-  Faccioli Marco  -  03/03/2008

IL CYBERSQUATTING O L'ACCAPARRAMENTO DI NOMI A DOMINIO

 (segue)

L'espressione anglosassone cybersquatting (letteralmente occupazione abusiva cibernetica) o anche domain grabbing (ghermire il nome) indica il fenomeno di accaparramento di nomi di dominio corrispondenti a marchi altrui,  o a nomi di personaggi noti al fine di realizzare un lucro sul trasferimento del dominio a chi ne abbia interesse. Tale pratica, diffusissima in America sul finire degli anni '90, ha avuto un notevole sviluppo anche in Italia, specialmente in seguito all'entrata in vigore nel 1999 della norma che consente ai titolari di partita IVA la registrazione di un numero illimitato di domini.

 

Un semplice esempio chiarirà l’argomento di cui si sta parlando: prima che il marchio FORD acquisti e registri il proprio dominio www.ford.com (o ford.it per la filiale italiana), questo viene acquistato da un altro soggetto (totalmente estraneo all’oggetto sociale della FORD) che poi ne propone la vendita all’azienda interessata a pubblicizzare in rete il proprio brand, oppure lo utilizza come semplice “voce nota di richiamo” per altri scopi: vendita di altri prodotti, proselitismo, campagne di sensibilizzazione su determinai argomenti etc. . 

 

E’ considerato cybersquatting anche creare siti che abbiano un nome di dominio che rimandi ad un termine molto conosciuto, che richiami quindi alla mente qualcosa di molto popolare tipo www.telegiornale.it, www.europa.it, www.olimpiadi.it, etc. Così come non è registrabile un marchio consistente nel nome generico di un prodotto o bene di consumo (es. “pane” o “vino”) che ne determinerebbe, di fatto, un immediato monopolio, lo stesso principio è da considerarsi imperante nell’ambito del nome a dominio di un sito web.

 

Gli Stati Uniti d'America sono stati il primo paese al mondo ad occuparsi della lotta al fenomeno con una specifica legislazione. Si tratta dell'Anticybersquatting Consumer Protection Act, entrato in vigore il 29 novembre 1999. In Italia, invece, in assenza di una disciplina legislativa ad hoc, la giurisprudenza prevalente ha fatto ricorso alla normativa relativa al diritto al nome (art. 7 c.c.: la persona alla quale si contesti l'uso del proprio nome o che possa risentire del pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia può chiedere la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni) ed alla normativa dei marchi e dei segni distintivi (artt. 2569-2574 del codice civile; D.P.R. 8 maggio 1948 n.795; d.l.480/1992; d.P.R. 595/1993; d.l 189/1996).

 

La ratio è quella per cui il titolare di un marchio registrato ha il diritto di servirsene in modo esclusivo, e quindi anche di registrarlo come dominio. Nel caso in cui altri utilizzino il marchio registrandolo come proprio, il titolare potrà agire in giudizio anche con procedura d'urgenza, a nulla rilevando che il top leved demain non sia un .it, potendo ricorrere anche contro le indebite utilizzazioni di un TLD generico come il .com ovvero di altri paesi.

 

Forse il caso che più ha fatto discutere in Italia, in tema di cybersquatting è stato il caso del sito armani.it, laddove il sig. Armani, titolare di una piccola ditta di timbri, aveva registrato il dominio “armani.it” prima del suo più blasonato omonimo stilista. Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 19 marzo 2003, aspramente criticata da parte della dottrina, ha riconosciuto il diritto del secondo ad espropriare il primo del diritto di utilizzare il proprio nome in rete.  

 

È utile sottolineare che il marchio può anche non essere registrato all'ufficio marchi e brevetti, essendo sufficiente che abbia la giusta notorietà per consentire al titolare di poter vantare un diritto sul dominio già registrato (c.d. marchio di fatto).

 

Se l’illegittimità dello squatting (ovvero dell’occupazione abusiva di uno spazio appartenenti a terzi, principalmente un immobile abbandonato) è palese, resta da domandarsi se altrettanto possa dirsi per il cyber-squatting che, sebbene abbia molti aspetti di differenza con il suo equivalente al di fuori della rete internet, è accomunato a questo dalla circostanza che trattasi pur sempre di un’occupazione (presumibilmente) abusiva di uno spazio lasciato vuoto dal legittimo proprietario. Ma, in internet, qual è lo spazio lasciato vuoto dal proprietario legittimo? Ovviamente quello relativo ai nomi a dominio di siti non ancora registrati, ma che appartengono comunque a determinate persone fisiche o giuridiche. Per capirsi nuovamente: la FORD, per il solo fatto di essere titolare del proprio marchio, ha il diritto ad impedire che altri utilizzino un nome di dominio che faccia riferimento al medesimo (anche per pubblicizzare prodotti totalmente diversi dalle automobili). Il nome di dominio FORD.COM potrà quindi essere considerato legittimamente spendibile solo dal suddetto brand, anche nell’ipotesi in cui la suddetta non intendesse farne uso registrandolo. Infatti tecnicamente non esiste un diritto di proprietà di un nome a dominio (che altro non è che una stringa alfanumerica indicante l’indirizzo IP di un sito).

 

 

Esiste un diritto all’assegnazione del dominio in base ai principi stabiliti dalle autorità amministrative che regolano le procedure di assegnazione dei nomi dei siti.

 

Tuttavia queste autorità (in Italia sono la Naming Authority e la Registration Autorità) generalmente, e per talune categorie di nomi a dominio (ad esempio quelli terminanti con “.com”, o “.it”) non verificano direttamente l’identità della persona che chiede di registrare un sito con un determinato nome. La procedura avviene attraverso la compilazione di un modulo su internet (previa verifica che il dominio già non sia registrato da altri utenti) e la sottoscrizione di un certificato inviato dall’autorità a mezzo posta. Attività che si potrebbero compiere rilasciando false generalità senza che l’autorità abbia gli strumenti per verificare la veridicità di queste dichiarazioni. Il criterio base con cui le autorità di naming decidono di assegnare un sito ad una persona piuttosto che ad un’altra è quello strettamente temporale: chi prima richiede la registrazione del dominio, prima lo otterrà.

 

Oggi pare incredibile che grandi imprese possano subire attività di cybersquatting tenuto conto del fatto che tutte le aziende di dimensioni medio-grandi registrano un proprio sito internet. Tuttavia questa tecnica di occupazione abusiva di nomi a dominio continua a resistere, ed è finalizzata alla realizzazione di tecniche di concorrenza sleale fra aziende.
Pare interessante, a questo punto della trattazione, focalizzare la nostra attenzione su quelli che sono gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento al titolare di un marchio e/o di un nome nel momento in cui abbia subito un’attività di cybersquatting.

 

Si parta da quello che potremmo definire un approccio stragiudiziale al problema: si prende contatto con colui che ha registrato il marchio e gli si chiede semplicemente di acquistarlo (la vendita del nome “occupato” è infatti il fine primo del cybersquatter).

 

Nel caso in cui l’occupante non sia disposto a vendere il dominio, il titolare del nome può chiedere la rassegnazione del dominio alle autorità di naming: in tal caso, però (ma non sempre), se chi ha registrato il sito con il nome contestato era in buona fede e la sua registrazione è effettivamente antecedente alla nostra richiesta saremo soccombenti;
Chiedere l’assegnazione del nome ad un giudice, instaurando una causa civile. Questa via è percorribile unicamente nel caso in cui il nome a dominio di cui chiediamo l’assegnazione sia un marchio registrato.

 

Fonte:

 

Avv. Marcello Pirani Cybersquatting (occupazione abusiva di nomi a dominio)

 

 




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