-  Ziviz Patrizia  -  22/07/2015

DANNO DA MORTE; SEZIONI UNITE: MOLTO RUMORE PER NULLA (Nota a Sez. Unite 15350/2015) - Patrizia ZIVIZ

-         Morte immediata della vittima

-         Perdita della vita

-         Irrisarcibilità


Dopo un gestazione che rischiava di diventare lunga quanto quella di un elefante, le Sezioni Unite hanno finalmente depositato la tanto attesa sentenza in materia di risarcibilità della perdita della vita (Sez. Unite 22 luglio 2015, n. 15350 – Rel. Salmè).

Le aspettative, al riguardo, si sono rivelate mal riposte. Molte voci giravano quanto ad una sentenza destinata ad assumere una portata generale, destinata ad affrontare la più ampia questione del danno risarcibile in ambito non patrimoniale. Al contrario, la volontà che anima tale pronuncia sembra quella volta a ridurre la questione ai minimi termini., considerato che i giudici di legittimità hanno deciso di asserragliarsi dietro una trincea di argomentazioni già note, respingendo al mittente le istanze che animavano il tentativo di revirement operato dalla sentenza m. 1361/2014 in maniera piuttosto sommaria.

 Ciò si evince fin di primi passaggi attraverso i quali si affronta la questione, in cui si precisa che "esulano quindi dal tema che formerà oggetto della presente decisione le questioni relative al risarcimento dei danni derivanti dalla morte che segua dopo un apprezzabile lasso di tempo alle lesioni". Tale specifica questione sarebbe, ad opinione delle Sezioni Unite, risolta in maniera concorde a livello giurisprudenziale, restando discussa esclusivamente la qualificazione del danno da risarcire come "danno biologico terminale" ovvero come "danno catastrofale". Con un"impropria operazione chirurgica, si omette di affrontare un problema alquanto delicato, che riguarda l"utilizzo delle suddette figure quale veicolo per far transitare, entro la sfera del danno da agonia, la liquidazione del distinto pregiudizio relativo alla perdita della vita. La sentenza sembra volutamente ignorare tale problema, e afferma – anzi – che dalle incertezze di qualificazione non "sembrano derivare differenze rilevanti sul piano concreto della liquidazione". Si vengono, così, a minimizzare i numerosi problemi legati all"applicazione dell"indirizzo maggioritario.

 

Le Sezioni Unite si limitano ad occuparsi del danno derivante da morte immediata, per sancire che in tal caso non può essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis, "non essendo state dedotte ragioni convincenti che ne giustifichino il superamento" tramite l"ampia motivazione della sentenza n. 1361/2014. La fedeltà all"orientamento tradizionale viene fondata sul richiamo della funzione di riparazione che assume l"istituto della responsabilità civile: incardinata sul danno, inteso quale perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridica soggettiva. Ciò posto, si afferma che una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, dev"essere rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, per cui "nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l"irrisarcibilità deriva dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito".

 Le Sezioni Unite, in primo luogo, respingono la considerazione – centrale all"interno della sentenza n. 1361/2014 – secondo cui la mancata risarcibilità della perdita della vita in caso di morte immediata sarebbe contrastante con la coscienza sociale. Non solo non si tratterebbe di un "criterio che possa legittimamente guidare l"attività dell"interprete del diritto positivo"; ma, più, in generale, la coscienza sociale dovrebbe ritenersi soddisfatta a fronte dell"avvenuto riconoscimento del danno patito dai congiunti, e non già per una tutela destinata ad essere corrisposta agli eredi. Si trascura, così, di prendere in considerazione il caso di una vittima priva di familiari stretti: la coscienza sociale, in tal caso, riterrebbe legittima l"assenza di ogni riscontro risarcitorio?

 Passando all"argomentazione secondo cui sarebbe più conveniente uccidere che ferire, le Sezioni Unite si limitano ad affermare che sarebbe "indimostrato che la sola esclusione del credito risarcitorio trasmissibile agli eredi comporti necessariamente una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entità inferiore". Si tratta di un passaggio non molto felice, dal momento che il confronto circa la convenienza va fatto in relazione al danno subito direttamente dalla vittima: che ammonta ad una liquidazione massima nel caso di lesioni gravissime, per finire a zero in caso di lesione del diritto alla vita.

 Le Sezioni Unite pervengono, infine, a respingere l"argomentazione prospettata dalla sentenza n. 1361/2014 secondo cui il credito risarcitorio del danno da perdita della vita si acquisirebbe istantaneamente al momento dell"evento lesivo. Si afferma che "l"anticipazione del momento della nascita del credito risarcitorio al momento della lesione verrebbe a mettere nel nulla la distinzione tra il "bene salute" e il "bene vita" sulla quale concordano sia le prevalente dottrina che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità". Nessuna parola, tuttavia, viene spesa per motivare una conclusione del genere: per la quale non si ravvisa, in realtà, alcun fondamento logico, dal momento che una lesione culminata con la morte appare di per sé destinata a colpire il diritto alla vita, e non già quello alla salute.

 Nessuno sforzo di analisi viene, invece, dedicato dalle Sezioni Unite a quella che appare l"argomentazione centrale nella sentenza n. 1361/2014: vale a dire l"affermazione, in via di eccezione, della risarcibilità del danno-evento. Un riferimento implicito alla stessa trapela soltanto in quelle righe in cui si rileva che "l"ipotizzata eccezione alla regola sarebbe di portata tale da vulnerare la stessa attendibilità del principio". Ci si aspettava, di certo, un esame più approfondito, anche alla luce della constatazione che, nella sentenza Scarano, veniva comunque ipotizzata la ricorrenza di una perdita, argomentando che dalla lesione della vita consegue la perdita non già di qualcosa, bensì di tutto.

 Con la pronuncia delle Sezioni Unite siamo ben lungi, allora, dall"essere pervenuti ad una soluzione finale per una questione così delicata. Ci si limita, infatti, a riavvolgere il nastro, nel tentativo di tornare al sistema cui si rifà la giurisprudenza maggioritaria. Sistema fondamentalmente ambiguo, nel quale non appare chiara la distinzione tra danno da agonia e danno da perdita della vita. Sistema che finisce per legare la tutela della vittima deceduta, alternativamente, a concetti assai discutibili: da un alto, la vituperata apprezzabilità dell"intervallo di tempo di sopravvivenza; dall"altro, l"accertamento dello stato di lucidità della vittima, consapevole dell"imminenza del proprio decesso.




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