Pubblica amministrazione  -  Gabriele Gentilini  -  19/10/2022

Danno da mancata aggiudicazione - Consiglio di Stato, sez. V, 27.09.2022 n. 8327

Nella pronuncia in trattazione viene confermato che "La ricorrente, ritenendosi danneggiata, avrebbe dovuto fornire una prova rigorosa dell’an e del quantum della pretesa risarcitoria, poiché, come bene ricordato dal primo giudice, nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza, non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex art. 64 c.p.a. e la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno ".

Segue il pronunciamento

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FATTO

  1. Con determinazione a contrarre n. 393 del 4 ottobre 2019 il xxxxxxxxxxxx indiceva la “Procedura aperta per l'affidamento dei servizi di progettazione lavori relativi alle opere di adeguamento sismico e antincendio, manutenzione straordinaria spogliatoi e copertura e ampliamento della scuola secondaria di primo grado nel xxxxxxxxxxxx, per un importo a base di gara di 156.552,57 euro (IVA esclusa), da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (con assegnazione di un massimo di 70 punti per l’offerta tecnica, di 20 punti per l’offerta economica e di 10 punti per l’offerta tempo), demandandone l’espletamento alla Centrale Unica di Committenza (C.U.C.) della Provincia di xxxxxxxxxxxx.

1.1. All’esito della gara, cui avevano partecipato otto operatori economici, risultava primo classificato il xxxxxxxxxxxx, il quale aveva proposto un’offerta tempo di 23 giorni e un importo economico complessivo di € 60.000,00 oltre IVA, pari ad un ribasso percentuale del 61,6742% sul predetto importo a base di gara, conseguendo così il punteggio complessivo di 96,08 punti.

1.2. Pertanto, conclusosi positivamente l’avviato subprocedimento di verifica di anomalia dell’offerta, con determinazione n. 115 dell’11 marzo 2020 il xxxxxxxxxxxx aggiudicava in via definitiva l’appalto al r.t.p. primo graduato.

  1. Con ricorso notificato in data 16 luglio 2020, la xxxxxxxxxxxx, seconda classificata con 93,38 punti, impugnava innanzi al Tribunale amministrativo per la Lombardia- Sezione Staccata di Brescia il provvedimento di aggiudicazione della procedura, nonché la normativa di gara, con particolare riguardo al metodo di calcolo dei punteggi per l'offerta tempo previsto dall'art. 18.3 del bando di gara, e ogni ulteriore atto presupposto, conseguente e/o, comunque, connesso, ivi inclusi: a)i verbali di gara nella parte in cui si era proceduto all’ammissione e alla valutazione dell’offerta aggiudicataria; b)la determina della CUC n. 340 dell’11.3.2020 recante l’approvazione dei verbali di gara e la proposta di aggiudicazione; c) la nota del xxxxxxxxxxxx prot. n. 3161 del 27 febbraio 2020 con cui era stata ritenuta congrua l’offerta presentata dal predetto R.T.P.; d) le note comunali prot. n. 3990 del 13.3.2020 e prot. n. 4984 del 9.4.2020 con cui sarebbe stato disposto l’avvio del servizio in via d’urgenza; e) la nota del Comune prot. n. 3991 del 13.3.2020 con cui sarebbe stata comunicata l’aggiudicazione in favore del predetto r.t.p..

2.1. La ricorrente formulava altresì domanda risarcitoria, in forma specifica, previa declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato con l’aggiudicatario e, in subordine, per equivalente monetario.

2.2. La ricorrente, premesso di aver appreso informalmente solo in data 4 giugno 2020 dell’intervenuta aggiudicazione della gara (che non le sarebbe stata comunicata) nonché dell’affidamento in via d’urgenza del servizio, presentando quindi istanza di accesso agli atti (riscontrata dal Comune il 15 giugno 2020), formulava varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere (sub specie di errore di fatto e travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, sviamento, illogicità e irragionevolezza, ingiustizia manifesta, violazione dei principi di trasparenza e par condicio competitorum, violazione degli artt. 3 e 97 Cost.), lamentando, in particolare, con quattro motivi di ricorso la mancata esclusione dalla procedura del r.t.p. aggiudicatario per le seguenti ragioni:

  1. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 80, co. 5, lett. c), c-bised f-bisD.lgs. n. 50/2016, D.Lgs. n. 50/2016, nonché degli artt. 16 e 18 del bando di gara, per le false dichiarazioni contenute nella relazione presentata ai fini dell’attribuzione del punteggio concernente la “Professionalità ed adeguatezza dell’offerta” (articolo 18.1. del Bando), per il quale i concorrenti dovevano descrivere due servizi di progettazione precedentemente svolti relativi ad interventi ritenuti significativi della propria capacità a realizzare la prestazione sotto il profilo tecnico e affini a quelli oggetto di affidamento, in quanto i due servizi indicati dalla controinteressata sarebbero stati espletati solo in minima parte da xxxxxxxxxxxx (limitatamente alla progettazione impiantistica), poiché le relative commesse erano state aggiudicate non in via esclusiva alla società, ma a R.T.P. di cui la stessa era mandante; la concorrente, omettendo di specificare tale circostanza, avrebbe reso una dichiarazione falsa o comunque parziale, ottenendo per detto criterio un punteggio di 8,75 su 10, che comunque non le spettava;
  2. violazione del divieto di subappalto di cui all’articolo 31, comma 8 del d.lgs. 50/2016 (richiamato dall’articolo 9 del bando di gara), perché il r.t.p. aggiudicatario aveva demandato la relazione geologica a un consulente esterno;

III. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97, co. 5, D.lgs. n. 50/2016, anche in relazione all’art. 22 del bando di gara, per anomalia dell’offerta, essendo i giustificativi prodotti dall’aggiudicatario inidonei e insufficienti a comprovare la congruità delle voci di costo;

  1. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97, co. 5, D.Lgs. n. 50/2016, anche in relazione all’art. 18.3. del bando di gara e all’art. 1.6 delle Linee Guida ANAC n. 1, in ragione dell’omessa giustificazione del ribasso temporale offerto, pari a 23 giorni sui 45 giorni massimi previsti a base di gara, del tutto incongruo rispetto alle complesse attività richieste dall’incarico, senza contare che il metodo di calcolo dei punteggi per l’offerta tempo, indicato dall’articolo 18.3. del bando di gara, sarebbe stato illogico e irrazionale, non essendo stato previsto un limite al ribasso su tale fattore, ciò andando a scapito della qualità della prestazione e violando la par condiciotra i concorrenti, considerato -tra l’altro- che il R.T.P. xxxxxxxxxxxx ha predisposto la progettazione preliminare posta a base di gara e che, quindi, pur non essendogli inibita la partecipazione alla procedura, si trovava in una situazione di vantaggio.

2.3. Inoltre, con un quinto motivo di ricorso si lamentava “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 D.Lgs. n. 50/2016 e 3 e ss. L. n. 241/1990, anche in relazione all’art. 76, co.5, D.Lgs. n. 50/2016 e all’art. 121, co.1, lett. c) c.p.a..” nonché eccesso di potere sotto vari profili, sostenendo che l’avvio dell’esecuzione del servizio era avvenuta in violazione del c.d. “stand still” di cui all’art. 32, comma 9, del d.lgs. 50/2016, avendo l’amministrazione stipulato il contratto prima di 35 giorni dall’invio dell’ultima comunicazione del provvedimento di aggiudicazione (adempimento che nella specie non sarebbe stato mai assolto), e che, inoltre, l’esecuzione in via d’urgenza sarebbe stata disposta in assenza dei presupposti richiesti dal comma 8 del medesimo articolo.

2.4. Si costituivano in resistenza il xxxxxxxxxxxx, eccependo in via preliminare l’irricevibilità del ricorso (in quanto notificato il 14 luglio 2020, oltre i termini di legge dalla comunicazione ai concorrenti, inclusa la ricorrente, dell’aggiudicazione definitiva della gara, regolarmente effettuata via pec con nota prot. 3991 del 13 marzo 2020, nella quale solo per un mero evidente refuso si era fatto riferimento a una diversa procedura di gara) e argomentandone l’infondatezza nel merito.

2.5. Con dichiarazione depositata il 30 agosto 2020, la ricorrente dichiarava di rinunciare all’istanza cautelare, avendo appreso dalla memoria di costituzione della xxxxxxxxxxxx che il contratto di appalto era stato sottoscritto in data 11 maggio 2020 e che i relativi servizi di progettazione erano stati già completati.

2.6. Nelle successive memorie difensive la ricorrente ribadiva la tempestività del ricorso (atteso la mancanza di rituale comunicazione dell’aggiudicazione, siccome riferita, quella trasmessa dall’amministrazione, a una diversa procedura di gara cui la ricorrente non aveva partecipato), invocando, in subordine, la remissione in termini per errore scusabile ex art. 37 c.p.a.; alla luce dell’integrale esecuzione del servizio, insisteva poi per l’accoglimento della domanda di risarcimento per equivalente monetario, formulata in subordine.

  1. Il giudizio è stato definito con sentenza 5 febbraio 2021, n. 126 con cui il Tribunale amministrativo ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (con assorbimento dell’eccezione preliminare sollevata in limine): rilevata l’intervenuta piena esecuzione del servizio oggetto della procedura di gara (già alla data di notifica e deposito del ricorso) ed esaminate le censure di illegittimità degli atti impugnati “nei limiti in cui ne sussista l’interesse a fini risarcitori”ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. (avendo la ricorrente insistito nell’accoglimento della domanda di risarcimento per equivalente proposta in subordine), ha ritenuto che “la domanda risarcitoria, per come formulata e argomentata, sia del tutto generica e non possa essere accolta”.

Alla luce dei principi affermati da Cons. Stato, Ad. Plen, 12 maggio 2017, n. 2 e ricordato che, operando con pienezza il principio dispositivo in materia di risarcimento del danno, la valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. è ammessa soltanto in presenza di una situazione di impossibilità o estrema difficoltà di una precisa prova sull’ammontare del danno, il primo giudice ha infatti ritenuto che la ricorrente non avesse assolto all’onere probatorio attraverso idonee allegazioni, con conseguente improcedibilità sia della domanda di annullamento che di quella di accertamento di illegittimità degli atti impugnati, non risultando quest’ultima utile ai fini risarcitori.

  1. Avverso la sentenza la società ricorrente ha proposto appello, lamentando con tre motivi di gravame: I. “Erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato improcedibile e/o inammissibile la domanda di annullamento dell’aggiudicazione e degli altri atti impugnati per via della pretesa integrale esecuzione del servizio aggiudicato. Omessa disamina della domanda di risarcimento in forma specifica anche mediante declaratoria di inefficacia del contratto ai sensi dell’art. 121 C.P.A.”; II. “Erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile e/o infondata la domanda di risarcimento per equivalente e, anche per tale ragione, improcedibile e/o inammissibile per carenza di interesse il ricorso”; III. “Omessa disamina della subordinata domanda di risarcimento sui criteri ai sensi dell’art. 34, co.4., c.p.a.”.

4.1. Con un quarto mezzo l’appellante ha poi riproposto, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., i motivi non esaminati dalla sentenza di primo grado.

4.2. Si sono costituiti il xxxxxxxxxxxx, riproponendo le eccezioni preliminari già formulate in primo grado e contestando nel merito la fondatezza dei motivi di appello, chiedendone il rigetto.

4.3. All’udienza del 24 febbraio 2022, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

  1. I motivi di appello avverso la sentenza in epigrafe possono essere così sintetizzati.

5.1. Con il primo motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato improcedibile e/o comunque inammissibile per carenza di interesse la domanda di annullamento dell’aggiudicazione e degli altri atti impugnati per via dell’avvenuta piena esecuzione del servizio aggiudicato, omettendo, per l’effetto, di esaminare anche la domanda principale di risarcimento in forma specifica, previa declaratoria di inefficacia del contratto ai sensi dell’art. 121 c.p.a.

In particolare avrebbe errato il primo giudice nell’assumere come pacifica e incontestata una circostanza controversa e non affatto provata dalle amministrazioni resistenti (id est che il servizio sarebbe stato integralmente eseguito già alla data di notifica del ricorso e precisamente il 2 maggio 2020).

Infatti, il contratto veniva sottoscritto solo l’11 maggio 2020 e inoltre non sarebbe stato dimostrato l’effettivo deposito del progetto da parte del r.t.p. aggiudicatario (alla nota del 15 giugno 2020, in riscontro all’istanza di accesso della ricorrente era allegata solo la copertina di un “progetto esecutivo”, privo di firma e datato “29.06.2018”, senza alcuna indicazione né sul contenuto né sull’avvenuto deposito). L’esecuzione integrale del servizio in parola sarebbe rimasta dunque indimostrata, tant’è che non risulterebbe ancora indetta dal Comune la procedura di gara per l’affidamento dei lavori sulla base della progettazione resa dall’aggiudicatario.

Pertanto, non sarebbe affatto venuto meno l’interesse della odierna appellante all’accoglimento della domanda di annullamento.

La sentenza non avrebbe poi minimamente considerato le doglianze volte a censurare l’operato del Comune per aver stipulato il contratto in violazione del c.d. “stand still” e avviato l’esecuzione del servizio in carenza dei presupposti di cui all’art. 32, comma 8, D.Lgs. 50/2016 per la consegna in via d’urgenza.

5.2. Con un secondo ordine di censure l’appellante critica la sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile e comunque infondata, siccome genericamente formulata, la domanda di risarcimento per equivalente e, anche per tale ragione, improcedibile e inammissibile per carenza di interesse il ricorso, omettendo così di accertare nel merito l’illegittimità dell’aggiudicazione disposta in favore del RTI xxxxxxxxxxxx, anche ai sensi dell’art. 34, comma 3, Cod. proc. amm.

Diversamente da quanto afferma la sentenza, la ricorrente assume di aver allegato e provato sia l’“an” del pregiudizio economico conseguente all’illegittima aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante sia il quantum del risarcimento spettante, quest’ultimo nella misura del mancato utile e del danno curriculare.

Senonché il Tribunale, con un salto logico, ha innanzitutto omesso di accertare l’illegittimità dell’aggiudicazione impugnata e la sua spettanza alla ricorrente, in virtù della ritenuta inammissibilità della domanda di risarcimento per equivalente, proposta in subordine.

5.2.1. Richiamati i principi giurisprudenziali secondo cui in materia di gare di appalto è da escludere che il risarcimento dei danni sia subordinato al riconoscimento di una colpa, comprovata o presunta, nell’emanazione di atti illegittimi da parte della stazione appaltante, ovvero al difetto di alcuna causa di esonero di responsabilità, rilevando la lesione in sé della posizione sostanziale del concorrente illegittimamente pretermesso, la ricorrente in primo grado aveva tuttavia evidenziato di aver presentato un’offerta valida, classificandosi al secondo posto della graduatoria di gara, dopo l’aggiudicatario (il quale avrebbe meritato l’esclusione o, comunque, un minor punteggio, retrocedendo alla seconda posizione).

5.2.2. Per quanto, invece, riguarda il “quantum” del lamentato danno, la ricorrente ha lamentato un pregiudizio economico corrispondente al mancato utile (c.d. lucro cessante), sia in termini di mancato profitto (ossia l’utile che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto, correlato all’offerta presentata in gara e al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta, nel caso di specie pari al 61,37 % rispetto all’importo a base di gara), che di c.d. “danno curriculare”, e cioè di pregiudizio derivante dall’impossibilità di indicare tra le proprie referenze l’avvenuta esecuzione dell'appalto.

In particolare, se per il mancato utile doveva essere consentito all’impressa danneggiata di fornire la prova del danno anche mediante l’eventuale ricorso a criteri forfettari, essendo pur sempre ammessa anche una valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., ben potendo la prova in ordine alla quantificazione del danno essere raggiunta anche mediante presunzioni (come riconosciuto dalla stessa decisione dell’Adunanza Plenaria n. 2/2017, richiamata dalla sentenza appellata), riguardo al danno curriculare la prova del pregiudizio è in re ipsa in quanto insita nell’impossibilità per l’impresa di utilizzare le referenze derivanti dall’esecuzione dell’appalto nell’ambito di future gare cui essa potrebbe partecipare, ben potendo anche tale voce di danno essere valutata dal giudice con equo apprezzamento delle specifiche circostanze del caso e liquidato in via equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c.

5.3. Con un terzo motivo di censura l’appellante contesta la sentenza per aver del tutto omesso di esaminare anche la domanda, proposta in via ulteriormente subordinata, di c.d. condanna al risarcimento sui criteri ai sensi dell’art. 34, comma 4, Cod. proc. amm.., in conseguenza del danno da mancata aggiudicazione, ordinando all’amministrazione di proporre a favore della ricorrente il pagamento di una somma a titolo risarcitorio nel rispetto dei criteri all’uopo individuati e rimettendo così alle parti la quantificazione dell’utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto, in assenza peraltro di opposizioni da parte della costituita amministrazione alla richiesta formulata dalla ricorrente.

  1. L’appello è infondato.

Può, pertanto, prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate in primo grado e qui riproposte dalle amministrazioni appellate, stante il rigetto dell’appello per le ragioni di seguito esposte.

  1. È innanzitutto infondato il primo motivo di gravame.

7.1. Correttamente la sentenza appellata, sul presupposto dell’intervenuto espletamento del servizio di progettazione oggetto di gara, rispetto al quale non era più possibile in alcun modo la reintegra in forma specifica, ha esaminato soltanto la subordinata domanda risarcitoria per equivalente monetario e ha altresì ritenuto di dover accertare l’illegittimità degli atti di gara impugnati “nei limiti in cui ne sussista l’interesse a fini risarcitori”.

Infatti, ai sensi dell’art. 34, comma 3, Cod. proc. amm., “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse a fini risarcitori”.

Come risulta dalla nota comunale prot. 7755 del 15 giugno 2020), la prestazione oggetto di gara è stata infatti ultimata e consegnata già in data 2 maggio 2020 e il 12 maggio 2020 era sottoscritto il relativo contratto.

Alla data della notifica del ricorso di primo grado, il 14 luglio 2020, il servizio era stato già interamente eseguito.

Va, infatti, evidenziato che i fondi relativi all’intervento di edilizia scolastica provenivano (tramite la Regione) da un finanziamento comunitario - Mutuo B.E.I. - Banca Europea per gli Investimenti (cfr. l’all. n. 1 alla nota 6.9.2019 prot. n. 13794 dell’Agenzia per la Coesione Territoriale) ed erano condizionati all’aggiudicazione delle opere finanziate entro il 30.9.2020: pertanto, la progettazione definitiva ed esecutiva di cui alla gara veniva affidata all’aggiudicatario con esecuzione anticipata in via d’urgenza (con nota prot. n. 4984 del 9.4.2020), al fine di evitare la perdita del citato finanziamento.

7.2. È altresì infondato il secondo motivo di appello.

7.2.1. In primo luogo, il Tribunale ha adeguatamente considerato le argomentazioni difensive della ricorrente, evidenziando difatti come quest’ultima, nel precisare la proposta domanda di risarcimento per equivalente, aveva, nello specifico, dedotto che:

- in conformità all’indirizzo interpretativo eurounitario il risarcimento dei danni in materia di gare d’appalto non è subordinato al riconoscimento di una colpa della stazione appaltante;

- l’esclusione di R.T.P. xxxxxxxxxxxx o comunque la riduzione del punteggio assegnato a tale concorrente, in accoglimento delle censure formulate nel gravame, portano a considerare la ricorrente quale legittima aggiudicataria indebitamente pretermessa, essendosi essa classificata al secondo posto in graduatoria;

- in sede di risarcimento dei danni da illegittima aggiudicazione di una gara d’appalto la prova della quantificazione del danno può essere raggiunta per presunzioni;

- per quanto concerne il mancato utile derivante dalla mancata esecuzione del contratto, lo stesso si presume correlato “all’offerta presentata in gara e al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta; nella specie, avendosi riguardo al margine di utile effettivo, quale ritraibile dal ribasso offerto dall’impresa deve ritenersi che alla odierna appellante possa essere riconosciuto un importo a titolo di ristoro del mancato utile, pari al 5% dell’importo dell’offerta economica”;

in subordine, il Collegio può far ricorso alla cd. “condanna sui criteri” ai sensi dell’articolo 34, comma 4 c.p.a., rimettendo alle parti la determinazione in concreto del quantum;

- per quanto concerne il danno curriculare, derivante dall’impossibilità -per la società- di utilizzare le referenze derivanti dall’esecuzione del contratto, “non potendo essere provato nel suo preciso ammontare, viene valutato dal Giudice con equo apprezzamento delle specifiche circostanze del caso e liquidato in via equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c.. Nel procedere ad una siffatta quantificazione, a differenza di quanto avviene per il danno da perdita di utile, il Giudice Amministrativo gode della massima discrezionalità (…)”;

- il risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale costituisce un debito di valore, soggetto a rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dall’avvio dell’esecuzione del contratto in via d’urgenza e con interessi dalla data dell’affidamento fino al deposito della decisione.

7.2.2. Sulla base di queste premesse correttamente assunte il primo giudice ha, altrettanto correttamente, ritenuto che la domanda risarcitoria, per come formulata e argomentata, fosse del tutto generica e non potesse essere accolta.

7.2.3. Infatti, secondo consolidata giurisprudenza, richiamata e ribadita dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 12 maggio 2017, n. 2, in relazione ai presupposti per il riconoscimento del danno da mancata aggiudicazione valgono i seguenti principi:

“a) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto;

  1. b) nel caso di mancata aggiudicazione il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto). Non è dubitabile, invero, che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere, comunque, fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti;
  2. c) spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c.;
  3. d) la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno;
  4. e) le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta “percipiente”, che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l’accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti;
  5. f) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della «inferenza necessaria»), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù della regola della «inferenza probabilistica»), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici;
  6. g) va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo);
  7. h) anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somma liquidata a titolo di lucro cessante;
  8. i) il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum”.

7.2.4. Pertanto, in applicazione delle su indicate coordinate ermeneutiche, la ricorrente, ritenendosi danneggiata, avrebbe dovuto fornire una prova rigorosa dell’an e del quantum della pretesa risarcitoria, poiché, come bene ricordato dal primo giudice, nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza, non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento ex art. 64 c.p.a. e la valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno (Consiglio di Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803).

7.2.5. Nel caso di specie, la ricorrente non ha in effetti assolto all’onere probatorio attraverso idonee allegazioni, limitandosi a chiedere al giudicante di accertare la sussistenza e di quantificare il danno che assume patito, peraltro senza indicare alcun dato specifico e concreto o alcun elemento di fatto sulla cui base possano individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.

Infatti, l’originaria ricorrente si è limitata a indicare un criterio forfettario del 5 per cento dell’importo dell’offerta economica per l’asserito mancato profitto, lasciando poi al giudice la quantificazione del presunto danno curriculare, senza dunque assolvere all’onere probatorio su di essa incombente secondo i richiamati principi giurisprudenziali, nemmeno sulla base di elementi presuntivi, mediante allegazione e comprova di elementi di fatto dai quali il giudice possa dedurre l’esistenza e quantificazione del danno medesimo (provando ad esempio di non aver potuto altrimenti utilizzare le maestranze e i mezzi, di talché in difetto di tale dimostrazione deve presumersi, come affermato dalla ricordata decisione dell’Adunanza Plenaria, “che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum”)

7.2.6. Pertanto, la sentenza non merita le critiche appuntate per aver respinto la domanda risarcitoria per equivalente, siccome “formulata in termini inammissibilmente generici”, e per aver conseguentemente dichiarato l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, sia della domanda di annullamento che di quella di accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati.

7.2.7. A fronte dell’effettiva carenza probatoria il giudice non poteva che dichiarare infondata la domanda risarcitoria, non potendo avvalersi neanche del criterio di cui all’art. 1226 c.c., cui può ricorrersi soltanto “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare”.

7.2.8. Infatti, l’appellante, oltre a non aver offerto in giudizio alcun elemento di prova del mancato guadagno subito, non ha neppure indicato elementi da cui possa desumersi un’impossibilità o estrema difficoltà a fornire tale prova, che potesse lasciare spazio a una valutazione equitativa, da ciò conseguendo l’inammissibilità della domanda risarcitoria; né ancora, quanto alla voce riferita al danno curriculare, ha dimostrato che la mancata integrale aggiudicazione ed esecuzione dell’appalto le abbia effettivamente precluso di acquisire ulteriori aggiudicazioni, non avendo neppure specificato quali sarebbero state le negative ricadute che il mancato affidamento ha cagionato, in termini di minore capacità competitiva e reddituale, sulle credenziali tecniche e commerciali.

7.2.9. Il motivo di appello deve essere, pertanto, respinto.

7.3. Infine è infondato anche il terzo motivo.

Ai sensi all’art. 34, comma 4, Cod. proc. amm. “in caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve porre a favore del creditore, il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titoli I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta oppure l’adempimento degli obblighi ineseguiti”.

L’applicazione dell’art. 34, comma 4, Cod. proc. amm., cui il giudice può ricorrere in caso di mancata opposizione delle parti, consegue alla ricorrenza dei presupposti per la condanna risarcitoria, nel caso di specie insussistenti, stante la carenza di prova del danno asseritamente subito e, inoltre, l’opposizione delle amministrazioni resistenti, che hanno contestato in giudizio sia l’an (con riferimento alla lamentata illegittimità dell’aggiudicazione) che il quantum della pretesa risarcitoria.

Invero, la pronuncia ex art. 34, comma 4, c.p.a. non è qualificabile come condanna generica, poiché il debitore è comunque onerato, in fase di cognizione, di fornire la prova del danno. Il giudice sollecita una trattativa tra le parti, volta alla quantificazione del danno stesso, attraverso l’individuazione di criteri oggettivi e predeterminati cui fare riferimento nel caso concreto. Anche se non si ha una esatta individuazione dell’ammontare del danno da parte del giudice, si ha l’indicazione di parametri vincolanti per la quantificazione che acquisiscono forza di giudicato e non possono pertanto essere rimessi in discussione, nemmeno dal giudice dell’ottemperanza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2014, n. 186).

Nel caso di specie, stante la genericità della domanda risarcitoria per come formulata, non era neppure possibile procedere all’individuazione dei criteri sulla base dei quali definire il quantum debeatur della pretesa azionata, rimettendo alle parti tale aspetto della controversia.

  1. All’infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto dell’appello.
  2. Per completezza, il Collegio ritiene nondimeno di esaminare anche le censure articolate in primo grado, assorbite dalla sentenza e qui riproposte dell’appellante ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., con cui si sosteneva, per varie ragioni, l’illegittimità della gravata aggiudicazione.

Anche tali motivi sono infondati.

9.1. Va innanzitutto respinto il primo motivo con cui si è sostenuto che il r.t.p. aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso (o, comunque, ottenere un punteggio inferiore a quello assegnato) per aver reso una serie di false dichiarazioni in sede di offerta tecnica in relazione ai servizi indicati al criterio “A. Professionalità ed adeguatezza dell’offerta”.

Viene infatti qui in rilievo un criterio di valutazione dell’offerta tecnica (nelle due sottovoci inerenti la “Rispondenza dei servizi agli obiettivi dell’Amministrazione aggiudicataria dal punto di vista tecnologico e funzionale” e i “Servizi eseguiti con lo scopo di ottimizzare il costo globale di esecuzione e di manutenzione successiva”), che non attiene alla comprova dei requisiti di capacità professionale del concorrente.

In particolare, il punto 16 del bando prevedeva che il concorrente dovesse presentare: “Con riferimento a “Professionalità ed adeguatezza dell’offerta” di cui alla lett. A della Tabella di cui al successivo paragrafo 18, una relazione di max 10 facciate in cui sono descritti n. 2 servizi svolti relativi ad interventi ritenuti dal concorrente significativi della propria capacità a realizzare la prestazione sotto il profilo tecnico, scelti tra interventi qualificabili affini a quelli oggetto dell’affidamento”.

Il bando non richiedeva, quindi, di specificare nella relazione se i servizi fossero stati svolti direttamente o in raggruppamento, né in tale caso per quale percentuale, ma solo di indicarne due che la ricorrente ritenesse significativi della “professionalità ed adeguatezza” della propria offerta, senza che fosse neppure richiesto di allegare la documentazione a comprova dei servizi descritti nella relazione o ancora il certificato di regolare esecuzione.

Il criterio in esame era inoltre discrezionalmente valutabile dalla Commissione, siccome volto a fornire a quest’ultima, mediante la relazione descrittiva, dei parametri per valutare l’offerta tecnica, nonché l’efficacia e la rispondenza delle soluzioni proposte dai concorrenti agli obiettivi posti dalla stazione appaltante.

In altri termini, non si trattava di un criterio finalizzato ad attestare la professionalità dell’operatore economico, avendo il bando a tal fine previsto specifici “requisiti di capacità professionale”, valutati dalla Commissione in sede di ammissione dei concorrenti, nell’ambito dei requisiti di partecipazione mediante l’attestazione dei c.d. servizi analoghi: questi ultimi sono stati regolarmente documentati dal RTP Professionisti nel DGUE e nelle dichiarazioni integrative a corredo, ove la concorrente ha dichiarato gli interventi eseguiti (come da tabella riportata nella memoria difensiva della xxxxxxxxxx in vista dell’udienza pubblica), oggetto di verifica da parte della stazione appaltante in sede di controlli propedeutici all’aggiudicazione finale, avendo le altre amministrazioni committenti confermato il regolare svolgimento dei lavori (come risulta dalla documentazione di causa).

Soltanto per detti requisiti di capacità professionale (per i quali era prevista la necessità di comprovare di aver effettuato una serie di servizi di ingegneria e architettura negli ultimi 10 anni e“di punta”, nelle varie categorie d’opera interessate) il bando prescriveva anche di dichiarare se i servizi fossero stati resi in raggruppamento con altre ditte (cfr. punto 7.3. del bando “Requisiti di capacità tecnica e professionale”, lettere i, k e j), stabilendo inoltre, a pag. 13, che “Qualora i predetti servizi siano stati espletati all’interno di raggruppamenti temporanei sarà considerata la quota parte eseguita dal concorrente. Sono valutabili i servizi svolti per committenti, sia privati che pubblici. I servizi resi sono valutabili se documentati attraverso certificati di buona e regolare esecuzione dei servizi rilasciati dai committenti pubblici e/o privati o in alternativa contratti con relative parcelle liquidate o documentazione equivalente”.

Non è dunque integrata alcuna falsità dichiarativa ai sensi dell’art. 80, comma 5, D.Lgs. 50/2016 che dovesse dar luogo all’esclusione del concorrente, posto che lo stesso bando di gara non imponeva di dichiarare la totale e diretta esecuzione dei due servizi in questione e, per altro verso, che finalità del criterio in esame era unicamente quella di valutare l’adeguatezza dell’offerta tecnica.

9.2. È altresì infondato il secondo motivo del ricorso introduttivo qui riproposto, con cui si è sostenuto che il raggruppamento controinteressato avrebbe dovuto essere escluso per aver demandato a un professionista esterno la redazione della relazione geologica.

xxxxxxxxx, nella dichiarazione congiunta per i professionisti prodotta in sede di offerta, nella dichiarazione integrativa al D.G.U.E. e nella relazione tecnica “caratteristiche metodologiche dell’offerta- PROGETTAZIONE”, dichiarava di avvalersi, per la sola relazione geologica, del geologo M.M., indicato come consulente, professionista abilitato, regolarmente iscritto all’albo professionale, in conformità alle previsioni del bando di gara.

Infatti, il punto 7.1. del bando, requisiti di idoneità, non impugnato col ricorso, prevedeva testualmente “per il geologo che redige la relazione geologica”“e) requisiti di iscrizione al relativo albo professionale. Il concorrente indica il nominativo e gli estremi dell’iscrizione all’Albo del professionista e ne specifica la forma di partecipazione tra quelle di seguito indicate: (…) – dipendente oppure collaboratore con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua, oppure consulente iscritto all’albo professionale e munito di partita IVA, che abbia fatturato nei confronti del concorrente una quota superiore al cinquanta per cento del proprio fatturato annuo, risultante dall’ultima dichiarazione IVA, nei casi indicati dal d.m. 2 dicembre 2016, n. 263.

Con riferimento alle figure del (…) e del geologo si precisa che l’operatore economico all’interno della documentazione amministrativa dovrà riportare i riferimenti a tali soggetti senza tuttavia la necessità di indicare gli stessi come mandanti di un eventuale raggruppamento temporaneo di professionisti”.

La legge di gara consentiva, dunque, espressamente di avvalersi per la figura del geologo di un consulente esterno alla compagine del raggruppamento, con previsione non illegittima.

La fattispecie in esame non è inoltre qualificabile come subappalto, ma rientra nelle ipotesi di cui all’art. 105, comma 3, del D.Lgs. n. 50 del 2016, che espressamente esclude dall’ambito del subappalto: “a) l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi, per le quali occorre effettuare comunicazione alla stazione appaltante”, tra dette attività specifiche potendo certamente ricomprendersi prestazioni d’opera intellettuali, quali le consulenze professionali, anche in forma di collaborazione coordinata e continuativa.

9.3. Non può neppure essere accolto il terzo motivo di ricorso, parimenti riproposto in questa sede, con cui si è contestata la valutazione della stazione appaltante in relazione alla verifica dell’anomalia dell’offerta aggiudicataria.

Nelle gare pubbliche, ove l’Amministrazione consideri congrua l'offerta sulla base delle spiegazioni fornite dal concorrente in sede di verifica dell'anomalia, la sua valutazione deve ritenersi sufficientemente motivata con richiamo “per relationem” ai chiarimenti ricevuti, tanto più che la verifica delle offerte anomale non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando invece ad accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia serio affidamento circa la corretta esecuzione.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, le valutazioni compiute dalla stazione appaltante in sede di riscontro delle anomalie delle offerte presentate sono infatti considerate espressione di un ampio potere tecnico – discrezionale, sindacabile in sede giurisdizionale solo nelle ipotesi in cui siano palesemente illogiche, irrazionali ovvero fondate su un’insufficiente motivazione o su errori di fatto (Consiglio di Stato, Sez. V, 12 febbraio 2020 n. 1066).

Nel caso di specie, la concorrente ha però congruamente motivato la non anomalia dell’offerta, precisando i benefici organizzativi e logistici discendenti dal fatto che l’incarico di progettazione sarebbe stato svolto presso la sede operativa di xxxxxxxxxxxxx ubicata nelle immediate vicinanze degli Uffici tecnici del Comune, ove operavano le figure professionali maggiormente coinvolte nella commessa, indicate dall’organigramma in sede di gara, precisando altresì che anche l’ubicazione degli edifici oggetto di intervento si trovava alla medesima distanza (di circa 6 Km), ciò anche incidendo positivamente sui tempi di esecuzione del servizio.

Ha, inoltre, precisato che l’organizzazione del gruppo di lavoro è ormai collaudata da tempo in diversi progetti, ciò consentendo l’efficiente raggiungimento degli obiettivi posti dalla Stazione appaltante.

Sono state poi dettagliate nelle giustificazioni le principali voci di costo a supporto della sostenibilità dell’offerta, tenuto conto dei tempi dettati dal procedimento di gara, dalla redazione del progetto definitivo ed esecutivo, del cronoprogramma, nonché delle connesse prestazioni in fase di esecuzione dell’opera.

La stazione appaltante ha, in legittimo esercizio di discrezionalità tecnica, ritenuto congrue le giustificazioni fornite, con un giudizio sorretto da adeguata motivazione, come emerge dalla lettura della nota del RUP del 27 febbraio 2020.

Del resto, a ulteriore conferma dell’infondatezza delle doglianze, giova evidenziare che il ribasso offerto nell’ offerta economica dalle due ditte non presenta significative differenze (xxxxxxxxxxxx ha proposto un ribasso percentuale sull'importo a base di gara pari a 61,7422 %, mentre l’appellante ha offerto un ribasso pari al 61,37%).

9.4. È pure infondato il quarto motivo, riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a., con cui la società appellante contesta la valutazione della stazione appaltante per quanto attiene al ribasso temporale proposto dal r.t.p. aggiudicatario.

Anche in relazione a tale profilo l’offerta è stata correttamente valutata congrua.

Infatti, sulla valutazione di tale aspetto ha influito non irragionevolmente l’evidenziato vantaggio logistico correlato alla detta vicinanza della sede operativa della società al Comune e agli edifici interessati dall’intervento, nonché la struttura organizzativa garantita dall’aggiudicataria per lo svolgimento dell'attività progettuale, che univa la direzione di progetto, operante per gli aspetti di coordinamento e di controllo delle attività e condotta dal capogruppo individuato, e la direzione operativa, che avrebbe consentito di eseguire il servizio nei tempi indicati.

Inoltre, non illogicamente la stazione appaltante ha anche favorevolmente apprezzato l’esperienza dichiarata dalla ditta in progettazioni simili (che le avrebbe consentito di acquisire nel corso del tempo una quantità di dati ed informazioni idonee a creare un archivio digitale, in grado di elaborare la documentazione tecnica in tempi ridotti), oltre a quella specifica acquisita, come consulente dello stesso Comune, nell’ambito di opere sugli edifici oggetto di intervento.

Il predetto ribasso non presentava, dunque, profili di anomalia (tra i concorrenti, altri ne avevano proposti di analoghi e anche maggiori, come documentato dalle amministrazioni appellate), tant’è che, a riprova ulteriore dell’assunto, la prestazione è stata eseguita nei tempi indicati.

Quanto alla censura secondo cui sarebbe illegittimo il calcolo dei punteggi per l’offerta tempo, previsto dall’art. 18.3 del bando di gara (per non aver previsto un limite al ribasso) la doglianza è inammissibile in assenza di tempestiva impugnazione del bando di gara e, comunque, infondata,

La valutazione dell’offerta tecnica e della sua qualità consentivano ai concorrenti di raggiungere 70 punti sui 100 complessivi, mentre all’offerta tempo erano riservati soltanto 10 punti complessivi.

Il criterio in esame non andava dunque a scapito della qualità dell’offerta, ma garantiva ragionevolmente, nell’ambito di un punteggio comunque limitato nella complessiva valutazione dell’offerta, l’esigenza della stazione appaltante di celerità nell’espletamento del servizio, in vista della realizzazione di opere finanziate con fondi comunitari.

9.5. Infine, va respinto anche il quinto motivo di ricorso, qui riproposto, con cui si sostiene la violazione da parte del Comune dell’obbligo di stand still, contestando, inoltre, la ricorrenza dei presupposti per l’intervenuta consegna d’urgenza del servizio appaltato.

Infatti, il termine di stand still risulta rispettato, essendo stato il contratto stipulato il 12 maggio 2020 e la comunicazione dell’aggiudicazione regolarmente effettuata con nota n. 3991 del 13 marzo 2020, inviata via pec in pari data a tutti i partecipanti, inclusa l’originaria ricorrente, non potendo tale comunicazione ritenersi inficiata dal riferimento, contenuta nel suo oggetto per un mero refuso, ad altra procedura di gara.

La consegna d’urgenza del servizio appaltato al concorrente vincitore è stata, invece, disposta per non perdere l’accesso ai finanziamenti europei, che imponevano il completamento del progetto e l’aggiudicazione delle opere entro il termine 30 settembre 2020, come documentato dalle amministrazioni appellate (cfr. nota 9.4.2020 prot. n. 4984 con cui è avvenuta la consegna d’urgenza “in quanto l’opera è finanziata con un contributo che ha scadenze precise da rispettare per l’assegnazione dei lavori...”).

Il Comune ha così potuto rispettare il termine perentorio anzidetto: i lavori oggetto della progettazione per cui è causa sono stati infatti aggiudicati alla ditta risultata vincitrice della relativa procedura evidenziale il 21 settembre 2020 (cfr. determinazione 21.9.2020 n. 385, depositata in atti).

Nel caso di specie ricorre, dunque, l’ipotesi espressamente prevista dall’art. 32, comma 8, D. Lgs. n. 50/2016 per la consegna d’urgenza, in relazione alla necessità di “evitare la perdita di finanziamenti comunitari”.

  1. Per le considerazioni sopra esposte l’appello deve essere respinto.

Sussistono nondimeno giusti motivi, per la complessità e particolarità delle questioni trattate, per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

 




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