Era all’uscita di Rivafranca, risaliti in macchina, che il professore le aveva fatto la proposta.
“Lavori d’ufficio, se ne intende?”. Temeva si perdessero a Gambiate, l’idea gli era venuta all’improvviso; come sempre era un po’ intimidito.
Ina in silenzio qualche secondo: “Da vera impiegata no”. Le era rimasto un po’ l’odore del bosco fra i capelli.
“Mi pare di aver capito che è libera lei, in questo periodo”. Il problema erano soprattutto i rapporti con gli autori. “A qualche giurista non dispiace una voce femminile, all’altro capo del telefono”. Fondamentali certe qualità di garbo, di cortesia.
“Editoria, non le piacerebbe?”.
L’ex-allieva aveva mormorato che era educata lei, di solito; sul resto non granché competente.
“Potremmo allestire un angolo suo, in studio”. Scrivania, computer, telefono fisso; “Qualora non trovi di meglio, nei prossimi mesi”: libera di andarsene se cambiava idea.
Lei a ripetere che temeva di essere deludente, tante le cose che non sapeva fare.
Il professore aveva scosso la testa: “Un lavoro vario, non si annoierà”. Appuntamenti da prendere per i convegni, rapporti col commercialista. Per i soldi e l’orario si sarebbero messi d’accordo: “Le ferie anche, i contributi: tutto alla luce del sole”.
Si era voltato a guardarla, aveva anche lei girato gli occhi.
Nessuno vedeva l’altro chiaramente, alle spie del cruscotto; soltanto con le braccia si sfioravano ogni tanto. Il contatto più significativo, vicini com’erano, lo forniva l’olfatto. M. sapeva di legno tagliato di fresco, - notava Ina, - il suo odore naturale, più un fondo leggero di sapone di Marsiglia; quando al Castello si era lavato le mani, prima di risalire in macchina. L’ex-allieva oltre al profumo di bosco nei capelli – si accorgeva M. - doveva essersi spruzzata qualcosa sotto il vestito, al Castello; una di quelle essenze da adolescente orientale, che lei portava spesso nella borsa.