Cultura, società  -  Marco Faccioli  -  15/06/2023

Cronaca di una morte postata.

Un bambino di cinque anni è morto.

Si chiamava Manuel Proietti; è morto per un incidente stradale in via Aristonico di Alessandria, a Casal Palocco, vicino Roma, ma sarebbe meglio a dire che è morto per niente. La dinamica del sinistro è stata ricostruita in poco tempo: c’è stato uno schianto tra una Smart (dove viaggiavano una mamma e i suoi due figli di 5 e 3 anni, attualmente ricoverate in gravi condizioni), e una Lamborghini Urus presa a nolo, guidata da uno Youtuber di 20 anni, risultato poi positivo al droga-test insieme ad altri quattro amici, anch'essi Youtuber. Secondo le prime ricostruzioni, come ha ben raccontato la giornalista Assia Dayan su La Stampa, i ragazzi del Suv stavano filmando una challenge - una di quelle “cose” che fanno i ventenni social-addicted (praticamente tutti), “cose” che coprono un arco che va dal darsi fuoco (per davvero) e poi buttarsi in piscina, al mangiare quanti più hamburger possibili in cinque minuti - per il loro canale YouTube. Gli inquirenti sostengono che i ragazzi “si erano lanciati in una sfida di resistenza: quante più ore possibile a bordo di un Suv”. I cinque fanno parte dei TheBorderline”, un canale che conta 600.000 iscritti su YouTube e milioni di visualizzazioni (certamente destinati a cubare entrambi dopo questa tragica prodezza). I loro video postati in Rete, tanto per capire di che cosa stiamo parlando, sono quasi sempre prove di resistenza: quanto riesco a resistere nel ghiaccio, quanto riesco a vivere su una zattera sul lago, e altre amenità di questo tipo. Quando, in questo tipo di sfide, si utilizzano moto o macchine per sfrecciare sulla pubblica via, si può ancora, o solo, parlare di “incidenti”? Se ti metti alla guida per filmare una gara in auto da postare su YouTube, un filmato anche solo di 5 o 10 minuti per guadagnare soldi, follower e popolarità, e poi finisce in tragedia si può davvero definire “incidente”? Un incidente è una fatalità che porta con sè l'imprevisto e l'imprevedibile. In casi come questo, invece, se ti va bene e non ammazzi nessuno è già un miracolo. Pensare alla morte di un bambino, a una famiglia distrutta, a delle vite finite per fare un video di pochi minuti da mettere in Rete (quindi per niente!) è qualcosa che va oltre ogni umana comprensione; eppure oggi è il pane quotidiano della nostra storia recente, dove reale e virtuale sono sempre più intrecciati tra loro. Gli incidenti d’auto accadono mentre sei impegnato ad andare avanti con la tua vita: stai andando a fare la spesa, stai portando i bambini a scuola, stai tornando a casa, e capita che la vita possa finire nel giro di un minuto. Se stai girando un video, se hai bevuto, se ti sei drogato, se non sei in condizione di guidare e ammazzi qualcuno, quella morte era evitabile. È questo che non dà pace: pensare che le morti per le challenge su YouTube o su TikTok siano sempre sempre tutte perfettamente e drammaticamente evitabili.

Si parla di vite distrutte e questo è sicuramente vero per quanto riguarda i parenti e gli amici delle vittime, ma altrettanto si può dire per quelle dei carnefici, o meglio dei deficienti, per restare in tema dell'argomento di oggi? Se è vero, come riferisce un testimone subito dopo lo schianto della Lamborghini sulla piccola Smart dove viaggiava il piccolo Manuel, che “(...) quei ragazzi, dopo aver fatto quello che hanno fatto, invece di essere dispiaciuti per l'incidente erano tranquilli e strafottenti e avevano in mano i loro smartphone per controllare i loro follower”, allora le vite distrutte sono solo e sempre da una parte sola.







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