-  Serretti Francesca  -  16/03/2015

JOBS ACT: IL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI – Francesca SERRETTI

Sommario

§1. Breve premessa introduttiva. Che cos"è il Jobs act (o piano lavoro)

§2. La legge delega n. 183/2014 ed i decreti attuativi

§3. Il contratto a tutele crescenti: dalla legge delega n. 183/2014 al D.LGS. 23/2015

§4. Le nuove tutele (crescenti?)

§4.1. Il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale

§4.2. Il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa

§4.3. Il licenziamento affetto da vizi formali e procedurali

§5. Le organizzazioni di tendenza

§6. Revoca del licenziamento

§7. Rito applicabile

§8. Il nuovo strumento deflattivo del contenzioso

 


 

§1. Breve premessa introduttiva. Che cos"è il Jobs act (o piano lavoro)

Il c.d. Jobs Act (o anche definito piano lavoro) è un progetto di riforme ideato dal governo destinato ad incidere nel mercato del lavoro, progetto che ha avuto una prima attuazione con il c.d. decreto lavoro (D.L. 20/03/2014, n. 34 convertito con modificazioni in L. 16/05/2014, n. 78) rubricato «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell"occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese».

Con il decreto lavoro si è compiuta la prima fase delle riforme del mercato del lavoro ed, in particolare, di quelle riforme destinate alla semplificazione delle discipline contrattuali (contratti a termine, contratti di somministrazione di lavoro a termine ed apprendistato), nonché di quelle volte alla "smaterializzazione" del documento unico di regolarità contributiva (DURC) e di quelle destinate al sostegno finanziario per i contratti di solidarietà.

Il completamento del percorso di riforma è, dunque, affidato agli interventi previsti nella legge delega 10/12/2014, n. 183 (pubblicata in G.U. lo scorso il 15/12/2014) in materia di ammortizzatori sociali, di servizi per il lavoro e di politiche attive, nonché in materia di riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità ed alla conciliazione.

§2. La legge delega n. 183/2014 ed i decreti attuativi

La legge delega 10/12/2014, n. 183 delinea i principi ed i criteri direttivi ispiratori delle cinque deleghe ivi contenute in unico articolo (a seguito del maxi-emendamento n. 1800 dell"08/10/2014 apportato al disegno di legge n. 1428/2014, infatti, si sono sostituiti gli originari sei articoli con il solo art. 1) ed affidate al governo per l"adozione nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge (e, dunque, entro il prossimo 16/05/2015) di uno o più decreti legislativi finalizzati ad intervenire in materia di «riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell"attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro».

La legge delega prevede, poi, un ulteriore termine di 12 mesi, dalla data di entrata in vigore dei singoli decreti attuativi, per l"adozione, sempre da parte del governo, di eventuali disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi che si renderanno necessari alla luce delle evidenze attuative nel frattempo emerse anche a seguito del monitoraggio permanente istituito con L. 92/2012 (cd. riforma Fornero).

I primi decreti attuativi hanno visto la luce dopo la seduta consiliare dei ministri del 20/02/2015, cui ha fatto seguito la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 06/03/2015 dei relativi testi: trattasi, nello specifico, del D.LGS. 04/03/2015, n. 23 recante «Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti» e del successivo D.LGS. 04/03/2015, n. 22 recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati».

Nella ridetta seduta consigliare inoltre sono stati approvati – in questo caso solo all"esame preliminare – due ulteriori schemi di decreti, ovverosia il decreto contenente il testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni e quello contenente disposizioni in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sempre in attuazione di quanto previsto dalla L. 183/2014 cit.

Ai fini del presente contributo, esamineremo il contenuto del testo del primo, e forse per certi versi più atteso, decreto che disciplina la nuova forma contrattuale privilegiata, il c.d. "contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti" (D.LGS. 04/03/2015, n. 23), fortemente voluto anche dalle istanze sovranazionali.

Nello specifico, esamineremo gli aspetti salienti del decreto medesimo: le tutele per i neoassunti ed il nuovo strumento deflattivo dei contenziosi, denominato nuova "conciliazione facoltativa incentivata".

§3. Il contratto a tutele crescenti: dalla legge delega n. 183/2014 al D.LGS. 23/2015

Prima di addentrarci nell"esame delle nuove "garanzie" o tutele riservate ai lavoratori assunti dopo l"entrata in vigore del D.LGS. 23/2015, nonché riservate ai lavoratori assunti precedentemente l"entrata in vigore del decreto medesimo, ma occupati in aziende che raggiungano i requisiti dimensionali (previsti per la previgente tutela reintegratoria disegnata dall"art. 18, commi 9 e 10, L. 300/1970, c.d. tutela reale) a mezzo di assunzioni a tempo indeterminato intervenute successivamente a tale data, pare opportuno chiarire di che cosa stiamo parlando.

Molti degli operatori del settore parlano, infatti, di contratto a tutele crescenti come se si trattasse di una nuova forma contrattuale, "a tutele crescenti" appunto, ma ignorando probabilmente che il provvedimento legislativo in parola incide unicamente sul regime di tutela spettante ai lavoratori neo-assunti nella fase terminale del rapporto, ovverosia nelle ipotesi di licenziamento intimato illegittimamente.

E, dunque, non stiamo parlando di un nuovo contratto di lavoro, ma di una nuova e diversa forma di tutela riservata ai neo-assunti (o, come visto, in alcuni casi riservata anche ai lavoratori già occupati alla data di entrata in vigore della nuova disciplina), poiché la nuova disciplina in discorso investe solo gli aspetti, per così dire, patologici del rapporto di lavoro, delineando diverse e specifiche sanzioni, la cui entità viene ora parametrata all"anzianità di servizio del singolo lavoratore licenziato.

Ma era proprio questo l"obiettivo originario della delega?

Chi ha seguito l"iter parlamentare ricorderà, in breve sintesi, che nella prima stesura del disegno di legge delega (DDL n. 1428/2014) si prevedeva una mera possibilità (ed eventualmente anche in via sperimentale) di introdurre «ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l"inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti dei lavoratori coinvolti».

Con il passaggio in Commissione Lavoro al Senato è stato apportato un emendamento all"art. 4 DDL n. 1428/2014 che ha voluto, invece, l"introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele progressive.

E, così, si è arrivati all"attuale art. 1, comma 7, lett. c) della L. 183/2014 con previsione, per le nuove assunzioni, di un "contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti", con il mantenimento della reintegra nel posto di lavoro unicamente per i licenziamenti discriminatori e nulli e per specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare ingiustificato e con l"esclusione della stessa, invece, per i licenziamenti economici, che vengono perciò sanzionati con un indennizzo economico certo e parametrato all"anzianità di servizio del lavoratore.

Ed, infine, dalla legge delega si è passati al decreto attuativo qui in esame (D.LGS. 23/2015), che prevede le seguenti innovazioni sulla disciplina riguardante, come detto, esclusivamente la c.d. flessibilità in uscita di particolari tipologie dei lavoratori, senza incidere minimamente sulla regolazione e lo svolgimento del contratto di lavoro a tempo indeterminato tout court.

Partendo proprio dall"ambito di applicazione della disciplina in esame vediamo che, come sopra visto, esso include non solo i dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato dopo il 07/03/2015 (entrata in vigore del decreto), ma anche i dipendenti già in forza a tale data il cui datore di lavoro abbia occupati più di 15 dipendenti in seguito ad assunzioni verificatesi l"entrata in vigore del decreto (ovvero, ancora, i dipendenti il cui contratto di apprendistato o contratto a tempo determinato sia stato convertito, dopo tale data, in contratto a tempo indeterminato, anche quale conseguenza di un regime sanzionatorio, o con contratto).

Appare da subito lampante allora che l"incentivazione delle assunzioni - obiettivo principe della riforma del lavoro - passi necessariamente attraverso un"inevitabile discriminazione in ordine alla tutela applicabile in caso di licenziamento illegittimo per la tipologia di lavoratori appena descritta rispetto ai "vecchi" assunti che si trovino, invece, già occupati in aziende con più di 15 dipendenti ad oggi.

E ciò in considerazione del fatto che tale ultima tipologia di dipendenti è ancora destinata dell"antica e forte tutela di cui all"art. 18 L. 300/1970 (Statuto dei diritti dei lavoratori). Vedremo al successivo paragrafo quali sono, invece, le tutele riservate ai neo-assunti dalla disciplina così introdotta.

In questo quadro, parrebbe ragionevole ritenere il delinearsi di uno sconfinamento rispetto alla originaria delega della riforma, con tutto ciò che esso comporta in termini di potenziale violazione dell"art. 3 della Costituzione sotto il profilo della illegittimità sostanziale in ordine alle differenti tutele che saranno accordate ai lavoratori, in maniera più o meno garantista, a seconda della data di assunzione dell"uno o dell"altro lavoratore (a seconda, cioè, che tale assunzione sia intervenuta prima o dopo l"entrata in vigore del decreto attuativo in commento).

§4. Le nuove tutele (crescenti?)

§4.1. Il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale

In prima analisi, vediamo per chi trova ancora applicazione la tutela reale (reintegra sul posto di lavoro) prevista dal fatidico art. 18 L. 300/1970 (Statuto dei diritti dei lavoratori) per particolari ipotesi di licenziamento illegittimo, tutela che opera indipendentemente dal numero dei dipendenti impiegati nell"azienda (siano essi in numero superiore od inferiore a 15).

La tutela reale, ancorché si configuri oggi quale estrema ratio, viene fatta salva dall"art. 2 D.LGS. 23/2015 per particolari tipologie di licenziamento, tra cui troviamo:

- il licenziamento discriminatorio: trattasi dell"ipotesi espressamente prevista dall"art. 15 L. 300/1070 cit. che testulamente recita «E' nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche   o   mansioni,   nei   trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali»;

- il licenziamento intimato in forma orale;

- il licenziamento nullo per tutte le altre ipotesi previste dalla legge: in questo senso il legislatore ha voluto tipizzare il più possibile le casistiche di licenziamento discriminatorio al fine di limitare l"ambito discrezionale del giudice, tipizzazione che sostanzialmente fa coincidere l"ambito di applicazione individuato in «tutti gli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge» con i primi tre commi di cui all"art. 18 L. 300/1970 cit. Trattasi, dunque, del licenziamento intimato in concomitanza con il matrimonio (in violazione, cioè, dell"art. 35, D.LGS. 198/2006, codice delle pari opportunità), di quello intimato in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'art. 54, commi 1, 6, 7 e 9, D.LGS. 151/2001 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) ovvero del licenziamento nullo perché determinato da un motivo illecito determinante comune ad entrambe le parti ai sensi dell"art. 1345 c.c. (es. licenziamento concordato "in frode" ai creditori per evitare di subire il pignoramento delle retribuzioni).

L"ultimo comma dell"art. 6 del decreto precisa poi che la disciplina così delineata trova applicazione «anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta che il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore».

In tali marginali ipotesi, al lavoratore colpito dalla sanzione espulsiva, la cui nullità sia stata pronunciata dal giudice adito, spetterà, dunque, il diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto, nonché il diritto ad ottenere il risarcimento del danno consistente in una somma di denaro commisurata all"ultima retribuzione di riferimento per il calcolo di trattamento di fine rapporto (TFR) parametrato alle retribuzioni (in misura comunque non superiore a 5 mensilità così calcolate) perdute dal giorno del licenziamento a quello dell"effettiva reintegrazione ed il diritto alla ricostruzione dell"intero periodo contributivo.

Da tale somma andrà comunque dedotto il c.d. aliunde perceptum, ovverosia la retribuzione eventualmente percepita dal lavoratore in ragione di altre attività lavorative esercitate nel periodo di estromissione.

E" inoltre espressamente prevista la facoltà per il lavoratore di optare, in luogo della reintegrazione e fermo comunque il risarcimento del danno di cui sopra, per la risoluzione del rapporto di lavoro, incamerando (in alternativa alla reintegra) un"indennità pari a 15 mensilità (il cui calcolo è sempre commisurato all"ultima retribuzione di riferimento per il calcolo di trattamento di fine rapporto), richiesta questa che il lavoratore dovrà effettuare nel termine di 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza ovvero dall"invito del datore di lavoro alla ripresa in servizio, se antecedente alla comunicazione medesima.

Identica tutela è riservata alle ipotesi di licenziamento collettivo di cui agli artt. 4 e 24 L. 223/1991 che siano stati intimate senza il rispetto della forma scritta, mentre nei casi licenziamenti collettivi posti in essere in violazione del criterio di scelta dei lavoratori destinatari della speciale misura per le aziende in crisi, ai lavoratori danneggiati spetterà la sola tutela indennitaria di cui al successivo sottoparagrafo.

§4.2. Il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa

Salvo quanto previsto dal precedente articolo 2 sopra esaminato, l"art. 3, comma 1, del decreto ridisegna in chiave meramente economica la tutela accordata ai lavoratori che siano stati colpiti da licenziamenti non nulli, bensì illegittimi, perché privi di giustificato motivo oggettivo o giustificato motivo soggettivo o giusta causa.

A seguito del relativo accertamento giudiziale, con la dichiarazione di estinzione del rapporto di lavoro viene, infatti, riconosciuta al lavoratore «un"indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell"ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità».

Per le piccole imprese (sotto i 15 dipendenti) in caso di licenziamenti ingiustificati, fatta eccezione per quelli discriminatori, nulli e intimati in forma orale, è invece previsto il dimezzamento dell"ammontare dell"indennità che si ridurrà ad una mensilità per anno di servizio ricompresa tra un minimo di 2 ed un massimo di 6 mensilità.

Il secondo comma dell"art. 3 del decreto regola, invece, le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, ove risulti dimostrata in giudizio la c.d. "insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore" - senza margini per una valutazione discrezionale da parte del giudice in ordine alla proporzionalità del licenziamento rispetto alla gravità della condotta contestata - sanzionandole con il relativo annullamento e con un tutela di tipo reale per il lavoratore licenziato, consistente nella reintegra sul posto di lavoro.

Viene inoltre riconosciuta al lavoratore medesimo una indennità risarcitoria, commisurata alle retribuzione perdute con un tetto massimo di 12 mensilità dell"ultima retribuzione di riferimento per il calcolo di trattamento di fine rapporto, oltre alla ristoro contributivo relativo al periodo di riferimento, detratto l"aliunde perceptum e l"aliunde percipiendum (si prevede cioè la detrazione non solo di quelle somme realmente percepite dal lavoratore in ragione di altre prestazioni, ma anche di tutte quelle somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro).

§4.3. Il licenziamento affetto da vizi formali e procedurali

Per le ipotesi di licenziamento affette da vizi formali, ovverosia per il caso di licenziamento intimato senza l"indicazione della motivazione del recesso (in violazione dell"art. 2, comma 2, L. 604/1966), nonché per il caso di licenziamento intimato in violazione della procedura disciplinare ex art. 7 L. 300/1970 cit. (es. tardività della contestazione disciplinare, mancata affissione del codice disciplinare, etc.), il decreto all"art. 4 prevede una tutela, per così dire, ridotta ai minimi termini.

Infatti, la sanzione che consegue all"accertamento giudiziale di tali violazioni consiste nella corresponsione da parte del datore di lavoro ai lavoratori in tal modo danneggiati di un"indennità (non assoggettata a contribuzione previdenziale), pari ad una mensilità dell"ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità.

Laddove, invece, la domanda giudiziale del lavoratore contenga, oltre alla contestazione del vizio formale, anche motivazioni di tipo sostanziale e le stesse risultino poi accertate dal giudice investito della causa, troverà applicazione la tutela prevista dagli artt. 2 e 3 del decreto a seconda dello specifico caso.

Anche in tale caso, per le piccole imprese (sotto i 15 dipendenti) viene dimezzata l"indennità risarcitoria.

§5. Le organizzazioni di tendenza

Per quanto concerne, poi, le c.d. organizzazioni di tendenza (datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto,) il decreto al suo art. 9, 2° comma, irrigidisce il regime sanzionatorio del licenziamento, poiché estende l"applicazione delle regole in esso contenute anche a tali tipi di parti datoriali, in luogo della previgente tutela obbligatoria ex art. 8, L. 604/1966 accordata ai lavoratori illegittimamente licenziati.

Ne consegue che anche i lavoratori assunti presso tali organizzazioni dopo l"entrata in vigore del decreto potranno beneficiare della tutela reale nelle marginali ipotesi sopra illustrate.

L"effetto che discende dalla nuova disciplina è di discriminazione, per così dire, "a contrario", considerato che in tali ipotesi accrescono le tutele per i neo-assunti, mentre diminuiscono per i "vecchi" assunti, per i quali ultimi continuerà ad applicarsi il previgente regime di tutela obbligatoria.

§6. Revoca del licenziamento

Il decreto (art. 5) mantiene l"istituto della revoca del licenziamento, introdotto dalla riforma Fornero (L. 92/2012) che aveva modificato il comma 10 dell"art. 18 St. lav., prevedendo un diritto di ripensamento per il datore di lavoro esercitabile entro e non oltre 15 giorni dall"impugnativa del licenziamento ad opera del lavoratore.

L"effetto che ne consegue è il ripristino del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore a percepire le retribuzioni maturate medio tempore.

Viene, così, riconosciuto un potere forte in capo al datore di lavoro, il quale potrà in tal modo evitare gli effetti nefasti di un contenzioso per la declaratoria di illegittimità del licenziamento, non trovando neppure applicazione i regimi sanzionatori previsti dal decreto medesimo.

§7. Rito applicabile

L"art. 11 del decreto esclude per i licenziamenti ivi disciplinati l"applicazione del c.d. rito Fornero (disposizioni di cui ai commi da 48 a 68 ex L. 92/2012), procedimento che riduce i tempi per ottenere giustizia.

La scelta operata dal legislatore non appare affatto chiara, posto che non si comprende come mai, se l"ottica della riforma era la semplificazione e l"incentivazione delle assunzioni, ai nuovi lavoratori che ricorrano in giudizio per ottenere una pronuncia di illegittimità del licenziamento loro irrogato, sia riservata la procedura giudiziale più lunga.

§8. Il nuovo strumento deflattivo del contenzioso

In ultima istanza, autonomo approfondimento merita il nuovo strumento introdotto dall"art. 6 del decreto avente finalità deflattive sui contenziosi da intraprendere ovvero eventualmente già intrapresi dal lavoratore colpito dal licenziamento (illegittimo).

La norma in questione prevede la c.d. nuova "conciliazione facoltativa incentivata", quale strumento che consente al datore di lavoro di offrire una somma (mediante assegno circolare di corrispondente importo) esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilità, somma che ove accettata da parte del lavoratore comporterà la contestuale rinuncia alla causa e l"estinzione del rapporto di lavoro con decorrenza dalla data del licenziamento.

La nuova procedura conciliativa potrà essere attivata dal datore di lavoro nel termine di 60 giorni dal momento di intimazione del licenziamento (non a caso tale termine coincide con il termine decadenziale per l"impugnativa stragiudiziale del licenziamento ex L. 183/2010, c.d. Collegato lavoro) presso le competenti Direzioni Territoriali del Lavoro, in una delle sedi autorizzate a certificare rinunzie e transazioni dei lavoratori (a norma del nuovo art. 2113, 4° comma, c.c. e dell"art. 76 D.LGS. 276/2003).

Nella stessa sede le due parti contrattuali (lavoratore e datore di lavoro) potranno conciliare diverse ed ulteriori controversie inerenti il rapporto di lavoro ed, in tale ipotesi, la somma così pattuita sarà, invece, soggetta al regime fiscale ordinario.




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