Una persona non sta bene, stenta a fare certe cose, così non le accadrà niente; se poi continua a stare male, nulla d’importante sarà cambiato. Se è un essere che sta bene invece, all’inizio, sicché può capitargli quella cosa, quando poi comincia a peggiorare sorgeranno problemi; e andranno prese delle decisioni.
Succede anche in famiglia, più spesso di quanto non si vorrebbe; e varie possono essere le situazioni.
Tanti i cambiamenti, si sa, introdotti con la riforma codicistica de 1975: novità fra le più significative, non da tutti condivisa, quella secondo cui l’innocenza quanto ai motivi della fragilità sopravvenuta (moglie ammalatasi di suo gravemente, a un certo punto) non impedirà all’altro coniuge di istare comunque per la separazione personale (e magari poi divorziare e risposarsi).
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Sul piano patrimoniale, alzando lo sguardo, spiccano disposizioni come l’art. 193 cod.civ., in tema di separazione giudiziale dei beni in comunione, per il caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi. E si può ricordare inoltre come lo sposo il quale, per certe ombre sopraggiunte, a lui non imputabili, non riesca ad adempiere ai doveri di tipo economico che gli incombono, verso l’altro sposo (art. 143 cod.civ., terzo comma), non andrà incontro tendenzialmente ad alcun addebito.
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Soluzione analoga - passando al settore non patrimoniale - quella concernente le inadempienze di un coniuge, rispetto ai doveri di assistenza e collaborazione (fedeltà e coabitazione vengono meno in risalto qui); beninteso là dove non sia proprio il fatto volontario del consorte in questione, e basterebbe pensare a certi casi di ludopatia, ad aver dato luogo alle complicazioni.