’elezione.

Quotidianità, saggezza millenaria, vastità degli orizzonti; l’impressione era di essere, fra obbligazioni e contratti, al centro del centro della scena. Restava da trovare il relatore giusto.

Non conoscevo Il professor Rodolfo Sacco, era arrivato in facoltà dopo di me. Nessuno sapeva bene chi fosse: la sua fama era quella di uno che faceva lezioni complesse, burbero e strano, che incuteva soggezione, vestito sempre di scuro, che pronunciava male la esse. Era passato a civile dopo che Giuseppe Stolfi si era trasferito a Roma, copriva per incarico anche diritto del lavoro; nessuno si era ancora, che io sapessi, laureato con lui.

Un pomeriggio bussai alla porta del suo studio, mi presentai, cominciammo a parlare: così le cose iniziarono.

Non ero tipo da lasciarmi impressionare, quella volta; nemmeno però ottuso al punto da non accorgermi quando, in ciò che potevo non capire momentaneamente, si nascondesse qualcosa di buono.

Per farla breve; al cordone ombelicale veneziano, con quanto significava spiritualmente, non avrei mai rinunciato; e tuttavia i limiti del mio approccio all’universo, così spesso liquido e confuso, emergevano a ogni incontro con Sacco. 

Troppi in effetti i filamenti terra-acqua che ignoravo.

Il diritto, cominciavo ad accorgermi, rappresentava un insieme da investigare con umiltà, meticolosamente. Esistevano voci e metodi, al di fuori di noi, che occorreva in generale apprendere, a volte imparare a memoria. Quanto si faceva al di là dell’Italia o dell’Europa poteva essere, sotto il profilo del sapere, più importante di quello che accadeva in patria o nel continente.

Passare il tempo a lucidare i concetti giuridici, a costruire diagrammi impeccabili: nobile come occupazione sì, non forse la più importante da coltivare in Accademia. Poteva esserci più verità - o almeno più freschezza e umanità - in una sentenza disinibita, imperfetta sintatticamente, che non in un articolo di legge stampato nel marmo, con velleità definitorie; oppure nei sillogismi della tarda pandettistica, in qualche equazione d’alta scuola.

 

 




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